O.J. Simpson: ripercorriamo il caso che lo ha coinvolto

di Emanuele Fornito
5 Min.

Lo scorso 10 aprile, a Las Vegas, è scomparso O.J. Simpson a causa di un tumore alla prostata. La vita di Simpson si divide in due: da una parte una fortunatissima carriera nella National Football League, dall’altra un processo ormai passato alla storia.

Dal football al tribunale

Simpson è stato, per gli appassionati di football americano, una vera e propria leggenda che, per tutti gli anni ’70, affascinò i fan della NFL. Terminata la sua carriera, e dopo una parentesi cinematografica, O.J. Simpson tornò sotto i riflettori nel 1994: stavolta, però, i meriti sportivi o attoriali non c’entrano. L’uomo era infatti il principale accusato del duplice omicidio che coinvolse la sua ex-moglie, Nicole Brown, ed un cameriere, Ronald Lyle Goldman, trovati morti a causa di ripetute coltellate davanti il condominio di Nicole Brown, in South Bundy Drive, a Los Angeles.

La fuga, la minaccia di suicidio ed il processo

Le accuse ricaddero prontamente su Simpson, verso cui l’ex-moglie mosse diverse denunce per violenze, portando la coppia al divorzio. La star del football, tuttavia, decise di darsi alla fuga con un amico, dopo un consulto con gli avvocati Shapiro e Kardashian, che si trasformò ben presto in un vero e proprio inseguimento, la cui diretta attirò ben 75 milioni di spettatori.

Dopo una prima minaccia di suicidio, Simpson si consegnò alle autorità, dando il via a quello che sarà ricordato come il processo del secolo.

La “scena dei guanti”

Se da una parte Simpson venne descritto dall’accusa come un marito geloso che mai aveva accettato la separazione, dall’altra gli avvocati della star di San Francisco puntavano a dimostrare una fondamentale fallacia nelle indagini della polizia, accusate di discriminazione razziale. Difatti, gli avvocati della difesa erano certi che i detective assegnati al caso avessero come unico obiettivo quello di “smontare” il successo ottenuto da Simpson, solo per i loro ideali razzisti.

Inoltre, celebre è divenuta la scena in cui il procuratore Christopher Darden cercò di provare la colpevolezza di Simpson facendogli provare dei guanti in pelle ritrovati poco distante dal luogo dell’omicidio. La mossa si rivelò tuttavia controproducente, in quanto i guanti non erano adatti alle mani dell’accusato, probabilmente anche a causa della sospensione della cura farmacologica a cui l’atleta si sottoponeva da tempo per un’artrite di cui soffriva, interruzione che provocò un ringonfiamento delle nocche.

L’assoluzione

A smontare ogni dubbio (o quasi) fu però il ritrovamento di un nastro in cui il detective della polizia che aveva rinvenuto i guanti insanguinati rivolgeva insulti razziali verso le persone di colore, esplicitando metodi poco ortodossi per incastrarli. Che i guanti fossero o meno adatti alle mani di O.J. Simpson poco importò, in quanto questa prova fece crollare completamente l’attendibilità dei guanti stessi. Si arrivò, così, ad una conclusiva assoluzione dell’imputato, che fu quindi dichiarato innocente a causa della mancanza di prove sufficienti per dimostrare inequivocabilmente la colpevolezza.

La condanna civile

Le famiglie delle vittime, tuttavia, non si arresero, e trascinarono l’atleta stavolta in sede civile, dove risultò colpevole e tenuto al risarcimento di ben 67 milioni di dollari complessivi, in quanto l’aula giudicò “probabile” la colpevolezza dell’uomo, seppur non dimostrabile certamente come già dichiarato in sede penale.

Il “processo del secolo”

Come si è potuto desumere, la colpevolezza di O.J. Simpson non è certa. Tuttavia, è sicuramente vero che il processo, durato 253 giorni, è passato alla storia come uno dei procedimenti penali che più hanno interessato il pubblico statunitense e, grazie a diversi sceneggiati televisivi, quello mondiale.


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