Per la rubrica cinema della domenica, oggi parliamo di un film che, seppur non conosciutissimo, si contraddistingue in quella che è la filmografia di un regista socialmente impegnato, Francesco Rosi. Il regista napoletano, infatti, celebre per il capolavoro Le mani sulla città (1963), sceglie la figura del noto e controverso gangster Lucky Luciano per promuovere una riflessione su quello che è il potere, esercitato e subìto dai protagonisti scelti, un po’ come avvenuto anche ne Il caso Mattei (1972).
Le forze intrinseche del potere
Quella di Rosi non è una vera e propria biografia, in quanto il regista decide di soffermarsi soltanto sugli ultimi decenni di vita del boss Lucky Luciano, un periodo particolarmente segnato dalle vicende storiche della seconda guerra mondiale e della vittoria statunitense in Italia, nelle quali Luciano ha giocato un ruolo fondamentale ancora oggi non ufficialmente chiarito. Già nel 1973, però, come dimostrato anche nel film precedente, il suddetto Il caso Mattei, Francesco Rosi dimostra una capacità d’indagine davvero notevole e riesce, sotto le spoglie del mafiamovie, a far luce su un fenomeno di cui l’Italia stessa sarà protagonista negli anni a venire: la trattativa Stato-mafia.
Quando il potere va contro sé stesso
A costituire il cardine della narrazione è uno scontro tra il direttore del Federal Bureau of Narcotics e un delegato italiano alle Nazioni Unite, riunitasi per contrastare un importante traffico di droga internazionale che si pensa parti proprio dal boss italo-americano che, nel 1946, si stabilisce a Napoli. Proprio il delegato italiano accusa gli statunitensi di averlo liberato alla fine della seconda guerra mondiale in seguito ad un accordo segreto fondamentale per la vittoria del conflitto. Rosi utilizza così una narrazione basata sul flashback, ritornando al periodo in cui, proprio durante la liberazione, la mafia meridionale poté espandersi sensibilmente, anche grazie all’appoggio dei colonnelli statunitensi.
Il regista napoletano, con il suo film, va dunque ad associarsi ad una linea storica molto verosimile, che pone “Lucky” Luciano come un intermediario fondamentale per l’accesso degli alleati in Sicilia, i quali hanno poi posto molti boss mafiosi a capo delle istituzioni locali di diverse città meridionali (un fatto, quest’ultimo, storicamente verificato). Per questo motivo si spiegherebbe l’apparentemente insensata scelta di scagionare Luciano e spedirlo in Italia, e si spiegherebbe anche la sua capacità di evitare le opprimenti indagini che nel corso degli anni si erano concentrate su di lui.
Un mafiamovie politico
Dal punto di vista strettamente cinematografico, Lucky Luciano si distingue principalmente per la grande interpretazione donata dal leggendario Gian Maria Volonté, il quale, anche stavolta, riesce ad impersonificare perfettamente il personaggio assegnatogli. Nonostante la narrazione non si distingua per un ritmo incalzante, Francesco Rosi, anche grazie ad una notevole regìa, riesce comunque a creare un’importante opera di riflessione sul potere.
Scritto da Emanuele Fornito
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