Quanto è limitante vivere in periferia? Spoiler: tanto

di Sofia Ciatti
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 5 Min.

Centro e periferia

Affinché un’economia di tipo capitalistico possa svilupparsi appieno, scriveva lo storico francese Fernand Braudel, è necessario un vasto spazio geografico, caratterizzato dalla presenza di tre aree, in stretto collegamento fra loro: il centro, la fascia intermedia e la periferia.
La periferia, in particolare, risulta una zona sottosviluppata ma sovraffollata, dove l’economia e la popolazione dipendono dai bisogni del centro.
Treccani definisce la periferia come “la parte estrema e più marginale, contrapposta al centro, di uno spazio fisico o di un territorio più o meno ampio”.
Ma come si vive in periferia?

Periferia e salute

Stefano Vella, medico infettivologo, docente universitario ed ex presidente AIFA, nel corso di un’intervista ha dichiarato che, per esempio a Torino, l’aspettativa di vita di chi risiede in periferia si abbassa di quattro anni rispetto a quella di chi vive in zone centrali della città.
Abbiamo diverse prove che effettivamente gli strati più poveri della popolazione vivono di meno e si ammalano di più”, spiega Viella.
Le motivazioni? Disparità socioeconomiche, povertà, differente accesso alle cure e alla prevenzione di alcune patologie.
Tutto questo ha un nome: povertà sanitaria.
Ad oggi, il 9,4% della popolazione residente versa in condizioni di povertà assoluta e circa il 7% si è trovato in condizioni di povertà sanitaria.
Una persona indigente ha a disposizione un budget per la salute pari a 9 euro mensili, mentre una persona non povera ha a disposizione sei volte tanto, cioè 67 euro.

Periferia

Periferia e scuola

Nelle periferie, rispetto alle zone centrali, si registra un tasso maggiore di povertà educativa (strettamente alimentata dalla povertà di tipo economico).
Cos’è la povertà educativa? Viene definita come “la privazione da parte dei bambini, delle bambine e degli/delle adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”.
In altre parole, le ristrettezze economiche limitano l’accesso alle risorse culturali e educative, costituendo un ostacolo oggettivo per chi proviene da famiglie svantaggiate.
Questo si traduce, a lungo andare, nella dispersione scolastica e nel divario di apprendimento
, come dimostra il fenomeno NEET, acronimo di “Not in Education, Employment, or Training”, che si riferisce in particolare ad una quota di giovani (15-29 anni) che non studiano e non lavorano.
A Ponticelli e Scampia (periferie partenopee) si registra il 32% di NEET, contro il 9% del Vomero (uno dei quartieri più ricchi di Napoli).
A Quarto Oggiaro (periferia milanese) i NEET sono il 12%, contro il 5% di Corso Buenos Aires/Porta Venezia (zona centrale di Milano).
Per quanto concerne la capitale romana, a Torre Angela (periferia est di Roma) la quota di NEET è oltre il doppio (14%) di quella del quartiere Trieste (6%), uno dei più ambiti, situato nella zona nord di Roma.

Periferie nel mondo

Le periferie sono a Roma, Milano, Napoli, ma non solo, risultano anzi un fenomeno ben più esteso che interessa ogni agglomerato urbano di grandi dimensioni, in Italia e nel mondo.
Lo slum ne è un esempio: quartiere poverissimo, ad alta densità abitativa (milioni di persone), caratterizzato da costruzioni malsane e fatiscenti, senza attrezzature e servizi, sito generalmente nelle zone periferiche delle grandi megalopoli.
Nello slum di Dharavi, alla periferia indiana di Mumbai, vivono in povertà estrema due milioni di abitanti: qui una latrina è in media condivisa da cento persone, senza alcuna regola igienica.
Lo slum più popoloso al mondo (4 milioni di abitanti) si trova nella periferia nord di Città del Messico: è Neza-Chalco-Itza, dove la popolazione vive ben al di sotto della soglia di povertà nazionale di 117 dollari al mese.

Scritto da Sofia Ciatti


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