SaturDie Ep. 23 – Stevanin: il mostro di Terrazzo

Il tuo amichevole killer di quartiere

di Gaia Vetrano
21 Min.

Delle tante storie che vi abbiamo raccontato, quella di Gianfranco Stevanin è forse la meno conosciuta.

Dai colli vicentini si alza forte come un grido il racconto straziante delle vittime.

Terrazzo, nelle pianure venete, è quel tipico comune italiano dove ci si sveglia una mattina con la nebbia e la successiva pure. Dove persone si coagulano nell’unico bar o, in alternativa, in parrocchia. Eppure, vi è un incredibile linea di sangue che macchia le strade di questa cittadina. Che imbratta le pareti degli edifici e i margini dei marciapiedi. E noi stiamo per raccontarvela.

Vi parliamo di un uomo molto desiderato, venuto al mondo negli anni 60’. Da qualcuno riconosciuto un po’ strambo, a causa del modo buffo con cui si acconcia i capelli, alla Elvis Presley. La tipica persona di cui diresti che non farebbe del male a una mosca.

Un ragazzo tanto appassionato di moto cross, come di donne.

Un giovane che si perde nelle strade della perdizione e della lussuria, cullato da Eros.

Nell’Italia degli anni 90’ è un camaleonte sociale, un insospettabile che si inserisce perfettamente nel tessuto sociale nel quale cresce, mostrandosi a tutti gentile e disponibile. Non un soggetto qualunque, ma seriale. Ossessionato dalle proprie vittime così come lo era dalle donne.

Perché se vi sono due forze che regolano il vivere e l’equilibrio terrestre, queste sono governate dai due amanti per eccellenza, Eros e Thanatos. Un tango sul filo del rasoio che controlla il creato. Pulsione di vita contro pulsione di morte.

D’altro canto, per Freud, accanto alla sessualità, vi sarebbe anche una ricerca indissolubilmente intrecciata della distruzione. Un intreccio particolarmente ridente che porterebbe a una situazione di stallo nel quale non si riesce a progredire.

La psiche, sempre per Freud, avrebbe lo scopo di arginare l’aggressività per fare in modo che questa non si scarichi contro il prossimo. In un certo senso funziona come una barriera: crea dei meccanismi contenitivi si evita che il soggetto si sfoghi contro gli altri.

Ebbene, se siamo qui a parlarvi, sicuramente deve esservi qualcosa che non è andato. Magari, per colpa di un trauma, quell’equilibrio di cui parlavamo prima, può essere messo a repentaglio. Così Freud interpretava le tragedie della storia, noi ci proveremo con questa drammatica vicenda.

Una storia di sesso e sangue. L’incipit perfetto di un racconto che segnerà questo paese.

Gianfranco Stevanin è il classico giovane di paese tranquillo e gentile. Sembrerebbe essere insospettabile, ma nel suo passato vi sono alcune rapine con un’arma giocattolo. Un omicidio colposo: per errore travolge e uccide un uomo in bici. Poi un giorno, mentre era a bordo della sua auto, viene fermato dalla polizia, che al suo interno trova una targa, un coltello a serramanico, forbici, una macchina fotografica. Eppure, per tutti sono delle sciocchezze.

Così, gira imperturbabile al bordo della sua vettura, dove porta con sé le sue amanti. Donne, principalmente prostitute o tossiche dipendenti. Figure che il Veneto degli anni 90 riconosce come scomode.

Le porta a casa e poi si improvvisa fotografo.

Gabrielle era una delle tante.

La sera del 16 novembre 1994 si trova a bordo della sua Volvo 480. Lei è una prostituta di 28 anni austriaca, il cui vero nome è Sigrid. Ha i capelli biondi e sogna il grande schermo. Proprio per questo sceglie di farsi chiamare Gabriele, le ricorda maggiormente le dive del cinema.

Gianfranco guida accanto a lei. Si erano incontrati due giorni prima. Lui le aveva detto di essere un fotografo di professione e le aveva offerto una grande somma di denaro per convincerla a scattare. Aveva da subito messo le mani in avanti: si trattavano di scatti osé. “Ma infondo, sei abituata a fare peggio”, si era detta Gabriele. Per la cifra che offriva sarebbe stata una sciocca a rifiutare l’invito di un sedicente trentenne.

Cinquecento mila lire per scattare da nuda, addirittura non era necessario che si vedesse il suo volto.

Gabriele si era sentita a suo agio in auto con lui, mentre la portava nel suo cascinale in via Brazzetto, poco fuori Terrazzo. Eppure, quella era in poco tempo diventata la notte più lunga della sua vita.

Gianfranco cercava una donna che accettasse cinquecento mila lire per scattare con indosso manette, o legata al muro. Nella sua casa tiene fruste e catene, nulla che riuscisse a mettere a suo agio Gabriele, che cambia idea sulla proposta.

Stevanin non prende bene l’improvviso rifiuto della donna, e la minaccia prima con un coltello e poi con una pistola. La obbliga a indossare una tuta azzurra e una collana di finti turchesi e la costringe e a sedersi sulle sue gambe. Poi le impone di farsi scattare delle foto mentre praticano dapprima sesso orale, poi mentre la violenta.

Da quella casa non può uscire, perché le minacce di Gianfranco si fanno sempre più spaventose. Si lascia legare al tavolo, bendata, con la sola mano destra libera. All’apice della disperazione, convince Stevanin di avere in casa venticinque milioni di lire e che è disposta a dargliela se la riaccompagna a Vicenza. Un inganno al quale spera che Gianfranco abbocchi.

Effettivamente, il fotografo si lascia convincere e così sale nuovamente a bordo della sua auto. Nella strada per Vicenza porta la pistola con sé, perché potrebbe fare brutti scherzi. Effettivamente aveva ragione, perché appena arrivati al casello, la donna sguscia fuori dall’auto e comincia a correre.

Si dirige da una volante della polizia parcheggiata lì di fronte.

Stevanin, seduto sulla propria auto, è calmo. Tranquillo, con la pistola appoggiata sul sedile adiacente.

Se Gabrielle corre incontro alla libertà, Gianfranco sa che la sua sta per finire. Ai due uomini in borghese si mostra comunque gentile. Affabile, come sempre.

Stevanin e i suoi divertimenti proibiti

La famiglia Stefanin possiede due case: la prima, di cui vi abbiamo già parlato, e una in via Torrano, ugualmente isolata. Gli inquirenti perquisiscono entrambe, soprattutto la cameretta blindata di Gianfranco. Vi abbiamo detto bene, blindata, perché il ragazzo era solito rivestire con il nastro isolante la serratura della porta per non fare entrare nessuno. Si vede che ci tiene alla privacy.

Una foto di Stevanin

Il cascinale nasconde tre stanze segrete a cui solo il proprietario aveva accesso. Vengono fuori falli, manette, completini intimi, una collezione di mutande e videocassette porno. Ma soprattutto circa 7000 fotografie di Stevanin con varie donne, di cui appuntava le prestazioni sessuali. Poi, un sacchetto contenente peli pubici.

Nel corso della perquisizione vengono anche ritrovate le borse contenenti i documenti di due donne: Claudia Pulejo e Biljana Pavlovic, già note alle forze dell’ordine perché scomparse poco tempo prima.

La prima, detta Chicca, era una ventinovenne con problemi di tossico dipendenza proveniente da Legnano. La seconda è una cameriera e madre serba di ventisette anni. L’uomo si giustificò dicendo di aver avuto con loro delle normali brevi relazioni e che le loro borse erano solo un pegno d’amore che le ragazze gli avevano lasciato. Di cosa fosse successo a entrambe lui non ne sapeva niente.

Viene condannato a tre anni e quattro mesi di carcere per violenza sessuale e tentata estorsione. Dopo otto mesi, grazie alla condotta esemplare, vengono richiesti i domiciliari. Ma un anno dopo, nel 1995, le cose andranno a peggiorare.

Un cadavere in giardino

Fa caldo, molto caldo per essere il primo lunedì di luglio in Veneto. Antonio Ambroso, un contadino di cinquant’anni, il 3 luglio 1995 sta pulendo il fossato all’interno della proprietà di Stevanin. Tutto procede liscio fino a quando la sua falce non si impiglia contro qualcosa di strano un sacco di iuta che a sua volta ne contiene un altro. Dentro quello che rimane di un corpo.

Sul rapporto della polizia si legge una gabbia toracica, un’estesa macchia di sangue, ileo, ischio e pube: il corpo di una donna. Niente braccia, niente gambe e niente testa.

Pagina di giornale riguardante la storia di Stevanin

Le proprietà di Stevanin vengono messe sotto sequestro e ripartono le indagini su di lui. Per un assassino seriale conservare mausolei delle vittime è una pratica comune, così come il rapporto che questo ha con la religione, quasi morboso. È utile per mantenere il controllo sulle persone, di cui si può conservare per sempre una parte. Agli inquirenti vengono subito in mente le foto che Stevanin conservava a casa sua.

È Maria Grazia Omboni il Pubblico Ministero del caso, direttamente da Padova. Lavora in collaborazione con i Carabinieri per compiere le indagini riguardo il caso Stevanin, accusato di omicidio volontario e occultamento di cadavere.

Difatti viene aperto un fascicolo contro ignoti ma tutti sospettano di lui. Dal carcere Stevanin sbandiera una perizia medica che lo etichetta come non violento, mentre il parroco sostiene che gli abitanti del posto non sono degli assassini.

Eppure, il giardino della proprietà di Stevanin è pieno dei medesimi sacchi di iuta sotterrati, pieni di ossa umane. Tre indizi fanno una prova, così riprendono le indagini su Gianfranco, che nel frattempo viene trasferito nel carcere di massima sicurezza di Verona Montorio.

Quel che si sa è che quel tronco ritrovato appartiene a un’asiatica, forse adolescente, di cui non si sa nulla. Neanche se abbia mai conosciuto Stevanin.

Che fine hanno fatto Biljana e Claudia?

Il 12 novembre il cugino di Stevanin realizza una scoperta clamorosa. Ritrova un cadavere piegato e sepolto tra la concimaia e il pagliaio. La testa è infilata in un sacchetto di plastica con un legaccio, mentre gambe sono legate tra loro. Agli occhi del medico legale appare necessaria un’autopsia, che identifica uno strano foro nell’osso iliaco e la totale assenza dell’utero.

Il cadavere è quello di Biljana Pavlovic.

Gli interrogatori cominciano a susseguirsi senza sosta, mentre si teme che il numero di cadaveri possa aumentare. Gianfranco prova a negare, quando gli è possibile.

Biljana Pavlovic

Per provare la sua innocenza fornisce una mappa del podere e traccia un rettangolo dove al suo interno rappresenta un punto dove la soia non era cresciuta a dovere, al contrario della restante parte di terreno.

Il giorno seguente le forze dell’ordine si presentano sul luogo. Viene ritrovato un terzo corpo, stavolta mummificato, tra strati di pellicola e di giornale. È quello di Claudia Pulejo.

A questo punto, messo alle strette, ammette di aver incontrato Claudia, a cui aveva fornito della droga in cambio di un set fotografico, ma giura di non sapere nulla riguardo la sua morte.

Ma chi è realmente Gianfranco Stevanin?

Un mostro o uno psicopatico?

Del volto di Gianfranco non si possono non notare due dettagli: una profonda cicatrice e uno sguardo gelido.

Nei suoi occhi si nota il vuoto.

Il giovane nasce negli anni 60’ da una famiglia di agricoltori. Fino ai quattro anni è un bambino felice ma, per complicazioni al parto, la madre Noemi ha continui problemi di salute che non le consentono di badare a pieno al figlio, che viene quindi iscritto a un collegio di salesiani.

Gianfranco stesso racconterà quegli anni come bui perché abbandonato dalla sua stessa madre. Racconta di aver scoperto il sesso a tredici anni, con una donna sposata. Frequenta l’ITIS di Legnano e nel 76’ subisce un incidente a bordo di un 125. Vola a terra senza il casco e finisce in coma, dove viene operato tre volte di urgenza per via di un grave trauma cranico e fratture alle orbite. Sopravvive, ma è costretto a convivere con una grossa cicatrice, forti emicranie e improvvise crisi epilettiche.

È costretto a lasciare la scuola e si fa prendere dalla solitudine. Tra l’87’ e l’89’ compie una serie di reati e conosce una donna, Maria Amelia, con cui intreccia una relazione di cinque anni. È la madre che però lo costringe a lasciarla. Da quel momento incomincia ad avere rapporti occasionali con prostitute.

Sul grave incidente in moto e sul rapporto con la madre pressante verterà l’intera difesa di Stevanin.

L’ossessione per il sesso di Gianfranco è documentata da foto, riviste, oggetti che utilizza che controllare le sue vittime. Ama scattare fotografie alle donne che incontra, quasi per costituire con loro un legame. Le foto servono infatti agli inquirenti per comprendere il possibile movente degli omicidi: a Stevanin piace dominare.

Quando la sessualità frenata rende oggetto il proprio partner scaturisce l’aggressività. Il desiderio di Stevanin è di possedere interminabilmente la creatura che ama e di tenerla con sé anche quando sarà arrivato il tempo dell’assenza.

Così, con Biljana Pavlovic, si incontra per fare sesso sfrenato. La tensione sessuale è alta quanto il rischio: Eros e Thanatos. Improvvisamente, durante l’atto, Stevanin soffoca la donna con un sacchetto di plastica. Gianfranco non si rende conto di ciò che fa, per lui fa parte del gioco.

Le confessioni

Dopo un lungo braccio di ferro, Stevanin decide di ricostruire le vicende. Il suo obiettivo è dimostrarsi innocente ed estraneo ai decessi, aggiungendo particolari che potessero scagionarlo. Parla di ricordi che affiorano alla sua mente come vittima di amnesie.

Ricorda di aver praticato sesso estremo con queste donne, che durante l’atto sono venute a mancare. Degli incidenti. Poi si diverte a vivisezionarne i corpi, a tagliarne le gambe, le braccia e la testa.

Stando ai suoi racconti, Claudia Pulejo sarebbe morta di overdose al suo fianco, mentre lui dormiva. Una volta sveglio non poteva fare altro che disfarsi del cadavere, non prima averle tagliato i capelli. Li voleva conservare, gli piacevano tanto.

Incidenti, a suo dire. Nei mesi successivi gli verranno additati altri tre delitti: il primo è quello di Roswitha Adlassnig, presente nelle foto di Stevanin e nel suo schedario, di cui non si avevano notizie da mesi, quello di Blazenca Smolijo, una prostituta di origine croata e di un’altra donna mai identificata, fotografata durante un atto sessuale mentre era apparentemente priva di vita.

Durante gli interrogatori, Stevanin non lascia intendere nient’altro di quanto già si sappia. Dove ci sono dei sospetti parla di amnesie, incidenti, e di non sapere nulla riguardo queste donne. Quando invece vi sono delle prove, dichiara di non sapere nient’altro.

Dal punto di vista legale e giudiziario la battaglia sta nel stabilire se Stevanin ha agito intenzionalmente o meno. si tratta di uno scontro tra periti. Per i legali della difesa, Cesare Dal Maso, Daniele Ceppi e Lino Roetta, Gianfranco ha perso a capacità di intendere e di volere a sedici anni, in seguito al tragico incidente in moto.

Alla fine del processo prevarrà l’ipotesi dell’accusa: il killer sapeva benissimo come stava agendo.

 Il 6 ottobre 1997 comincia il processo presso la Corte d’Assise di Verona. A gennaio del 98’ viene pronunciata la condanna in primo grado: ergastolo e isolamento diurno per i primi tre anni oltre al pagamento delle pene processuali di mantenimento in carcere durante la custodia cautelare.

Il processo di secondo grado da parte della Corte d’Assise d’Appello di Venezia ribalta la sentenza e identifica Stevanin come incapace di intendere e di volere.

Viene assolto per gli omicidi e lo condanna per occultamento di cadavere e deprezzamento dei corpi: dieci anni e sette mesi e immediato ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario per minimo dieci anni.

Il 14 luglio 1999 viene trasferito quindi nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino dopo essere stato detenuto nel carcere di Verona Montorio dal 13 novembre 1995 al 7 luglio 1999. Nel 2000 il procuratore generale di Venesia impugna la sentenza per approccio metodologico errato. Il 23 marzo del 2001 viene condannato nuovamente all’ergastolo con isolamento diurno.

Viene quindi nuovamente trasferito nel carcere di Sulmona, in Abruzzo, dove ha salvato la vita del suo compagno di cella che ha tentato il suicidio due volte. Poi ad Opera e infine a quello di Bollate, dove sta scontando la pena.

Nell’ottobre 2020 il legale di Stevanin ha annunciato che presenterà istanze per una nuova perizia psichiatrica e la concessione di misure alternative alla detenzione in carcere.

Per noi, come per gli abitanti di Terrazzo, Gianfranco Stevanin rimane semplicemente il nostro affabile killer di quartiere.

Scritto da Gaia Vetrano


Le foto presenti in questo articolo provengono da internet e si ritengono di libero utilizzo. Se un’immagine pubblicata risulta essere protetta da copyright, il legittimo proprietario può contattare lo staff scrivendo all’indirizzo email riportato nella sezione “Contatti” del sito: l’immagine sarà rimossa o accompagnata dalla firma dell’autore.

Articoli Correlati