Il richiamo al linguaggio di genere a Ignazio La Russa

di Dudnic Radu
3 Min.

Introduzione

La questione emersa durante le sedute di Commissione degli esteri, come riportato dalla parlamentare Floridia, ha evidenziato un diniego alla richiesta di essere chiamata “Senatrice”. L’oggetto della contestazione? Il rispetto del linguaggio di genere all’interno delle sedi istituzionali. Viene ignorata così un’istanza fondata non solo sul piano linguistico, ma anche su quello dell’identità e della rappresentanza femminile all’interno degli organi parlamentari.

La formalità del linguaggio di genere

Il richiamo, espresso attraverso una lettera indirizzata al Presidente del Senato, Ignazio La Russa, mira a garantire il diritto di ogni senatrice di essere chiamata con il corretto appellativo femminile. Questo non è solo un aspetto linguistico, ma una questione che promuove l’inclusione e la visibilità delle donne nell’ambito politico.

76 voci senatoriali, che concordano che l’essere chiamate “Senatrice” non è solamente mero estro grammaticale, ma un grido di rivendicazione, un gesto simbolico per la rappresentanza di genere. La promotrice di questa mobilitazione è Aurora Floridia di Avs, portavoce di una coalizione trasversale comprendente rappresentanti di diverse fazioni parlamentari, quali Pd, M5s, Avs e altre.

Il linguaggio di genere

L’Accademia della Crusca, “palladina” della lingua italiana, ha già indicato il sentiero dell’inclusione grammaticale, conferendo maggior peso alla necessità di adottare un linguaggio che rifletta l’evoluzione sociale e culturale del nostro tempo (Avvocata/essa, Sindaca, ecc). L’evoluzione linguistica è parallela all’evoluzione sociale, e il rifiuto di abbracciare questa trasformazione rappresenta un’obiezione non solo al cambiamento verbale, ma a un’interanarrativa di equità e progresso.

Nella formalità dell’istituzione, la richiesta di adottare un linguaggio inclusivo risuona in un ambiente talvolta offuscato da convenzioni ben radicate. La resistenza a questa evoluzione linguistica risulta anacronistica in una realtà in cui la lotta per l’equità di genere ha assunto una preminenza imprescindibile. L’omissione di designazioni femminili nel contesto istituzionale non è solo una questione di parole, ma di riconoscimento e valorizzazione della stessa identità.

Conclusione

Una sottile ma rilevante questione linguistica che si estende ben oltre l’ambito grammaticale, rappresentando l’inclusione e la visibilità delle donne nella sfera politica. L’ineluttabile necessità di far emergere il linguaggio di genere non è una mera questione di grammatica, ma il richiamo a una società che, abbracciando l’uguaglianza, si eleva nel suo complesso.

Nell’opera dell’equità, il linguaggio è l’arma più potente e forse anche rappresentativa. La resistenza all’adozione di tale prassi riflette una disconnessione con il ritmo stesso del progresso e della consapevolezza umana. Nel dialogo tra la storia e il presente, è imperativo riconoscere che il cambiamento linguistico non è un “capriccio”, ma un balzo di maturità sociale, un passo deciso e una voce perentoria indirizzata verso una società che non si ferma al presente, ma getta oggi le fondamenta di un futuro dove il rispetto e l’uguaglianza non sono solo futili desideri, ma realtà tangibili.

di Radu Dudnic


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