SaturDie Ep.36 – È davvero risolto l’omicidio di Francesca Alinovi?

di Gaia Vetrano
22 Min.

Per chi è appassionato d’arte il nome di Francesca Alinovi non sarà nuovo.

Ma facciamo un passo indietro. Molti dei casi più eclatanti di cui vi abbiamo parlato non hanno un colpevole. A volte questo viene scoperto, ma passano degli intervalli di tempo così ampi da quasi far dimenticare della vittima. Il nome rimane scolpito nella memoria collettiva come nella roccia, ma viene coperto da un sottile strato di polvere.

Ci sono casi, invece, dove l’assassino è chiaro ancor prima comincino le ricerche. Rei confessi, o omicidi i cui colpevoli si costituiscono sin da subito, consci del crimine che hanno commesso. A volte per ottenere degli sconti della propria pena. Quasi spogliandosi di un fardello che pesa più di una roccia.

Più raramente succede che il colpevole venga trovato, ma che continui a sostenere fino alla fine della sua pena di essere innocente. Nonostante, magari, le prove lo incastrino alla perfezione.

E poi ci sono i più rari. I casi in cui, nonostante l’assassino sia stato trovato, qualcuno continua a sostenere che in realtà non sia lui. Sono forse i più difficili, quelli dove il dubbio ti assale. E questo per la paura di rovinare la vita di un altro innocente.

Cosa fare in questi momenti se non ripercorrere il caso? Provare a ricostruirlo e comprenderlo nuovamente. Ed è quello che faremo oggi. Vi racconteremo di un caso ormai chiuso, di cui il colpevole esiste ed è anche stato condannato per omicidio preterintenzionale.

Il caso è concluso, tutto è chiaro. Eppure, qualcuno non ci crede. Qualcosa continua, comunque, a non tornare. 

Bologna, 1983.

Bologna, la città dove è stata uccisa Francesca Alinovi

Per chi non ha avuto l’onore di vivere negli anni Ottanta, ecco che vi riassumo in poche righe le vibes di quel tempo. Per farla in breve: Michael Jackson con “Thriller”, Flashdance, “Vamos alla Playa” e Lucio Dalla. Il processo Moro e le aule di Tribunale piene, poi la scomparsa di Mirella Gregori, seguita a ruota da quella di Emanuela Orlandi.

La comparsa della Fiat Uno e del primo telefono palmare di Motorola. Di “Scarface” e Bettino Craxi presidente del Consiglio. E, infine, del senza tempo “Una poltrona per due”. In Italia comincia il decennio dei dark, dei punk e dei metallari. Il passaggio di un vento nuovo si sente da ogni parte dello stivale.

Chi non è mai stato a Bologna in pieno giugno non sa quanto caldo ci sia. Il 15 giugno dell’83’ è da tutti ricordata come una giornata particolarmente afosa. L’aria rovente assorbita dall’asfalto sembra quasi risalire all’imbrunire, quando il cielo si fa buio e le stelle ritornano a brillare. Eppure, la città è così bella da attrarre turisti da ogni dove.

Perdersi per i vicoli del capoluogo emiliano è un piacere. Tutte quelle stradine che tagliano il cuore della città, sormontate da edifici color mattone e sontuosi portici. Tra queste c’è Via del Riccio, al centro del Quartiere Saragozza.

Quest’ultima convoglia due tratti ben visibili: il primo è il vicolo che va da via Barberia a vicolo Stradellaccio; il secondo va da vicolo Stradellaccio e raggiunge via Saragozza, decisamente più largo del primo tratto. Per cui, quando si attraversa questa strada, appare lampante il progressivo restringimento di questa.

Camminando, quindi, per Via del Riccio, dall’italianizzazione della pronuncia tipicamente bolognese di Borgo Ricco, si arriva al numero 7. Lì, alle ore 19 del 15 giugno del 1983 arrivano di fretta i Vigili del Fuoco, appoggiando in tutta velocità una scala sulla parete. Questa gli serve per salire al secondo piano ed entrare da una finestra.

Ad averli chiamati è Marcello Jori, un amico della proprietaria dell’appartamento, preoccupato perché quest’ultima non rispondeva da giorni al telefono.

Così attraversano una camera da letto e si precipitano prima nel salotto. A quel punto uno di loro torna indietro, si affaccia alla finestra e grida di chiamare la Polizia.

Dentro quel soggiorno c’è un enorme libreria in legno, una poltrona in stoffa dalle striature rosse e arancioni e un divanetto in vimini. Alle spalle di quest’ultimo c’è una tela dai mille colori e altre cataste di libri. Poi una montagna di dischi e alcune piante, a cui la proprietaria di casa non sembra dare l’acqua da un po’.

Sulla moquette insanguinata c’è un corpo. Appartiene a una donna: indossa un paio di scarpe rosse, dei pantaloni bianchi, una maglia a righe e un giubbotto, nonostante il caldo. È coricata su un fianco e ha la testa coperta da due cuscini, che lasciano però intravedere la matassa di capelli ricci neri, nonostante siano sporchi del suo stesso sangue.

C’è sangue sullo schermo del televisore, su una parete attorno a un interruttore e sul pavimento. La donna è morta trafitta da 47 tonnellate.

Sui cuscini che le coprono il visto c’è una rosa plastificata e deodorante. Ma non basta un cuscino a nascondere l’identità di una donna. Soprattutto se questa è Francesca Alinovi. E non basta un fiore profumato a coprire il maleodorante odore della Morte.

Francesca Alinovi

Relazioni un po’ troppo pericolose

Come in ogni giallo che si rispetti, sul posto si reca il commissario della Squadra Mobile, Gaetano Chiusolo, gli agenti della Omicidi, i fotografi della Scientifica e il Medico Legale.

Comincia così l’analisi di quel misterioso massacro, che già dal primo istante mette in dubbio gli investigatori. Questo perché la donna è stata sì uccisa da 47 coltellate, che però sembrano essere microscopiche. Tutti piccoli colpi profondi poco più di un centimetro. Nessuno di questi è mortale, tranne uno, che recide in pieno la giugulare.

Molti sono concentrati sul lato destro del corpo: sulla gamba, sul braccio, sulla schiena e sul collo. Inferti da angolazioni differenti.

Oltre al sangue, nulla nell’appartamento lascerebbe intuire un simile massacro. Non ci sono segni di lotta o oggetti fuori posto, neanche la serratura sembra essere forzata. Inoltre, nessuno de vicini sembra aver sentito nulla, nonostante ci fossero le finestre aperte. E, come vi abbiamo già detto, Via del Riccio è un vicolo, se ci fossero state delle urla, molti le avrebbero sentiti.

Dall’appartamento poi, non manca niente di importante, se non pochi spiccioli, uno straccio, uno specchietto e forse un coltello da cucina. Nel bagno ci sono dei Rayban a goccia con una sola lente, a specchio graduata. Poi una scritta sulla finestra, segnata con un pennarello rosso.

Nonostante gli errori, si può leggere “You are not alone anyway”, ossia “Comunque non sarai mai sola”.

Anche il nome della vittima rende le cose più complicate. Francesca Alinovi, trentacinquenne nata a Parma bella e stravagante, è un intellettuale d’avanguardia nonché una critica d’arte nota in tutto il mondo. Da poco anche assistente di estetica al DAMS di Bologna.

Tra New York e Bologna conduce la sua vita da punk lady, introducendo in Italia l’influenza che in America ha la street art dei graffiti. A Bologna coordina la sua personale corrente d’arte, quella degli Enfatisti, che fa centro alla Galleria Neon.

Attiva e controcorrente, docente al DAMS, dove si insegna a diventare artisti a tutto tondo. Sempre con un sorriso stampato sul volto e dallo sguardo ammiccante e ironico. La vittima ideale per un romanzo giallo.

Il secondo personaggio della nostra storia sta per arrivare. Le indagini si orientano sulla cerchia più stretta di Francesca. Ciò che infatti è chiaro è che l’omicida doveva essere un conoscente della Alinovi, sennò la donna non lo avrebbe mai fatto entrare in casa sua. Inoltre, l’artista non era solita invitare persone nella sua abitazione. Doveva essere sicuramente una figura a lei molto vicina.

Dalle prime testimonianze, soprattutto da quella di Marcello Jori, emerge uno dei suoi allievi. Un pittore di ventidue anni dalla personalità complessa e affascinante con problemi di tossicodipendenza: Francesco Ciancabilla. I due si frequentano da quando Francesca insegna il DAMS, e hanno un rapporto tanto morboso da essere viscerale. 

Francesco viene quindi portato in Questura prima come testimone, ma viene trattenuto per cinque giorni. Durante questo tempo parla con tranquillità al Direttore delle Indagini e al Giudice Istruttore, Daniela Magagnoli. Viene perfino portato sul luogo del delitto e durante tutta la visita rimane impassibile.

Ciancabilla è inoltre l’ultimo ad aver visto la Alinovi viva: il decesso risale a domenica 12 giugno, tra le 17 e le 23. I due sono rimasti assieme fino alle 19:30 di quel giorno. Poi Francesco ha dovuto prendere un treno per Pescara. Lì in stazione ha incontrato una sua amica, Anna Agari, con cui si era dato appuntamento chiamandola da casa di Francesca. I due dovevano partire assieme e la donna aveva la quantità necessaria per due strisce di eroina, che si sarebbero fatti in treno.

Una volta a Pescara, Ciancabilla è stato raggiunto da un’altra donna, Franca Melma, che lo ha accompagnato a casa.

Per tutti, nonostante Francesco, continui a giurare di non esserlo, è lui il colpevole. È l’ultimo ad averla vista viva, inoltre non esistono prove che, al contrario, dimostrino ciò che effettivamente Ciancabilla continua a ripetere, cioè che la Alinovi fosse ancora viva quando lui ha lasciato l’appartamento.

Francesca e Francesco
Francesca e Francesco

Inoltre molti degli amici di Francesca avevano raccontato quanto il rapporto tra i due fosse torbido, morboso e conflittuale. La stessa Alinovi lo descrive come tale sul suo diario.

25 febbraio 1981.

Sono innamorata di Francesco. Sono incredibilmente innamorata del sosia di me stessa. Gemelli. Lui è il sosia di me al maschile

E poi

15 settembre 1981.

Francesco non lo vedo più e tra poco lo lascio. Una cosa destinata a finire, anzi, mai iniziata

E tante altre pagine del genere. Un continuo alternarsi di amore e odio. Giorni in cui dichiara di essere follemente innamorata. Di provare un sentimento così forte da farle perdere la ragione. Ma di essere al tempo stesso terribilmente sola perché non ricambiata come vorrebbe.

Francesca narra un amore travagliato, che lei percepisce come morte.

Volitiva e triste, innamorata di un pittore dodici anni più giovane di lei e di grande fama. Un rapporto tanto complesso che i due non fecero mai l’amore, nonostante i tentativi di Francesca di portare su un altro livello la loro relazione. In compenso, litigano sempre. Ma non si lasciano mai.

Litigi che spesso terminano con l’uso della violenza. Francesco ha infatti inseguito una volta la Alinovi con delle forbici in mano, un’altra volta le ha fatto un occhio nero e un’altra volta ancora, mentre i due erano assieme in auto, l’ha minacciata di precipitarsi con la vettura in corsa giù dal burrone.

Il dramma degli orologi

L’ultimo dettaglio fondamentale è quello degli orari. Francesca Alinovi è morta tra le 17 e le 23 per annegamento interno, dovuto al sangue versato dalla giugulare recisa, che le ha provocato un’agonia di almeno dieci minuti.

L’intervallo temporale è molto ampio, ma ci sono troppi fattori che non consentono di determinare con precisione assoluta l’ora del decesso, tra questi il caldo. Il corpo è infatti rimasto tre giorni sulla moquette, che riscalda e accelera i processi di decomposizione, con le finestre aperte, che lasciavano passare i raggi del Sole e l’afa.

Francesco ha lasciato casa della Alinovi alle 19. Se Francesca è morta dopo, lui è innocente. Sennò è colpevole.

Francesca

Cosa lo incastra? Il fatto che Francesca faccia e riceva telefonate fino alle 17, orario al quale smette di rispondere, fino alla famosa chiamata con Anna Agari. Inoltre, quel giorno la Alinovi era attesa a una mostra alle 19:30 per ritirare dei quadri, ma non si è mai presentata.

Inoltre quando viene ritrovata indossa gli stessi vestiti che aveva un paio di ore prima dell’omicidio, come la Alinovi aveva detto al telefono a sua sorella e oi addirittura a una sua amica a Parma. Insomma, tutto lascerebbe intuire il legame con Ciancabilla.

L’ultimo dettaglio è l’orologio sul polso di Francesca. È un Rolex d’oro che si carica, e di conseguenza si muove, con il movimento del braccio. Quindi, se la Alinovi non si muove, l’orologio non carica. Bene, un’attenta analisi ci può fornire l’orario di carica massima dell’orologio e calcolare così quanto tempo ci mette a scaricarsi dopo che non è stato mosso.

Questo intervallo di tempo è di 35 ore. Allora è sufficiente prendere l’ora che le lancette ferme segnano, sottrarre queste 35 ore e sapremo con esattezza l’ultimo momento in cui Francesca Alinovi si è mossa.

L’accusa stabilisce che le lancette segnassero le 17:12 del 14 giugno: 35 ore prima sono le 18:12 del 12 giugno. Francesco Ciancabilla è ancora in via del Riccio. È fatta.

Francesco, in seguito a un litigio, ha ucciso Francesca, colpendola prima alla giugulare e poi accanendosi su di lei, senza neanche rendersi conto di cosa stesse facendo. Scoccata la quarantasettesima coltellata si alza in piedi, si pulisce con uno straccio e telefona ad Anna per costituirsi un alibi.

Il 3 dicembre 1986 Francesco Ciancabilla viene condannato per omicidio volontario a quindici anni di reclusione, all’interdizione perpetua dei Pubblici Uffici e ad almeno tre anni di Casa di Cura e di Custodia. In quel momento, però, l’uomo non è presente in aula in tribunale: sta tentando la fuga verso la Svizzera. Sarà poi arrestato in Spagna. La Corte di Cassazione conferma la condanna.

Ma è stato davvero Canciabilla?

Perché Francesco è innocente?

Sono tanti i dettagli su cui si incentrò la difesa di Ciancabilla, anche dopo la condanna. Torniamo a tutti i però lasciati indietro. Innanzitutto, Francesco è uscito da casa Alinovi senza riportare una sola traccia di sangue sul vestito.

Ciancabilla è infatti uscito alle 15 da casa sua per raggiungere Francesca con lo stesso completo con cui è poi stato visto a Pescara. Se Francesco avesse realmente accoltellato la Alinovi, a quest’ora avrebbero trovato delle tracce sui suoi abiti.

Ma invece parliamo della scritta trovata sulla finestra del bagno, “You are not alone anyway”. C’è qualcosa di strano: ci sono due giovani artisti alunni della Alinovi che hanno dormito in quella casa in quei giorni. Entrambi partono e lasciano la casa quella domenica mattina e affermano che fino a quel momento non c’era alcuna scritta sulla finestra del bagno.

Francesco Ciancabilla

Certo, di questo non ne sono assolutamente sicuri. Ma quel che possiamo dire, analizzando il bagno, è che quella finestra fosse sempre chiusa, perché lascerebbe intravedere da fuori cosa accade all’interno. Inoltre è riflessa sullo specchio che si trova sopra il lavandino. Impossibile non rendersi conto di una scritta, nel caso in cui ci fosse stata.

Inoltre, in slang newyorkese non vuol dire “Non sarai mai sola comunque”, ma “Finalmente ti ho fregato”. Questo è un dettaglio importante, perché la perizia calligrafica attesta che quella non è né la calligrafia di Francesca né di Francesco, bensì di una terza persona.

Chi ha fatto questa scritta?

Un altro dubbio è costituito dagli occhiali, quei Ray Ban abbandonati in bagno con una lente sola. Francesca portava lenti a contatto. Inoltre, quegli occhiali non erano neanche sufficientemente graduati per lei. Certo, potevano essere dei suoi vecchi occhiali da sole, ma se non sono suoi, di chi sono?

Infine, la sera prima i due fidanzatini avevano assunto cocaina, che ha bisogno di un po’ di tempo per essere metabolizzato dal corpo umano. Se Francesca fosse effettivamente morta tra le 17 e le 23 di domenica 12 giugno questo processo si sarebbe interrotto e l’autopsia avrebbe individuato tracce della sostanza nel sangue.

Poi vi è la disputa in merito all’orario riportato sul Rolex d’oro al polso di Francesca, che non viene rilevato quando è stato trovato il corpo, ma dopo. Il corpo della Alinovi viene infatti estratto dai necrofori. In seguito il Medico Legale le ha estratto l’orologio dal polso e lo ha prima consegnato ai genitori della vittima, che sono partiti immediatamente verso Parma, dove è stato lavato.

Una volta ripulito i parenti si sono resi conto che le lancette avessero ripreso a muoversi. La Questura viene avvertita e rileva nuovamente l’orario: le 11:20, ma di mattina o di pomeriggio?

Ma quindi com’è morta davvero Francesca Alinovi?

I due avranno probabilmente litigato, la donna e il suo aggressore, mentre si trovavano seduti a conversare. L’aggressore esce così un coltello dalla lama corta, non appena 2 centimetri, con base larga, e sferra la prima coltellata.

La Alinovi prova a difendersi torcendo il busto, non avendo come scappare. Viene colpita sulla parte destra del collo, del deltoide e del torace. Probabilmente tenta di sfilargli la lama dalle mani, non avendo successo. Colpita la giugulare, a causa di un meccanismo di flesso, Francesca precipita a terra, boccheggiante. Comincia a perdere sangue mentre l’aggressore infierisce su di lei, inginocchiandosi su di lei.

Sicuramente si sporca di sangue, soprattutto sulle mani e sicuramente sui pantaloni. A confermare ciò le macchie di sangue attorno l’interruttore della luce.

L’assassino di Francesca Alinovi era deciso ad uccidere, non si tratta di un errore o di un gioco erotico. Ma ciò che è certo è che il killer è uscito da quell’appartamento sporco di sangue.

Inoltre, che bisogno c’era di toccare l’interruttore, se non per accendere o spegnere la luce? E che bisogno c’era di farlo se alle 19:30 di giugno il Sole splende ancora?

Il caso della Alinovi non è l’unico a colpire l’ambiente del DAMS. Nel 1982, pochi mesi prima, Angelo Fabbri, uno degli studenti scompare misteriosamente e viene ritrovato giù di un burrone, colpito da dodici coltellate. C’è anche Liviana Rossi, il cui corpo viene ritrovato a luglio dell’83’ in Calabria. Infine, Leonarda Polvani, scomparsa il 3 dicembre del 1983.

Quattro omicidi in otto mesi. Potrebbero essere collegati tra loro? Non c’è nessuna prova di un possibile legame, rimane solo uno strano collegamento. Crimini insoluti che continuano a fornire fascino a Bologna.

Ma allora, Francesco Ciancabilla è davvero colpevole dell’omicidio di Francesca Alinovi?

Scritto da Gaia Vetrano


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