Il rosmarino non capisce l’inverno di Matteo Bussola | Recensione

Donne resilienti come il rosmarino

di Costanza Maugeri
5 Min.

Il Rosmarino non capisce l’Inverno” è un’opera di Matteo Bussola edita da Enaudi nel 2022. Oggi ne parliamo!

Cenni biografici sull’autore

Matteo Bussola, classe 1971, è uno scrittore e fumettista veronese. “Il Rosmarino non capisce l’inverno”, divenuto un bestseller, è il suo penultimo romanzo, in ordine di pubblicazione. Esordisce come romanziere nel 2016 con “ Notti in bianco, baci a colazione” per Enaudi. L’anno successivo pubblica, con la stessa casa editrice, “Sono puri i loro sogni. Lettera a noi genitori della scuola”. L’ultimo romanzo, invece, si intitola “Un buon posto in cui fermarsi” edito nel 2023.

Come fumettista pubblica già nel 2007 con “Detective Dante“, Eura Editoriale e negli anni immediatamente successivi. “Zeroventi” – pubblicato l’anno scorso – appare in commercio dopo due anni da ” Bacteria” edito da Star Comics.

Nel 2022 si cimenta, anche, con l’opera teatrale “Viola e blu” della quale cura sceneggiatura e adattamento.

“Il rosmarino non capisce l’inverno”: la resilienza femminile

Matteo Bussola
Matteo Bussola

Matteo Bussola scrive:

Ho deciso di scrivere di donne perchè non sono una donna. Perché ho la sensazione di conoscerle sempre poco, anche se vivo con quattro di loro. E perchè è più utile scrivere di ciò che vuoi conoscere meglio, invece di ciò che credi di conoscere già.

Si, “Il Rosmarino non capisce l’inverno” è un romanzo tutto al femminile. E lo comprendiamo, già , dalla sinossi:

Una donna sola che in tarda età scopre l’amore. Una figlia che lotta per riuscire a perdonare sua madre. Una ragazza che invece non vuole figli, perché non sopporterebbe il loro dolore. Una vedova che scrive al marito. Una sedicenne che si innamora della sua amica del cuore. Un’anziana che confida alla badante un terribile segreto. Le eroine di questo libro non hanno nulla di eroico, sono persone comuni, potrebbero essere le nostre vicine di casa, le nostre colleghe, nostra sorella, nostra figlia, potremmo essere noi. Fragili e forti, docili e crudeli, inquiete e felici, amano e odiano quasi sempre con tutte sé stesse, perché considerano l’amore l’occasione decisiva. Cadono, come tutti, eppure resistono, come il rosmarino quando sfida il gelo dell’inverno che tenta di abbatterlo, e rinasce in primavera nonostante le cicatrici. Un romanzo in cui si intrecciano storie ordinarie ed eccezionali, che ci toccano, ci interrogano, ci commuovono.

Le storie di vita di 19 donne – che occupano ognuna poche pagine – sembrano rispondere a una serie di domande che abitano la prima pagina e mezza del romanzo – ancora prima che prenda avvio. Domande che l’autore rivolge – contemporaneamente – a se stesso, ai lettori e alle lettrici.

A cosa pensa una donna quando, assordata dalle voci di tutti, capisce all’improvviso di avere soffocato la propria? Di non essersi mai davvero prestata ascolto? Cos’hai pensato, tu, la mattina o il pomeriggio o la notte in cui, per la prima volta, lo hai capito?

Un’opera che si pone come testimone della resilienza femminile che non si nega, però, lo slancio di meraviglia che la vita ci offre. De André scrive, in Via del campo: Dal letame nascono i fior. Il titolo diventa, quindi, esemplificazione del romanzo stesso. Il rosmarino è una sempreverde. Fiorisce dalla primavera all’autunno, ma riesce a resistere anche all’inverno.

Una raccolta di racconti brevi che mira a trovare nel finale – a sorpresa in teoria, in pratica non troppo – la coesione. Nonostante, infatti, ogni storia ha una sua compiutezza nelle poche pagine ad essa dedicate, si percepisce fortemente un “non è finita qui”. Come le molliche lasciate sul sentiero da Pollicino, si fanno strada dei velati indizi.

Un romanzo dalle non troppe pretese

L’intenzione è ottima, ma il risultato non la rispecchia del tutto. La sensazione – che si avverte, cresce e che raggiunge il suo apice con il finale – è questa: si poteva far di più. Un’opera piacevole – a tratti emozionante – ma, sicuramente, non un capolavoro. La brevità di ogni racconto dona una generale scorrevolezza, ma sacrifica – spesso – lo spessore psicologico delle protagoniste. Dipinte, non poche volte, in modo approssimativo. Quando la sabbia nella clessidra – per ogni donna – si esaurisce; sorge una domanda: E quindi? Domanda che rappresenta, però, anche il principale punto di forza. Ci prepara per il finale in cui sembra risiedere lo sforzo letterario dell’autore. Ma vale la pena delegare al finale la volontà di centrare il segno? Lascio rispondere voi!

In conclusione, mi sento di consigliarlo. Un’opera, si, dalle non troppe pretese, ma che riesce a donare, a lasciare qualcosa dentro. Da leggere al mare sotto l’ombrellone o in una serata di pioggia in compagnia di coperta e cioccolata calda. Voto? 7/10.


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