No, non è educativo dare “una sculacciata ogni tanto”

di Alessio Pio Pierro
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 6 Min.

“Quando un bambino colpisce un bambino, si parla di aggressione.
Quando un bambino colpisce un adulto, si parla di ostilità.
Quando un adulto colpisce un adulto, si parla di assalto.
Quando un adulto colpisce un bambino, la chiamiamo disciplina.”
(Haim G. Ginott)

Ammettetelo, almeno una volta nella vostra vita avrete sentito una persona giustificare l’uso della sculacciata, dello schiaffo schiaffo, della cinta, per fare un esempio, o della violenza in generale come punizione ad un comportamento sbagliato di un bambino.

Per Save The Children, in Italia, il 22% di mamme e papà dà uno schiaffo ai figli qualche volta al mese, e se si passa dalla fascia di età 3-5 anni a quella successiva 6-10 anni la percentuale aumenta al 27%.

In moltissimi casi, tali comportamenti possono portare a situazioni estreme di violenza domestica, dovute ad uno stress o da un esaurimento di un genitore, causate da infiniti fattori, dove il bambino in genere, viene usato come oggetto di sfogo e subisce maltrattamenti fisici e psicologici legati anche a condizioni di discuria ed incuria.

La sculacciata nel mondo: qualche statistica

Nel mondo, in base ad una ricerca condotta nel 2021 dalla World Health Organization, il 65% dei minorenni di età compresa tra 2 e 14 anni ha subito punizioni corporali da parte dei propri genitori o altre persone volte al loro tutoraggio.
Secondo i dati raccolti in 30 Paesi, sei bambini su dieci tra i 12 e i 23 mesi sono soggetti a disciplina violenta e di questi almeno la metà è esposta ad abusi verbali.

Seppur in Italia le statistiche non siano così alte, c’è bisogno di educare anche che la semplice sgridata può nuocere sulla salute mentale del bambino, il sistema educativo violento dello “schiaffo ogni tanto”, o del “quando ci vuole, ci vuole” non è abbastanza sensibilizzato all’interno della concezione popolare e spesso viene giustificato.

No, le conseguenze non sono positive

L’accettazione sociale di questo sistema è molto alta di quanto si pensi, nella società moderna, non viene considerato grave se viene dato uno “schiaffetto” ad un bambino perché “ha fatto il cattivo” o se viene sgridato a casa o addirittura davanti ai suoi coetanei, dove l’umiliazione può portare anche a episodi di bullismo nel contesto scolastico.
Comportamenti del genere, per numerosi scienziati, possono portare ad uno sviluppo di patologie di carattere ansiogeno, ad una propensione ad avere aspetti caratteriali di insicurezza e paura, a una cognitiva perdita di autostima, all’incapacità di socializzare e alla depressione.

L’utilizzo della violenza su un bambino può avere un effetto negativo anche nell’aspetto psicoaffettivo di quest’ultimo.
Può innescare nella sua mente una legittimazione di questo tipo di comportamenti, tali da usarli nelle circostanze sociali, alimentando un ciclo intergenerazionale di violenza.

Ma allontandoci un attimo dalla violenza causata direttamente al bambino, quanto può avere effetto l’osservazione di una violenza o di un comportamento aggressivo da parte di, per esempio un fratello di chi ne è vittima?
Questo sistema, indirettamente, può avere un effetto anche su soggetti osservanti?

Come spiega la Psicopedagogista Tiziana Dollorenzo Solari: “Lo schiaffo è diseducativo, soprattutto a due o a tre anni: i bambini sono spugne che apprendono un modo sbagliato di agire e comunicare”.
L’esperta afferma infatti che i bambini guardano, apprendono e imitano.

Un esperimento di Bandura schiarirà le idee a chi ancora non è convinto

Ci conferma questo parere un esperimento dello psicologo canadese Albert Bandura, effettuato tra il 1961 e il 1963.
Sostanzialmente l’esperimento consisteva nel mostrare a 24 bambini dell’età tra i 3 e i 5 anni un adulto picchiare violentemente una bambola di nome Bobo e ad altri 24 un adulto giocare solamente con questa bambola.
Dopo l’osservazione, ogni singolo bambino di ogni gruppo è stato lasciato solo con Bobo per un’ora, e si è notato che i bambini presenti nel gruppo osservante del modello aggressivo, facevano uso di violenza fisica alla bambola, mentre i restanti no.

In ambito normativo, le punizioni corporali in Italia sono vietate solo se inflitte da insegnanti o collaboratori scolastici, visto l’uso storicamente perpetrato nelle scuole di questo sistema educativo, motivo per la quale è una costante ancora adesso nelle case di moltissimi bambini.
Tuttavia, non c’è una vera e propria norma che punisca le punizioni corporali in ambito familiare.
Nel mondo in paesi come Germania, Francia, Norvegia, Svezia, Spagna e molte altre, l’uso di punizioni corporali in famiglia è illegale.
Mentre sorprendentemente, in stati come Inghilterra, Usa e Australia, si ha una situazione quasi uguale a quella italiana.

Fortunatamente la cultura basata sulla violenza come metodo educativo è in calo rispetto a 40-50 anni fa, grazie anche ad una maggiore consapevolezza di questo problema, ma la strada è lunga e c’è ancora molta strada da fare per far si che questo sistema non venga più usato dalle famiglie di tutto il mondo

Scritto da Alessio Pierro


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