Da Cavalcanti a Dalla: una canzone che va dall’amata

L'io lirico, la lontananza, la mancanza

di Costanza Maugeri
10 Min.

Quante volte dedichiamo una poesia o una canzone a una persona amata? La rendiamo intermediaria di ciò che sentiamo. Delegandole la responsabilità di comunicare ciò che proviamo. Ma perché? I sentimenti sono aspetti dell’animo umano complessi e travolgenti che, spesso, facciamo fatica a comunicare a parole, comuni parole. Oggi vi parlerò di due uomini che di questa “delega” ne hanno lasciato traccia. Una traccia meravigliosa. Due uomini vissuti a secoli di distanza uno dall’altro. Che, forse, in cuor loro hanno sentito nascere la stessa emozione. Di chi non sa, di chi si sente piccolo davanti alla potenza dei sentimenti. Il poeta Guido Cavalcanti e il cantautore Lucio Dalla.

“Perch’i’ no spero di tornar giammai” di Guido Cavalcanti

Il poeta Guido Cavalcanti, uno dei maggiori esponenti dello Stil Novo scrive la “ballatetta” “Perch’i’ no spero di tornar giammai” nel 1300. Sull’occasione di composizione le ipotesi sono due:

il periodo di esilio a Sarzana (La Spezia) o un viaggio a Tolosa, in Francia. A noi lettori, in questo articolo, interessa solo una questione: il poeta è lontano dalla donna amata.

“Canzone” di Lucio Dalla

“Canzone” è un brano di Lucio Dalla, scritto insieme a Samuele Bersani. Pubblicata nel 1996 nell’album “Canzoni”.

Avevo appena scritto il testo di Canzone, dove comunque si capiva che ancora cercavo di ricostruire quella storia. Mi rivolgevo a quella figura, a quella ragazza, sperando che lei riascoltasse la canzone, glielo dicevo anche dentro al testo. Questa cosa non è andata come sognavo e quindi poi ho scritto Giudizi universali, che è una canzone in cui, invece, ho già la sensazione di aver perso davvero tutto

Samuele Bersani

Cavalcanti, Dalla: la canzone che va dall’amata

Sia in “Perch’i’ no spero di tornar giammai” che in “Canzone” l’io lirico esplode dalla mancanza provocata dalla persona amata. Lontana fisicamente e mentalmente. Cavalcanti inizia la ballata con due versi lapidari:

Perch’i’ no spero di tornar giammai, ballatetta, in Toscana

Poiché io non spero di poter
mai più ritornare in Toscana, o
mia piccola ballata

Anche Dalla apre la sua Canzone con una dichiarazione di struggente mancanza nei confronti dell’amata. Alla fine della strofa arriva a dichiarare che senza lei non può vivere. Esasperazione di un sentimento universale fatto di un vuoto che ci appare incolmabile.

Non so aspettarti più di tanto
Ogni minuto mi dà
L’istinto di cucire il tempo
E di portarti di qua
Ho un materasso di parole
Scritte apposta per te
E ti direi spegni la luce
Che il cielo c’è
Star lontano da lei non si vive
Stare senza di lei mi uccide.

Il centro in entrambe le opere è la delega che i due artisti fanno alle loro parole. Cercare l’amata, invadendo, concretamente, lo spazio pubblico e parlarle dell’amato:

Canzone cercala se puoi
dille che non mi perda mai
va’ per le strade e tra la gente
diglielo veramente

Lucio Dalla

In Cavalcanti si inserisce, però, un elemento opposto a quello di “Canzone” in cui il canto deve andare tra la gente. La ballata, invece, nel muoversi in strada non deve incrociare lo sguardo delle persone. In particolar modo, quelle ostili al sentimento amoroso. Questo incontro provocherebbe angoscia nel poeta. Qui ritorna un motivo stilnovistico essenziale: l’amore come appannaggio dei pochi dal cuore gentile::

Tu porterai novelle di sospiri,
piene di dogli’ e di molta paura;
ma guarda che persona non ti miri
che sia nemica di gentil natura:
ché certo per la mia disaventura
tu saresti contesa,
tanto da lei ripresa,
che mi sarebbe angoscia;
dopo la morte, poscia,
pianto e novel dolore.

Tu porterai notizie dei miei
sospiri, piene di dolore (dogli’)
e di paure; ma fai attenzione
che non ti veda (miri) nessuno
che sia nemico del cuore nobile,
perché per la mia disgrazia
(disaventura) tu saresti certamente ostacolata (contesa) e
tanto rimproverata (ripresa) da
questa persona vile (lei), che
ciò sarebbe per me motivo di
angoscia; e poi (poscia), dopo la
mia morte, ancora di pianto e di
rinnovato dolore

Entrambi gli artisti nel corso della dichiarazione amorosa rinnovano l’affidarsi alla loro lirica. Che non è, ancora una volta, estraneo dal dolore.

Deh, ballatetta mia, a la tu’ amistate
quest’anima che trema raccomando:
menala teco, nella sua pietate,
a quella bella donna a cu’ ti mando.
Deh, ballatetta, dille sospirando,
quando le se’ presente:
«Questa vostra servente
vien per istar con voi,
partita da colui
che fu servo d’Amore».

Oh, mia piccola ballata, affido
alla tua amicizia (amistate)
quest’anima che trema: portala
con te con il suo dolore (nella
sua pietate) da quella bella
donna dalla quale ti mando.
Oh, mia piccola ballata, quando
sarai davanti a lei, dille sospirando: «Questa vostra serva
fedele viene per restare con
voi, allontanandosi (partita)
da colui (il poeta) che fu servo
d’Amore».

Canzone trovala se puoi
dille che l’amo e se lo vuoi
va’ per le strade e tra la gente
diglielo veramente

“Canzone”, Lucio Dalla

Cavalcanti – Dalla: la donna amata non è come le altre

Sia in Cavalcanti che in Dalla – in maniera ovviamente differente – domina un’idea: la donna amata è unica e si distingue dalle altre. E, per tale motivo, non può che accogliere le loro parole.

Dalla canta e sottolinea che la sua donna non può rimanere in uno stato d’apatia nei confronti della canzone. E aggiunge – con fermezza – che se succede vorrà dire che è la donna sbagliata. Emerge, in tal senso, una speranza nel

cucire il tempo
E di portarti di qua

non può restare indifferente
e se rimane indifferente
non è lei

In Cavalcanti, come in Dalla, non c’è rischio per la ballata di cadere in errore: la donna amata ha le tipiche caratteristiche del paradigma stilnovista: bella e gentile e, quindi, capace di dare ospitalità all’amore.

u, voce sbigottita e deboletta
ch’esci piangendo de lo cor dolente,
coll’anima e con questa ballatetta
va’ ragionando della strutta mente.
Voi troverete una donna piacente,
di sì dolce intelletto
che vi sarà diletto
starle davanti ognora.
Anim’, e tu l’adora
sempre, nel su’ valore

Tu, voce angosciata e fioca che
esci piangendo dal mio cuore
sofferente, riferisci (alla mia
donna) insieme all’anima (v. 45)
e insieme a questa cara ballata
che la mia personalità è distrutta (strutta mente). Voi troverete
una donna bella, tanto gentile
(di sì dolce intelletto: letteralmente, di tanta comprensione
intellettuale e affettiva) che per
voi sarà una gioia stare sempre
in sua compagnia. Anche tu,
anima, adorala sempre, per le
sue virtù spirituali (valore).

La mancanza e l’io: sentimento universale

comunicare v. tr. e intr. [dal lat. communicare, der. di communis «comune1»; nel sign. 3, dal lat. eccles. communicare (altari) «partecipare all’altare», cioè «alla mensa eucaristica»] (io comùnico, […] le proprie impressioni. Quindi anche divulgare, rendere noto ai più: c. un avviso, un annuncio; la televisione ha comunicato la notizia. b. tr. Trasmettere ad altri per contagio: c. l’infezione. c. tr. In meccanica, di energia o moto trasmessi

Enciclopedia Treccani

É successo a tutti e tutte noi, almeno una volta nella vita, di percepire una voragine, un vuoto d’assenza e mancanza, un vuoto d’amore.

Di quello che il vuoto è ciò che di più concreto c’è nel nostro stomaco. Di percepire quasi un’arresa interiore come se niente intorno a noi avesse più importanza o come se tutto ci riconducesse – nel quotidiano – a quel vortice. Una mancanza che non riusciamo a comunicare perché le parole sembrano non poter arrivare a quel grado di pienezza.

Come le spieghi alle persone che ami e ti manca – e dalla quale senti una lontananza fisica e mentale – ciò che provi?

Ho sempre pensato che il dolore ci renda artisti perché attraverso l’arte, la scrittura, la musica, forse, quel sentimento lo esorcizziamo. Impariamo a conviverci, ad abbracciarlo e a proteggerlo.

L’arte ci rende consapevoli che quel sentimento esiste, ci grida che no, non possiamo scappare. Ma, nello stesso momento, ci dona la possibilità di canalizzarlo, di comprenderlo. A volte riempie la stanza di fogli, note, macchie di colore sparsi. Possiamo decidere di farlo andare tra la gente e comprendere che quel dolore, che quella speranza appartiene ad ognuno dì noi e ci rende così dannatamente e fortunatamente umani.


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