Il posto (1961) di Ermanno Olmi | la recensione

di Emanuele Fornito
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 6 Min.

Cosa si nasconde dietro l’irrefrenabile sviluppo economico? Cosa c’è realmente al di là della frenesia del boom italiano degli anni ’60? L’uomo sta davvero migliorando sé stesso e la società? Il grande regista Ermanno Olmi (qui alla sua seconda regìa) prova a rispondere a questi e altri dubbi che travolsero il mondo artistico ed intellettuale dell’epoca, in un film importantissimo per la storia del cinema italiano e non solo.

Un ritratto malinconico

Il posto differisce dallo stile dei classici film: Olmi scrive il suo personaggio principale, Domenico, interpretato da Sandro Panseri, un attore non professionista all’epoca quindicenne, come un aspirante impiegato timido e di poche parole, quasi smarrito in una Milano grigia, triste, frenetica e malinconica. Il regista compie volontariamente questa caratterizzazione di personaggi e ambienti al fine di rappresentare per immagini uno stato d’animo tutt’altro che entusiasta ed ambizioso dovuto al boom economico, ma affranto e desolato per una crescente alienazione.

Modelli imposti e perdita del sé

Domenico, nella sua corsa al raggiungimento di un posto fisso, incarna l’uomo medio piccolo-borghese, il quale assume sempre più le sembianze di un ingranaggio nel sistema produttivo e burocratico capitalistico, a scapito del proprio io, facendo propri, per pressioni esterne, i modelli di “vita sicura”, che poco coincidono con il proprio essere. Lo sviluppo quasi nevrotico di malinconia e depressione risulta quindi inevitabile, e Domenico è destinato, come la maggioranza dei suoi coetanei, a vagare senza meta personale per soddisfare un’aspettativa terza e praticamente obbligata. Olmi, facendo leva sulla capacità d’immedesimazione che offre il mezzo cinematografico, cerca di smuovere gli spettatori che più si ritrovano nel personaggio di Domenico, promuovendo l’autorealizzazione riguardo una vita ormai stravolta rispetto al passato, fatta solo di sequenze imposte e rigide da seguire, che trasformano l’uomo, alienato completamente nella propria mansione, in macchina.

Olmi

L’attenzione agli ambienti

Il regista dimostra, durante tutto lo svolgimento del film, una grande capacità registica, che ha permesso la creazione di inquadrature davvero significative, non solo dal punto di vista tecnico ma anche narrativo. Come anticipato nel primo paragrafo, Olmi pone particolare attenzione agli ambienti descritti, facendo emergere chiaramente il suo passato da documentarista industriale. Partendo dalla casa in provincia di Domenico, un vero e proprio quartiere operaio in cui ogni mattina gli uomini e le donne lasciano le proprie case e la propria terra per andare a lavorare nella metropoli, il regista si sposta proprio qui, nella Milano simbolo dello sviluppo economico, in cui i grossi palazzi della Edison, raffigurati da Olmi con preciso minimalismo, fanno quasi timore all’ingenuo Domenico, non abituato a quella vita che neanche gli appartiene.

Olmi

Una (triste) storia d’amore

Ermanno Olmi arricchisce la narrazione con un focus sulle relazioni interpersonali dell’uomo piccolo-borghese del tempo. A questo scopo inserisce nella narrazione il personaggio di Antonietta, che attira l’attenzione di Domenico la quale, tuttavia, risulta non corrisposta. Ancora una volta Domenico è sconfitto dalla vita, caduto in un abisso di alienazione che ha preso spazio nella sua intera esistenza e che sembra condannarlo all’eterna infelicità ed inquietudine.

Olmi

Un tema ricorrente

Ciò che più stupisce, nel cinema italiano di quel tempo, è la forte mole di creatività e capacità artistica dei registi del tempo. Il tema dell’alienazione, infatti, è stato un tema molto trattato dagli artisti tra gli anni ’60 e ’70, i quali, particolarmente in Italia, hanno cercato di catturare la vera faccia del “miracolo economico”, un fenomeno più distruttivo che costruttivo per quanto riguarda l’uomo in sé. Artisti come Pier Paolo Pasolini, Michelangelo Antonioni, Marco Ferreri ma anche Marco Bellocchio o, almeno in parte, Federico Fellini e tanti altri, hanno descritto, a loro modo, tutte queste inquietudini insite nella modernità, e che ancora oggi hanno tanto da insegnare.

Olmi

Olmi, dal canto suo, con un ritmo pacato e minimalista dimostra, come ne Il posto, che il pericolo di diventare “Domenico”, in questa società, è sempre più incombente. In questo senso, l’arte e i capolavori che questi intellettuali ci hanno donato devono farci da lume e maestri per muoverci nella selva che è la società, affinché non perdiamo mai di vista noi stessi e il nostro patrimonio umano.


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