Gli ordini mendicanti: perché vennero fondati?

di Costanza Maugeri
7 Min.

Gli ordini mendicanti (francescano, domenicano, carmelitano, agostiniano) vengono definiti così perché alla base del loro stile di vita vi è un voto di povertà, la cosiddetta “imitatio christi”  con cui si vuole ritornare all’osservanza di un’esistenza umile come quella di Gesù Cristo votata al lavoro comunitario, alla preghiera, all’elemosina e alla predicazione.

Ma perché nascono?

I grandi cambiamenti storici hanno sempre delle ragioni profonde e si manifestano, spesso, come reazione ad una crisi. Quando vennero fondati – nel Duecento –  i due più grandi ordini mendicanti ossia quello francescano e domenicano, rispettivamente da Francesco D’Assisi e Domenico di Guzmán. La Chiesa stava attraversando una fortissima crisi. Due forze – una interna e una esterna all’Istituzione – la minacciavano. Sui margini esterni all’ortodossia si erano sviluppate forme di eresia come, ad esempio, i catari la cui dottrina si basava su un dualismo tra il mondo buono e quello cattivo.

Internamente la Chiesa si stava deteriorando a causa di una dilagante corruzione legata, ad esempio, alla compravendita delle cariche o alla vendita dell’indulgenza che portava alla cancellazione dei peccati in cambio di un’offerta in denaro.

Gli ordini mendicanti nacquero quindi  come reazione e –  nonostante predicassero un rinnovamento profondo – rimasero all’interno dei margini dell’ortodossia cristiana.

L’ordine Domenicano o dei Frati Predicatori

Ordine domenicano

Fondatore dell’ordine domenicano – da cui prende il nome –  è lo spagnolo Domenico di Guzmán. L’ordine nacque principalmente per arginare l’eresia catara. Domenico e i suoi primi compagni giravano l’Europa per predicare la Veritas.  L’approvazione ufficiale dello stile di vita domenicano avvenne il 22 dicembre 1216 e il 21 Gennaio 1217 ad opera di Papa Onorio III.

L’ordine osserva dei principi cardine – alcuni li ritroveremo anche nei francescani.

La vita in comunità – all’interno di conventi e monasteri –  è votata alla povertà e all’umiltà. Essa è itinerante. È essenziale, infatti, la predicazione e quindi il rapporto con l’esterno.

Altro aspetto fondamentale è la preghiera. Il Verbo deve essere ascoltato e accolto. Per far ciò è essenziale lo studio che permette di meditare e razionalizzare sulla  Parola di Dio.

I Conventi domenicani, per tale motivo, sono dotati di grandi biblioteche ricche di opere filosofiche e teologiche. Ad oggi, dobbiamo ai Frati Predicatori l’invenzione dello Studio come luogo fisico. In principio, infatti, ogni confratello nella sua cella – all’interno del convento –  aveva a disposizione un tavolo, un letto e una fonte di luce.

Contemplata aliis tradere: ecco una bella definizione del carisma dei frati Predicatori, che ne è divenuta quasi una parola d’ordine. L’Ordine deve vivere di una contemplazione, che quasi naturalmente, per una sorta di necessità intima, diviene predicazione di ciò che si è conosciuto.

Vi sono tratti comuni che caratterizzano coloro che vivono la spiritualità domenicana, a qualsiasi latitudine geografica e di pensiero. È una spiritualità che, in un modo o nell’altro, porta le stimmate del suo fondatore, e dell’esperienza che lo segnò. Domenico e i suoi primi compagni lottarono contro il dualismo dei «catari», che vedevano nel mondo materiale – e quindi nella corporeità, nelle istituzioni della società umana e della Chiesa, nella natura, e in ultima analisi nella ragione al di qua della fede – un’opera del diavolo, o addirittura di un dio malvagio. Questa lotta ha segnato il nostro Ordine. La spiritualità domenicana conosce le profondità dello spirito, ma non dimentica mai che l’uomo è un anima e un corpo. È una spiritualità che non disprezza, anzi valorizza, quanto è proprio della corporeità, del diritto e dei diritti dell’uomo; che rende onore, anzi prova quasi meraviglia, di fronte a una ragione che cerca di andare fin dove può.

Si potrebbe forse dire che la spiritualità domenicana si riassume con quelle parole decisive del prologo del Vangelo di Giovanni: Verbum caro factum est. Dio si è fatto carne, e per questo la carne non va disprezzata: si deve assumere, perché il Signore stesso la ha assunta, e ne ha fatto il cardine della salvezza, come dicevano i Padri della Chiesa.

Ma a farsi carne – sta scritto – è il Verbo: ossia, il Logos, Colui che è la Ragione stessa, il significato di tutto. «All’origine di tutte le cose deve esserci non l’irrazionalità, ma la Ragione creativa» (Benedetto XVI): questa è la certezza sulla quale i Domenicani cercano in ogni cosa la ragione, nell’opera della Ragione.

L’Ordine Francescano

Anima carismatica e votata alla povertà è, invece, Francesco D’Assisi fondatore dell’Ordine francescano. Venne approvato da Onorio III il 29 novembre 1223. Francesco – così come Domenico – predicò la fede. Tanto che i pochissimi anni l’Ordine contava numerosi seguaci. Il senso dell’imititio Christi è ancora più forte che nei domenicani. La povertà assoluta e l’itineranza sono fondamenti dell’ordine. Lo stesso Francesco in vita si spoglia dei beni materiali  e sposa Madonna Povertà.

La predicazione, infatti, non avviene, principalmente, attraverso l’arma dell’istruzione e del linguaggio, ma con l’esempio concreto di rinuncia a ogni piacere mondano.

Per conformarsi al nostro Signore Gesù Cristo, «che umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte» (Fil 2,8), i Frati minori ritengono la minorità elemento essenziale della loro vocazione specifica e la vivono fedelmente in povertà, umiltà e mansuetudine, tra i più piccoli, senza potere né privilegio (cf. CCGG 64; 66 §1; 85).

Il ruolo della predicazione

La predicazione è stata – per secoli – lo strumento di comunicazione e manipolazione di massa. In un Europa in cui buona parte della popolazione era analfabeta e in cui – prima dell’invenzione della stampa – ad opera di Gutenberg – comprare un manoscritto era un privilegio di pochi. I due ordini mendicanti puntavano su tre elementi: spiegare la dottrina cristiana, invitare a seguirne i comandamenti ed informare sulle ripercussioni per chi non l’avesse fatto. La predicazione avveniva in lingua volgare. E seguiva una griglia per procedere nel discorso affinché avesse – quanto più possibile – una funzione didattica. Altro elemento essenziale era un racconto o un exemplum morale che potesse mirare all’ immedesimazione del lettore.


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