È per Giulia e per tutti il nostro “basta” al maschilismo omicida

di Alessia Giurintano
6 Min.

Un altro caso di cronaca investe i giornali e i media italiani negli ultimi giorni, lasciando tutti col fiato sospeso: il caso di Giulia Cecchettin

Poi, nella giornata di ieri, la notizia: la giovane donna è morta, uccisa dal suo ex fidanzato

La dinamica è sempre la stessa, eppure, proprio come la storia, si ripete e non si impara niente.

La ragazza scompare con il suo ex l’ 11 novembre: iniziano le ricerche nell’immediato. 

A distanza di sette giorni, sabato 18 novembre, dopo una attesa pregna di agonia nazionale, viene ritrovato il suo corpo, in un canalone vicino al lago di Barcis, in provincia di Pordenone

Per Giulia, per noi: fermare la catena di sangue e spezzare il circolo machista

Cara Giulia, Cari Lettori,

Il recentissimo caso di cronaca ci lascia l’amaro in bocca, tipica sensazione di chi un epilogo del genere se lo aspettava. Eppure, per sette giorni, abbiamo seguito con apprensione e angoscia tutti gli aggiornamenti in tempo reale, in bilico fra la speranza e la consapevolezza di un finale noto.

Giulia Cecchettin è l’ennesima vittima di femminicidio del 2023. Vittima del suo ex fidanzato, di se stessa, ma soprattutto della società maschilista.

Tante donne prima di lei hanno subito la stessa sorte, con dinamiche simili, che hanno scosso la sensibilità e le coscienze di tutti solo temporaneamente. Perché, purtroppo, la morte nella attuale società è oggetto di retorica.

Incastrati nel “si poteva evitare”, e nel circolo del “basta morti del genere“, rimaniamo immobili mentre attorno a noi si sparge sangue.

Il sangue che ci appartiene, che ci scorre dentro, e che ci tocca personalmente, ricordandoci che oggi è Giulia, ieri è stata Annalisa e domani chissà.

La società maschilista in cui siamo immersi, danneggia le donne e l’intera comunità di individui che la abitano. Il forte radicamento alla tradizione, ha ingannato l’uomo.

Il sociologo Pierre Bourdieu ha scritto di uomini e mascolinità come categoria di potere.

Il virilismo si è costituito come pilastro, insabbiando altri valori insiti dell’individuo. L’uomo è stato storicamente plasmato su modelli di autorità, predominio, violenza: indistintamente su cose e persone.

Cresciuto secondo categorie di differenza biologica, l’uomo ha costruito una dinamica pseudo-naturale di superiorità, relegando nel subalterno la categoria a lui immediatamente opposta: la donna.

La prospettiva androcentrica è legittimata su scala sociale, a tal punto da diventare un modello naturale. L’uomo al vertice della piramide, che si impone in un rapporto di dominazione- subalternità.

La categorizzazione, l’incasellamento in atteggiamenti e ruoli, ha origine dal contesto familiare: la donna è moglie e madre, programmata per procreare e accudire, per sua naturale propensione all’affetto e alla tenerezza. L’uomo, di contro, è forte e deciso, perno dell’economia domestica.

No, non ci riferiamo ai tempi antichi, dei nostri nonni, ma a quelli più recenti.

Purtroppo, la mentalità è progredita sì, ma presenta residui intrusivi e interiorizzati di maschilismo.

La donna è bloccata in questa visione sociale di sé, ma anche l’uomo lo è, in quanto exemplum che deve costantemente dare prova della sua virilità. Pensare e ripensare se stesso come dominante, e imperturbabile. L‘emotività è tabù, stigmatizzata e intesa in termini socio-culturali come femminile.

Ebbene, il maschilismo è ancora tra noi, nel divario tra i generi e negli atteggiamenti interiorizzati da una società che ha imparato progressivamente a normalizzarli, eludendo l’allarme.

Il pericolo della generalizzazione e l’arma dell’educazione

No, gli uomini non sono tutti carnefici.

Sebbene la violenza sia uno degli scenari possibili che storicamente si sono verificati, e a cui l’uomo, come individuo, è stato abituato nel tempo. Il passaggio dalle armi ai gesti quotidiani è breve: è un processo di riproduzione.

Questo modello radicato culturalmente può davvero cambiare, attraverso un massiccio programma di educazione all’affettività.

Ma non solo, è necessario disinnescare il meccanismo per cui l‘uomo è predominante e infallibile, investito dalla pressione dell’exeplum di virilità e successo ad ogni costo.

Ammettere il fallimento è fonte di formazione ed educazione, ed è un bene comune. L’individuo è misero, limitato e imperfetto. E va bene così.

L’amore, il rifiuto, il dolore, la perdita, il fallimento, passano attraverso un duro lavoro personale, che è necessario per relazionarsi con l’altro.

Perciò, Cara Giulia, il tuo sangue è il nostro, fino a quando non avverrà un reale scatto concreto, siamo tutti complici e tutte vittime. Ma no, non tutti carnefici.

Le ragazze di nxwss, e tutto lo staff

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