“L’Arcadia” di Sannazaro: un inquieto luogo paradisiaco

di Costanza Maugeri
5 Min.

In questi tre minuti di letteratura ho deciso di raccontarvi un’opera che ha rappresentato un modo totalmente nuovo di approcciarsi al locus amoenus pastorale della Classicità: l’arcadia di Iacopo Sannazaro.

Iacopo Sannazaro: un uomo minacciato da costante inquietudine

Iacopo Sannazaro

Iacopo Sannazaro nasce a Napoli il 28 Luglio 1455.

La sua gioventù è segnata da numerosi eventi drammatici: all’età di soli 7 anni muore il padre, successivamente il re requisisce alla famiglia le miniere di allume di Agnano, suo principale sostentamento.

Nel 1474, quasi 20enne, subisce la morte della madre.

Visse un amore infelice con Carmosina Bonifacio, morta in giovane età.

Questi eventi rappresentarono per lui la minaccia di una costante malinconia che minò il suo animo fino alla morte.

Sannazaro sente su di lui una perenne scontentezza che si accompagna a uno sforzo creativo costante.

Le sue opere si interrompono sempre nel momento che precede l’esplosione dell’io lirico. Come se in apnea sott’acqua, egli non si concedesse mai quell’attimo per riprendere fiato, implodendo nell’assenza di ossigeno.

Morì nella sua villa di Mergellina nel 1530.

L’Arcadia: un locus amoenus minacciato dal dolore

L’Arcadia è il capolavoro di Iacopo Sannazaro, scritta in varie fasi di composizione tra il 1483 e il 1485.

L’opera è un prosimetro ossia composta da versi e prosa.

Dodici brani in prosa e dodici egloghe per creare un mondo che sia, forse, specchio di Sincero, il protagonista, dietro cui si nasconde lo stesso autore.

Le prime prose ci presentano il paesaggio incontaminato dell’Arcadia, regione dell’antica Grecia, la cui economia si basava esclusivamente sull’ agricoltura e sull’allevamento.

Boschi, monti, ambiente in cui i pastori svolgono la loro quotidianità. Questa è l’Arcadia presentata con una tale delicatezza da sembrare impossibile che si insinui in tale bellezza, descritta dalla prosa e cantata nei versi, il dolore.

La trama si infiltra in questa atmosfera come una minaccia, dalla settima egloga in poi.

Sincero dopo aver abbandonato Napoli per sfuggire dal dolore amoroso, si rifugia in Arcadia, sperando di lenire la sua sofferenza.

Ma ciò non accade… vede dappertutto la sua donna, da questo espediente intimamente narrativo qualcosa di profondo inizia a turbare la serenità ambientale.

Segni premonitori annunciano a Sincero la morte dell’amata e si ripresenta il dolore dell’assenza dell’amore materno vissuto attraverso la morte di Massilia, madre del pastore Ergasto. Il nome proprio rappresenta un evidente calco di Masella, nome della madre dell’autore.

Nell’ultima prosa il protagonista compie un viaggio nelle profondità del Pianeta Terra, dove hanno origine tutti i fiumi e tutti i vulcani. Dopo aver completato questo viaggio riemerge a Napoli, dove, tra altri pastori, incontra anche il Pontano, nome di un celebre umanista napoletano contemporaneo di Sannazaro.

Nell’ultima egloga Pontano canta disperatamente per la morte della moglie e il grido di sofferenza si espande come un fumo nero per tutta Napoli:

Le nostre Muse sono estinte: secchi sono i nostri lauri: minato ò il nostro Parnaso: le selve son tutte mutolo: le valli, e i monti per doglia son divenuti sordi: non si trovano più Ninfe, o Satiri per li boschi: i pastori han perduto il cantare…

Scritto da Costanza Maugeri


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