Jean-Luc Godard: guida introduttiva al regista

di Emanuele Fornito
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 8 Min.

Se si parla dei registi migliori della storia del cinema, non si può non citare Jean-Luc Godard, scomparso il 13 settembre scorso. Tra i fondatori della corrente cinematografica rivoluzionaria denominata Nouvelle Vague, che nacque all’inizio degli anni ’60, Godard si è da sempre contraddistinto per uno spiccato genio artistico ed un’impegnata attività politica (attività espressa sempre nell’arte), configurandosi, ad oggi, come uno dei più grandi artisti che il cinema abbia mai visto. Un uomo che per tutta la sua vita, sia artisticamente che umanamente, ha fatto prevalere l’indipendenza, la ribellione.

E sono questi, dunque, i caratteri che troviamo nelle sue opere, le quali hanno oramai creato uno spaccato all’interno della storia della settima arte. Vediamo i titoli più rappresentativi per approcciarsi a questo grande artista del XX secolo.

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À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro)

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Jean Seberg e Jean-Paul Belmondo in una scena del film

Manifesto della Nouvelle Vague, À bout de souffle esce nelle sale francesi nel 1960, un anno dopo i capolavori Les Quatre Cents Coups, di François Truffaut all’esordio, Hiroshima mon amour, di Alain Resnais e Les Cousins di Claude Chabrol. Con questo film Godard porta sul grande schermo per la prima volta la sua personale idea di cinema, racchiudendo in À bout de souffle tutte quelle caratteristiche che saranno poi ricorrenti e rielaborate nel corso degli anni.

Dall’assenza di una vera e propria sceneggiatura, in quanto Godard scelse di scriverla in contemporanea alle riprese, alla mancanza quasi totale di fondi, scelta presa volutamente dal regista proprio per dimostrare che i grandi film potessero essere fatti anche senza l’aiuto delle grandi case statunitensi.

Il film è ricco di innovazioni che rovesciano completamente quelle fantomatiche regole non scritte che il cinema hollywoodiano aveva imposto. Una pellicola in cui montaggio frenetico e rottura della quarta parete sono solo alcune delle caratteristiche che rendono À bout de souffle il capolavoro che ha segnato indelebilmente la storia.

Le mépris (Il disprezzo)

Secondo film a colori di Godard (dopo Une femme est une femme), il film è tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, che in quegli anni era uno degli scrittori più apprezzati. Con Le mépris Godard dimostra uno spiccato senso sperimentalista, (che si manifesta fin dall’inizio con un’accurata opera di metacinema), tanto da distinguersi poi in futuro, con Jacques Rivette, come il regista della Nouvelle Vague che più ha sperimentato nel corso degli anni.

L’arte di Godard è infatti sempre stata dinamica. Oltre degli elementi inevitabilmente comuni, spesso i film del regista franco-svizzero sono diversi tra di loro, ed è proprio questo che lo ha reso grande. Tornando al film in questione, il dinamismo artistico di Godard si manifesta in due componenti principali:

  • la prima è di tipo registico, in quanto Godard predilige lunghi piani sequenza, che ad oggi sono facilmente definibili magistrali, con i quali egli segue una forte crisi di coppia (che poi nasconde una più profonda crisi esistenziale) tra i due protagonisti, interpretati da Brigitte Bardot e Michel Piccoli, all’apice delle loro carriere.
  • la seconda è di tipo visivo: Le mépris infatti da un lato mostra il risultato degli esperimenti con i quali gli artisti europei dell’epoca erano alle prese, trovatosi dinanzi ad un progresso sostanziale, secondo solo all’avvento del sonoro. Ne risulta un trionfo cromatico, che riesce ad affascinare lo spettatore per l’intera durata del film.
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Michel Piccoli in una scena del film

Da sfondo alla storia viene scelta la bellissima Capri, che Godard riesce, grazie al suo innegabile sopraffino gusto estetico ed artistico, a valorizzare perfettamente.

Le mépris è il risultato di una co-produzione Italia-Francia, che ha visto, nella versione italiana, censure da parte del produttore Carlo Ponti, tanto che Godard stesso ha negato la paternità del film riferendosi alla sua distribuzione italiana.

Pierrot le fou (Il bandito delle 11)

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Anna Karina e Jean-Paul Belmondo in una delle iconiche scene del film

Con Pierrot le fou Godard riprende quello stile inaugurato con Le mépris, discostandosi parzialmente da quella maniera “primordiale” tipica dei suoi primi film, come i capolavori Le petit soldat e Vivre sa vie, e che ritornerà ad intermittenza successivamente, come nel 1964 con Bande à part, o nel 1965 e nel 1966 con rispettivamente Alphaville e Masculin féminin (e dal quale se ne discosterà sempre di più alla fine degli anni ’60 quando inizierà a comporre opere prettamente di impegno politico, come i capolavori La Chinoise e Weekend).

Anche in Pierrot le fou, infatti, lo sperimentalismo del regista, che per la prima volta al cinema porta l’utilizzo di luci in movimento per simulare il moto dell’auto di notte, si unisce a tematiche esistenziali riguardanti l’alienazione dell’uomo moderno dalla società, unite ad un utilizzo dei colori e delle luci fantastico. Come la maggioranza dei film di Godard, Pierrot le fou è sicuramente un film da vivere oltre che da capire, e proprio per questo resta uno dei migliori della sua filmografia.

Dans le noir du temps

Frame tratto dal film

Quarto episodio del film collettivo Ten Minutes Older: The Cello, Dans le noir du temps appartiene all’ultima fase della filmografia del regista, caratterizzata da una riflessione sul cinema passato e futuro, proprio ed altrui, riflessioni politiche ed artistiche in generale (come anche nel capolavoro Nouvelle Vague del 1990, con Alain Delon).

In questo cortometraggio, infatti, Godard inserisce, con la sua solita maestria artistica, spezzoni di suoi film passati uniti ad altri girati, con in sottofondo la sua tipica voce fuori campo che compie riflessioni filosofiche ed esistenziali sul tempo e sull’essere. Anche se viene spesso “ignorato”, Dans le noir du temps risulta sicuramente tra i numerosi capolavori della produzione artistica godardiana.

Scritto da Emanuele Fornito


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