Lupin III – Il castello di Cagliostro (1979) | recensione

di Emanuele Fornito
4 Min.

Dopo esserci addentrati nell’ultimo film del maestro giapponese Hayao Miyazaki, Il ragazzo e l’airone (2023), ritorniamo oggi alle origini della carriera del leggendario cineasta, in quello che ha segnato l’esordio alla regìa dello stesso Miyazaki: Lupin III – Il castello di Cagliostro.

Un avvincente Lupin

Il film, seppure come si è detto rappresenta l’esordio alla regìa per Miyazaki in un lungometraggio, non è tuttavia la prima esperienza del regista con il personaggio di Lupin. Miyazaki ha infatti diretto alcuni episodi de Le avventure di Lupin III (1971-1972), prima trasposizione televisiva del manga di Monkey Punch. Probabilmente, però, la già pregressa esperienza ha permesso al maestro giapponese di poter creare una storia avvincente, che immerge lo spettatore in medias res sin dall’inizio e che, attraverso sequenze piacevoli sia esteticamente che narrativamente, riesce a trasmettere importanti critiche e messaggi.

Definirlo un esordio notevole è quasi superfluo: sin da questo film Miyazaki dà dimostrazione del proprio talento, donando da subito scene fantastiche che si uniscono perfettamente alle eccezionali musiche di Yūji Ōno, che, attraverso un mix di vari generi, coadiuvano le azioni di uno dei personaggi più iconici del mondo anime e non.

Umanità e stravaganza

È fin da subito chiaro che quello di Miyazaki è un Lupin intelligente, ironico e sfacciato, ma al tempo stesso profondamente onesto ed umano. Ne Il castello di Cagliostro, infatti, il protagonista utilizza le sue capacità per smascherare una malvagia organizzazione di falsificazione di banconote guidata dal conte di Cagliostro, il quale tiene segregata in una torre Clarisse, verso cui sono concentrati gli sforzi di un innamorato Lupin. Lo spettatore è portato così ad una profonda empatia con il protagonista e i suoi aiutanti, grazie alla ineccepibile caratterizzazione che li contraddistingue.

Una profonda critica

Ma ciò che di più bello c’è in questo film è il modo in cui profonde critiche vengano mosse attraverso una storia coinvolgente ed accessibile a tutti. Difatti, Miyazaki utilizza le appassionanti vicende di Lupin per denunciare il potere economico ottenuto con disonestà, oltre a criticare l’ingiusta e pericolosa influenza che i ricchi possono avere sulla politica. Miyazaki unisce così i due antagonisti per antonomasia (Lupin e l’ispettore Zenigata), che uniscono le forze per contrastare la prepotenza e l’iniquità di una “forza” ben più malvagia e deleteria. In quest’ottica, i due scoprono in realtà molti più punti in comune di quanto ci si aspetterebbe.

Dall’altro lato, però, Miyazaki inserisce ne Il castello di Cagliostro anche un importante inno all’arte e all’umanità disinteressata, messaggio che trova il proprio apice nel finale in cui, dopo aver sommerso l’Arciducato di Cagliostro, Lupin scopre i resti di una quasi intatta città romana, donando così all’umanità un inestimabile patrimonio, esente da tornaconti individuali.


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