Possiamo fidarci del nuovo World Happiness report?

di Alessio Pio Pierro
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 7 Min.

Verso la fine del marzo scorso, come ogni anno, è stato rilasciato dal Sustainable development network il “World Happiness report”, uno studio che classifica i paesi dal meno al più felice al mondo.

Per il sesto anno consecutivo a trionfare è la Finlandia, con un indice di “Average Life Evalutation” di 7.8. A seguire Danimarca e Islanda, confermando per l’ennesima volta l’apparente qualità di vita superiore dei paesi nordici. L’Italia passa dalla 31esima posizione alla 33esima con 6.4, fanalino di coda l’Afghanistan con 1.8.

Tra le misure da intraprendere da parte dei governi mondiali individuate dal Rapporto si leggono: l’aumento degli investimenti sociali perché le «spese sociali portano a un livello maggiore di felicità, in particolare nei Paesi i cui governi sono efficaci e fidati». L’investimento in campo sanitario e di salute mentale, ed anche la protezione della natura e il contrasto al cambiamento climatico. Difatti il contatto con la natura e con le aree verdi può influenzare positivamente il benessere individuale.

I criteri utilizzati per stilare la classifiche sono diversi. I social media, per esempio, possono costituire una fonte fondamentale di dati sul livello di felicità di una società. Il rapporto sottolinea come, attraverso l’analisi del linguaggio e dei contenuti postati online, si possano ottenere informazioni per monitorare l’efficacia delle politiche adottate ed effettuare le modifiche necessarie per aumentare il benessere della popolazione. Il supporto sociale, il reddito, la libertà nelle scelte di vita, la generosità e l’assenza di corruzione sono altri dati fondamentali analizzati.

World Happiness Report
L’infografica di Visual Capitalist della classifica del World Happiness Report.

Quanto può essere affidabile il World Happiness report?

Quello che chiunque può chiedersi al momento della pubblicazione di un report di questo tipo è come si possa misurare la felicità in un mondo così ineguale. Ma soprattutto, quale sia il concetto di felicità. Come si può quantificare?

Per poter giungere a queste conclusioni, i ricercatori si sono posti cinque domande fondamentali. La prima è quella su cui emergono più interrogativi riguardanti l’affidabilità.

Qual è l’opinione comune sulla misurazione della felicità nazionale e che tipo di comportamento richiede agli individui e alle istituzioni?

Nel report viene spiegato che il modo naturale per misurare la felicità di una nazione è chiedere a un campione rappresentativo di individui quanto sia soddisfatto della propria vita.

Una popolazione sperimenterà alti livelli di soddisfazione generale della vita solo se la sua gente è anche pro-sociale, sana e prospera. In altre parole, la sua gente deve avere alti livelli di ciò che Aristotele chiamava “eudaimonia”. Quindi, a livello della società, la soddisfazione della vita e l’eudaimonia vanno di pari passo.

Aristotele intendeva per “eudaimonia” la «felicità come scopo fondamentale nella vita». Viene inteso quindi che per raggiungere un alto livello di felicità all’interno di una nazione, i governi debbano avere come scopo primario il raggiungimento generale della felicità nella propria popolazione.

Successivamente nel report si afferma che «a livello individuale, tuttavia, possono divergere. Come dimostrano le prove, il comportamento virtuoso generalmente aumenta la felicità dell’attore virtuoso (così come del beneficiario). Ma ci sono un numero considerevole di persone virtuose, compresi alcuni badanti, che non sono così soddisfatti della propria vita.» Ragione per la quale viene aggiungo che per valutare una società, una situazione o una politica, non si dovrebbe guardare solo alla felicità media, ma ci si dovrebbe soffermare particolarmente sull’altra faccia della medaglia, la scala della miseria.

Gli interrogativi

I ricercatori del World Happiness Report hanno ammesso che ci sono dubbi riguardo la metodologia di come viene misurata la miseria ed attuata la beneficienza – strumento utile a combattere la miseria – che ha dato modo al dato di benevolenza di aumentare all’interno della classifica.

La beneficenza si basa sull’aiuto nei confronti di persone bisognose, scenario che si crea per via delle disuguaglianze sociali. Come evidenzia però in una sua analisi Il Sole 24 Ore, «per studiare la disuguaglianza della felicità, ci concentriamo innanzitutto sul divario di felicità tra la metà superiore e quella inferiore della popolazione. In realtà, come appare evidente, quando valutiamo una società, una situazione o una politica, non dovremmo guardare solo alla felicità media che porta (anche per le generazioni future). Dovremmo guardare, sottolinea il report, alla portata dell’infelicità (cioè, alla scarsa soddisfazione di vita) che ne deriva.» Ragion per cui, questo non risulta essere un dato preciso.

Sempre riguardo la prevenzione della miseria, nel report si afferma:

Per prevenire la miseria, i governi e le organizzazioni internazionali dovrebbero stabilire diritti come quelli della Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite (UDHR). Dovrebbero anche ampliare gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) per considerare congiuntamente le dimensioni del benessere e della politica ambientale al fine di garantire la felicità delle generazioni future. Questi diritti e obiettivi sono strumenti essenziali per aumentare la felicità umana e ridurre la miseria ora e nel futuro.

Questa però sembra essere un’affermazione troppo generale, applicabile solo ai paesi occidentali. «Quando si allargano le disparità non solo economiche e quindi non solo legate alle condizioni materiali ma anche culturali ed esistenziali è complicato pensare a una misurazione condivisa della felicità.»

Quello che evidenzia inoltre il giornale economico-politico, è che sia durante gli anni pre-covid, che in quelli post-pandemia (culminati da eventi come la guerra in Ucraina, la crisi energetica globale e l’inflazione) si siano registrati sempre punteggi alti di grado di felicità. Ciò che emerge quindi, è una certa resilienza da parte della popolazione mondiale, ma da come abbiamo potuto osservare in questi anni non sembra essere stato affatto così, ed è anche normale.

In conclusione…

Il significato alla base della critica è che il concetto di felicità, in base allo stato, alla propria cultura e ad altri fattori, è variabile e non se ne può trovare uno che sia lo stesso per tutti. Questo rende la classifica poco affidabile poiché mancante degli indicatori che permetterebbero una miglior valutazione del contesto di ogni nazione.

Scritto da Alessio Pio Pierro

Fonti: Il Sole 24 Ore; Futura Network; Wikipedia, Fortune Ita; World Happiness Report.


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