The spotlight effect, sentirsi “in prestazione” nella propria vita

Esplorando lo "Spotlight Effect" ed il drama sociale che ci circonda

di Dudnic Radu
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 9 Min.

Introduzione

Avete presente quando guardando un film, per un breve istante, ci si rende conto che l’attore in realtà sta performando? La magia dello schermo sembra dissolversi, e per un’istante la bravura dell’attore vien meno, lasciando trasparire una sorta di “messa in scena” nella sua prestazione artistica.

Ma cosa succede quando questa sensazione di “messa in scena” invade la vita di tutti i giorni? Quando ogni azione sembra calcolata, e ci si sente estranei alla realtà? Quando ci si ritrova a recitare un ruolo, non solo davanti alle telecamere, ma nella complessità dei rapporti e nella routine quotidiana?

Cantanti ne parlano, poeti ne scrivono, sociologi lo analizzano, e psicologi cercano di combatterlo, ma vediamo nel dettaglio di cosa si parla, attraverso il punto di vista di diversi esperti.

Psicoterapeuti e prestazione sociale

«Mi sento sempre in prestazione»

Questa è una frase che lo psicoterapeuta Francesco Rizzo ha sentito spesso all’interno della stanza di terapia, vis a vis. Ma che cosa significa sentirsi sempre “in prestazione”? Generalmente chi soffre di questa dinamica, non lo dichiara apertamente, ma anche se non lo si esterna è un problema piuttosto comune.

Sentirsi “in prestazione” viene inteso come lo svolgimento di qualsiasi attività sociale con sforzo. Questo significa che l’interazione con gli altri non solo non è più spontanea, ma si impone in maniera rigida e forzata, mancando di autenticità.

“Devo stare molto attento a come mi muovo”.

Seguendo questa logica anche accettare gli inviti degli altri compromette momenti di esitazione, stare in compagnia diventa impegnativo, per non parlare di come seguirne i discorsi, e proporne di propri richieda un maggiore sforzo. Tutte queste variabili mostrano come in una condizione di stress costante, il cervello decida di premere il pulsante “modalità osservatore” e ci si trova costretti a guardare la propria vita da lontano. É come se la realtà diventasse così “meno reale”, concetto che sfocia nel fenomeno noto come “depersonalizzazione” o “derealizzazione“.

Depersonalizzazione o derealizzazione

La depersonalizzazione può essere interpretata come quella fastidiosa sensazione in cui ci si guarda allo specchio e ci si chiede se quella faccia stranamente familiare ci appartenga davvero. Questo è un fenomeno psicologico complesso in cui un individuo sperimenta una sorta di distanza emotiva e cognitiva dalla propria esperienza e dalla propria identità.

Secondo lo studio “Depersonalization: A forgotten issue in psychiatry” di Simeon e Abugel (2006), la depersonalizzazione è un’esperienza in cui un individuo si sente sconnesso da se stesso, come se stesse guardando la propria vita con gli occhi di spettatore esterno e distante. Le caratteristiche principali includono la “spersonalizzazione” e/o derealizzazione persistente o ricorrente, vale a dire profonde sensazioni di irrealtà e di distacco.

Il concetto del sé si dissolve come una vecchia memoria e ci si ritrova a vagare nei propri pensieri, cercando un senso che sembra svanire come nebbia al mattino. Il sé diventa un attore improvvisato su un palco, e la realtà, balla al ritmo delle proprie incertezze. In questo mondo di rappresentazioni, dove il sipario sembra non alzarsi mai, il detto “Ognuno è artefice del proprio destino” si sgretola nella possibilità di sentirsi lontani dalle proprie azioni.

Prestazione sociale, ruolo e status: Il sé definito dalla sociologia

Nella sociologia, ruoli e status definiscono il nostro “io” sociale. Siamo tutti attori, ma cambiamo maschere a seconda del contesto. Lo status di una persona, visto attraverso il suo ruolo e descrive le responsabilità e i vantaggi basati sulla sua posizione e il ruolo nella società.

Ad esempio, termini come “fratello” o “figlio” sono esempi di ruoli definiti nella società. Questi “status” possono essere assegnati per caso o ottenuti per scelta. Ma la vita non è così semplice da poter affermare “sono un figlio e basta“, perché tutti noi ricopriamo una moltitudine di ruoli nel nostro quotidiano.

© – Rach Teo

La prestazione teatrale nella vita: Goffman, Pirandello e Mead

Erwing Goffman

La prospettiva di Goffman, psicologo sociale, ci offre un’analogia teatrale per spiegarci meglio questo complesso concetto. Egli sosteneva che ciascuna persona è un attore su un palco, e, utilizzando “l’impressione” suscitata, si presenta al pubblico nel modo desiderato. Questo è simile a come un individuo agisce in modo diverso a casa, al lavoro, a scuola, ecc., perché scene diverse richiedono ruoli diversi.

In modo intenzionale o non intenzionale, tutti noi architettiamo sempre la costruzione di una facciata che decidiamo di presentare alla platea. Durante queste interazioni, mostriamo una versione pubblica di noi stessi, ma dietro le quinte, nel “retroscena”, ci permettiamo di essere più veri e spontanei. Il vero sé rimane chi si è, quando nessuno guarda.

Pirandello

Luigi Pirandello

Analogamente, le tanto citate maschere pirandelliane, rappresentano un costrutto sociale che spesso nascondono la vera indole delle persone per far spazio alle aspettative della società. Le maschere sono un concetto chiave della poetica di Luigi Pirandello, che basa la maggior parte della sua produzione letteraria su una semplice teoria: “L’uomo accetta la maschera che lui stesso ha messo o con cui gli altri tendono a identificarlo“.

Pirandello sosteneva che le persone non hanno un “” fisso, ma sono in costante evoluzione, e le maschere riflettono questa mancanza di un’identità stabile. La maschera rappresenta la frantumazione dell’io in molteplici identità ed una struggente ricerca mirata a diventare se stessi con tutte le proprie forze. Il concetto emerge come pietra miliare in molte sue opere, come “Uno, nessuno e centomila”Così è (se vi pare…)”Sei personaggi in cerca d’autore” e “Il fu mattia pascal“.

George Herbert Mead

George Herbert Mead, eminente filosofo e sociologo statunitense, spiegava invece che un senso di sé si sviluppa sulla base delle interazioni di un individuo con gli altri. Nel corso di queste interazioni sociali, il sé si sviluppa in base alla consapevolezza di sé e all’immagine di sé dell’individuo. Questi due aspetti convergono per creare un palco su cui gli attori poi agiscono.

Se un individuo non è consapevole di questi due aspetti, cadrà dal palco, mentre se ne è consapevole, potrà muoversi con destrezza sul palco. Così, quando un “attore” interagisce con altri attori, non solo adatta il proprio personaggio alla scena impostata, ma il suo concetto di sé si evolve nel tempo in qualcosa di nuovo.

 

The spotlight effect: tra prestazione e narcisismo

The spotlight effect” ovvero il fenomeno psicologico in cui le persone tendono a credere di essere notati più di quanto essi non siano in realtà. 

Questo fenomeno è un triste bias cognitivo che ci porta a credere di essere i protagonisti indiscussi delle vite altrui, quando in realtà siamo solo uno spettatore tra tanti. L’effetto riflettore si manifesta quando una persona tende a sovrastimare l’attenzione degli altri su di sé. Questo fenomeno può influenzare il comportamento della persona, portandola a evitare situazioni sociali o a comportarsi in modo eccessivamente autoconsapevole.

Capita dunque di camminare lungo le file del supermercato, e di pensare: “Devo muovermi con attenzione, chissà cosa pensano gli altri?” Ma la cruda verità è che, nella realtà frenetica di ciascuno, siamo poco più di comparse nel palcoscenico delle loro preoccupazioni.

La convinzione del essere al centro delle attenzioni altrui è spesso molto meno marcata di quanto in realtà immaginiamo. Ci sono così tante persone su questo pianeta, dove ognuna è impegnata con la propria vita. Non viviamo in un vuoto, le decisioni e le azioni altrui possono influenzare le nostre vite. Ma concentrarsi su di esse non è produttivo.

Conclusione

Quindi, cari attori involontari di questa grande commedia chiamata vita, possiamo solo concludere che la “messa in scena” è una situazione che prima o poi si manifesta nella propria esistenza. Nella società moderna, a primo impatto, sembra che la vita stessa sia diventata una lunga e meccanica performance teatrale.

Sembriamo tutti attori improvvisati su davanti ad una platea fatta di convenzioni sociali, costantemente in scena per un pubblico che giudica ogni nostra mossa. Beh non è sempre così anche se a volte non sappiamo più dove finisca il nostro vero io e inizi il nostro alter ego da palcoscenico.

«Tutto il mondo è un palcoscenico, e tutti gli uomini e le donne sono attori.» diceva Shakespeare, ma quando il sipario si abbassa, e restiamo a tu per tu, chi siamo veramente quando le luci si spengono?

di Radu Dudnic


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