SaturDie Ep.9 – Luigi Tenco: suicidio o omicidio?

di Gaia Vetrano
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 42 Min.

Qual è la ricetta perfetta per un giallo indimenticabile? Innanzitutto il protagonista deve essere qualcuno di famoso. Un poeta, per esempio Luigi Tenco. Poi ci vuole una degna arma del delitto, una pistola, e magari una lettera di addio abbandonata sul pavimento di una camera d’albergo di super lusso. Delle indagini un po’ fallaci. Una probabile relazione segreta con una superstar straniera e un palco che possa amplificare il tutto.

Mike Bongiorno

Sanremo, 1967. Mike Bongiorno, conduttore di quest’anno, è davvero soddisfatto del suo cast stellare. Se è stato chiamato per presentare per la quinta volta il Festival vuol dire che qualcosa di buono lo ha realmente combinato. Non è roba da tutti. Sul suo palco si esibiranno artisti esordienti pieni di talento, come Cher, ma anche nomi di spessore come Lucio Dalla, Giorgio Gaber, Sergio Endrigo, Orietta Berti e Iva Zanicchi.

Ogni tanto, mentre questi prendono posto sotto l’occhio di bue e lui si trova nel dietro le quinte, riceve qualche pacca sulla spalla da parte di scenografi e macchinisti. La prima serata è sempre importante, da questa si può un po’ prevedere il successo dell’intera edizione, e per ora tutto va a gonfie vele.

Arrivati al termine della messa in onda, Mike tira un respiro di sollievo: sarà un’edizione da ricordare.

Tra i tanti artisti saliti sul palco c’è anche Luigi Tenco. Secondo le regole di quest’anno, che prevedono che i cantanti gareggino in coppia, insieme a lui c’è Dalida, italiana naturalizzata francese. La chimica tra i due è palpabile. Insieme cantano “Ciao amore, ciao”, i cui versi hanno poco a che vedere con la tradizione sanremese. Entrambi si esibiranno una volta a testa durante la trasmissione, come previsto dal regolamento.

Quando sale sul palco Tenco, è un cavaliere dall’aria cupa e tenebrosa in giacca e cravatta. Luigi è romantico, un po’ il sogno adolescenziale del pubblico italiano. Come non innamorarsi dell’autore di un brano come: Mi sono innamorato di te/ Perché non avevo niente da fare”?

Nonostante abbia accettato a partecipare al Festival, Tenco quando si esibisce è svogliato, come racconterà il suo grande amico Fabrizio De André. Il suo obiettivo è quello di portare la sua musica al grande pubblico, così da fare in modo che la gente capisse chi fosse tramite essa.

Tenco ci crede tantissimo in “Ciao, amore ciao”, nonostante sappia che il suo è un brano d’impatto. A quelli che gli chiedono di parlarne, dice che lui e Dalida hanno le carte in tavola per vincere per il Festival. Belli, giovani e affascinanti: sono celebrati dai tabloid come la coppia delle stelle.

Tenco

Le radici del suo pezzo affondano nei drammi sociali, della povertà e dell’immigrazione. Il titolo iniziale era “Li vidi tornare”, brano antimilitarista che Tenco trasformò, per evitare la censura, in una canzone d’amore ambientata negli anni delle grandi migrazioni dal nostro paese verso le Americhe. Luigi sfrutta i suoni folkloristici italiani, così da toccare le corde del pubblico da casa, nella speranza di vincere.

Il 26 gennaio 1967, Luigi Tenco canta:

Si vive o si muore
E un bel giorno dire basta e andare via
Ciao amore
Ciao amore, ciao amore ciao

Eppure, sarà proprio a lui che dovremmo dire “ciao” per sempre.

Perché l’edizione di Sanremo del 67’ non verrà ricordata per le canzoni certamente di spessore, o per le esibizioni straordinarie. E neanche per la conduzione impeccabile di Mike Buongiorno. Bensì per un evento che squarcerà l’opinione pubblica e che si verificherà lontano dal palco. Dietro le telecamere, dove nessuno può guardare e le luci non possono arrivare. Dove la musica dell’orchestra e la voce angelica di Dalida non si possono sentire.

Quando quella sera si spengono i riflettori, un’ombra oscura, carica di rabbia, di rimpianto e di amarezza, aleggia sopra l’Hotel Savoy. Le risate e il rumore dei calici che brindano non sono sufficienti per sovrastare il caos dei pensieri del poeta Luigi Tenco che, rientrato in camera, non vede più altre strade percorribili.

Le urla di gioia degli altri concorrenti non saranno mai tanto forti da coprire le grida disperate di Dalida quando questa entra nella camera 219 della dependance dell’albergo. Per terra, sul pavimento, c’è un corpo con un proiettile conficcato nella tempia destra. Il completo è ormai macchiato di rosso.

Quella sera sull’hotel Savoy aleggia l’ombra della morte.

Questo non è il racconto di chi vinse la diciassettesima edizione del festival di Sanremo, ma piuttosto di chi perse non solo la competizione, ma anche la vita. Questa è la storia del suicidio – o forse omicidio – di Luigi Tenco.

Chi è Luigi Tenco?

Negli anni del boom economico, la personalità poliedrica di Luigi Tenco stravolge il pubblico italiano, in un periodo in cui le etichette discografiche sfornano canzonette da ascoltare come sottofondo mentre si pulisce il pavimento di casa o si stendono i panni.

Tenco

Luigi nasce da una notte di travolgente passione, la stessa che trasmette per la sua musica. Da un amore però senza futuro, che lo costringe a presentarsi al mondo con un cognome non suo e alle spalle un padre che non conoscerà mai. Il bambino è infatti frutto di una relazione extraconiugale della madre, Teresa Zoccola, cameriera presso una famiglia torinese.

Io sono uno che sorride di rado, questo è vero, ma in giro ce ne sono già tanti che ridono e sorridono sempre, però poi non ti dicono mai cosa pensano

La sua prima casa è Genova dove si trasferisce con la madre e il fratello. Teresa si mette in proprio e apre un piccolo negozio di vini per permettere ai figli di terminare gli studi. Ma a Luigi non importa. Nonostante abbia una memoria d’acciaio e in seconda media sappia già risolvere equazioni differenziali, a lui non interessano le formule matematiche, i composti chimici o i moti dei corpi. Né tantomeno gli importa del denaro. Il piccolo poeta già sogna di scrivere e comporre. Ma soprattutto di passare le ore davanti al pianoforte.

Le ambizioni di Teresa hanno però la meglio, così Tenco si iscrive prima a Ingegneria elettronica, poi a Scienze politiche. Degli esperimenti che non lo renderanno mai felice. Ogni angolo di Genova, quella città che lo aveva adottato ormai anni fa, è ricco di stimoli.

Ogni mattone, ogni panchina, ogni incrocio, ogni passante al semaforo trasuda autenticità.  

Il poeta si aggira per le sue strade strette e colorate e non riesce a non vedere tutto ciò che lo circonda come pieno di vita. L’ispirazione è così tanta da spingerlo a sperimentare con gli strumenti: chitarra, clarinetto, sax. Crescendo diventa un polistrumentista sempre più capace, mentre continua a vagare per Genova, che ogni giorno sente sempre più sua.

Il capoluogo ligure in quegli anni è una vera e propria fucina di artisti. Insieme a Tenco ci sono anche Gino Paoli e Fabrizio De André. Sono loro a spingerlo e ad accompagnarlo, mano nella mano, verso il palcoscenico. Da autore, grazie ai suoi due mentori, Tenco diventa cantante e interprete dei suoi stessi brani, che sembrano più delle poesie lette su musica.

Quei testi venivano fuori dalla sua penna con la stessa spontaneità con cui un germoglio si trasforma in un fiore. La scrittura per Tenco diventa un bisogno al quale lui stesso non riesce più a sottrarsi. Quando sente la necessità di sfogare la sua malinconia, dovuta alle sue origini e al fatto che, ovunque va, si senta fuori posto, il poeta si rifugia nel suo mondo fatto di inchiostro.

A chi gli chiede per quale motivo scriva solo canzoni tristi, lui risponde che quando è felice, esce.

Ricomincia così il suo giro per le strade genovesi, che lo invocano come se fosse la prima volta. Tenco si lascia cullare dalle sonorità straniere: dai brani dei Beatles, i cui testi apprezza particolarmente. Si rende così conto che il problema della musica italiana è che si ispira troppo a quella degli altri paesi, non attingendo invece al folklore.

Tenco condanna questa tendenza al provincialismo, che livella e cancella la storia della nostra terra per importare qualcosa che non è nostro e non fa parte del nostro DNA. L’inchiostro guida così la sua mano, le dita e il polso, rendendolo l’artista che oggi conosciamo.

La svolta arriva quando riesce a entrare in contatto con l’etichetta discografica Dischi Ricordi, per cui inizia a produrre musica con dei nomi falsi come “Gigi Mai“, “Dick Ventuno” e “Gordon Cliff“. Questo per paura che non possa vendere se si venisse a sapere che è iscritto al Partito Socialista Italiano.

Ai suoi testi, spesso rivoluzionari e antimilitaristi non rinuncia, e nel 62’ rilascia il suo primo 33 giri. Al suo interno anche “Mi sono innamorato di te e “Angela”. Nei successivi due anni cambia etichetta discografica, passando alla Jolly, e chiude l’amicizia con Gino Paoli.

Poi la lettera che lo costringerà, per un anno, ad arruolarsi. Lui, profondo antimilitarista, costretto a un anno di regole e di routine asfissianti che lo allontanano dalla sua compagna più fedele: la penna. Non appena ne ha la possibilità ritorna a scrivere, dando il via agli anni più intensi della sua produzione. Una stagione breve ma molto feconda.

L’ambiente musicale non gli va a genio, ma il desiderio di Luigi è uno solo: quello di dare tutto sé stesso tramite la musica. Tornato a Roma, decide di dare il suo vero nome per i suoi testi alla sua nuova etichetta: la RCA Records, divisione della Sony Music Entertainment.

Nella Capitale incontra la sua metà, Iolanda, dal nome d’arte abbastanza bizzarro: Dalida. Quando i due entrano in sala di registrazione, avvolti dal caldo e confortevole abbraccio che è la musica, Tenco dimentica il terribile anno nell’esercito. L’animo del poeta si distende e la voce angelica della sua compagna diventa un balsamo che cura le sue cicatrici.

Nel 67’ i suoi brani girano per le radio e i suoi dischi vengono veduti nei negozi. Gli viene chiesto di partecipare al Festival e lui accetta anche se controvoglia. Al suo fianco c’è Dalida e, nonostante i dubbi iniziali, Luigi è fiducioso. È arrivato il momento di far capire al paese di cosa la musica abbia bisogno: di qualcuno che apra la sua anima mosso dall’amore.

E se non dovesse piacere al pubblico non importa, i due avrebbero continuato a scrivere fino a quando avessero avuto qualcosa da raccontare. Infondo, non per forza l’arte può essere apprezzata da tutti, nel momento in cui viene data in pasto a una gara. Ma se anche dovesse esserci qualcuno in grado di comprenderla, allora l’obiettivo di Tenco sarà andato a buon fine.

Luigi può finalmente dare tutto di sé al pubblico italiano. Ogni piccolo frammento della sua anima turbolenta che, talvolta, è capace di essere felice. Peccato però, che quella sera, dia anche la sua vita.

Quella tragica ultima notte di Luigi Tenco

Ogni qualvolta arriva il momento di esibirsi, l’ansia è tanta. Luigi è uno degli ultimi a farlo. È molto tardi e il cantante ha paura che il pubblico si sia già addormentato.

Il poeta freme dalla voglia di cantare. Nel dietro le quinte è irrequieto, ansioso e per niente tranquillo. Ormai è in gioco, non può più tirarsi indietro. Forse non sa come fare; forse un po’, in fondo, ci tiene. Non è la paura della sconfitta a tormentarlo, bensì il timore che non sia capace di comunicare al pubblico i suoi disagi. Per lui la musica ha una nobilità intrinseca pari a quella dei libri o delle poesie, è il suo modo di comunicare al mondo da introverso cronico. Prima di salire sul palco, mormora a Mike Bongiorno:

Mike io non ne ho più voglia, questo non fa per me. Vado, canto, e poi ho chiuso con la musica leggera

Quando si esibisce, Tenco entra nel suo mondo. Le luci lo abbagliano e fa fatica a raggiungere il microfono. Qualcuno lo avrà anche presentato, ma Luigi ha la mente troppo annebbiata per rendersene conto.

Quella sera risente l’effetto dello shot di grappa alle pere che ha preso prima di salire sul palco. La sua esibizione è troppo lenta e persino l’orchestra non è capace di stare al suo passo. Ma a Tenco la sua esecuzione piace perchè “Ciao, amore ciao” narra una storia sofferta. Deve entrare come una lama nel cuore della platea. Il pubblico gli è indifferente: nessun applauso o standing ovation. Un gelido silenzio che Luigi interpreta come un plateale rifiuto da parte degli spettatori di comprendere la sua arte.

Dopo Tenco è il momento di Dalida, che agli spettatori sfoggia un sorriso lucente. Mentre Luigi la ascolta non è soddisfatto dell’esibizione, che ha trasformato il suo brano in un’irritante canzonetta più simile a una “marcetta”. Nonostante questo, l’unica cosa che il pubblico non può fare a meno che notare è l’abito della cantante: bianco e nero. In tinta con il suo compagno.

La sua voce e la sua interpretazione sono comunque accolte positivamente dalla platea, che applaude fragorosamente ed esulta.

Tenco si rifugia in camerino, nella speranza che possa comunque passare alla finale grazie all’esibizione di Dalida. Lasciato solo inizia ad assumere farmaci e a bere, fino a quando non si addormenta sul tavolo.

Il suo desiderio era quello di farsi conoscere tramite la sua musica, ma alla fine riesce solo a colpire a sangue il desiderio dell’italiano medio di passare una serata ad scoltare brani piacevoli. Poco più tardi viene svegliato da qualche assistente, con la stessa crudeltà con la quale un ragazzo viene preso dalla sua famiglia per arruolarsi, strappandolo dalla sua tranquillità. A Tenco viene comunicata la terribile notizia.

“Ciao, amore ciao” viene eliminata. La canzone si posiziona quattordicesima su sedici brani e non riesce a rientrare in gara neanche grazie ai ripescaggi, dove viene battuta da “La rivoluzione” di Gianni Pettinato e Gene Pitney.

Tenco si fa prendere da una furia silenziosa. Non si aspettava mica che tutto il pubblico potesse comprendere la sua musica, ma che almeno potesse arrivare a qualcuno sì. Forse, è solamente lui il problema. In fondo l’esibizione di Dalida è piaciuta. Non è “Ciao, amore ciao” a non piacere, ma Luigi Tenco.

Quel cantante cupo, tormentato, raramente felice, che metteva tutta la sua anima sul palco, non era riuscito a raggiungere i cuori delle persone. Lui, che di passione ne ha da vendere e vive di questa, è forse destinato a stare solamente nel dietro le quinte? A rifugiarsi al di là del palcoscenico e a godere della luce riflessa su qualcun’altro. La luce dei riflettori, della ribalta, della gloria e, forse, anche della felicità stessa. Come una larva, o un parassita.

Condannato a non essere mai del tutto appagato da ciò che fa.

Per Luigi questo è un compromesso che non può accettare. Dalida prova a calmarlo, nonostante gli addossi tutta la colpa, ma lui non ne vuole sentire più niente. Non solo aveva preso parte a una gara di cui poco gliene importava, adesso deve anche sopportare il presentatore che lo “sbeffeggia” per la sua eliminazione? Prende la sua compagna per mano ed esce dal Casinò, dritto verso la sua Alfa GT Sport 1600 e preme l’acceleratore.

Per la prima volta la voce angelica di Dalida non risulta come una cura. Tenco ha trovato la risposta che cercava, per un pubblico che non capisce che cosa cambia tra una poesia e uno che canta di voler volare nel blu, dipinto di blu, lui non vuole più esprimersi.

Cos’ha lei che lui non ha? Forse l’indifferenza verso quel pubblico che non lo aveva capito? Forse a lei non importa niente di tutto ciò. Ma a Tenco no. Dalida glielo ripete, perché dannarsi tanto per un branco di probabili buzzurri che preferiscono delle canzonette alla vera poesia? Luigi vorrebbe rispondergli che quelle persone, che l’altra descrive come dei villani, fanno parte della sua gente. La stessa che lo riempiva d’ispirazione quando, sognante, vagava per Genova. E se lui non è in grado di parlare ai loro cuori, allora a cosa serve la sua musica?

Nonostante l’insistenza di Dalida, Tenco decide di non seguirla alla cena con la RCA al ristorante “Nostromo”. Da quel luogo se ne va da solo, scusandosi, dicendo di preferire un po’ di tranquillità dopo quel verdetto per lui ingiusto. Dopodiché prende la macchina e percorre al ritroso la strada verso il Casinò, superandolo. Alla sua sinistra i bar e i locali notturni, dall’altra parte il mare. Dritto di fronte a lui l’Hotel Savoy.

Tenco

Comporre lo rende felice, ma se la sua musica non è compresa da nessuno, lascerà mai il segno? Potrà mai rendere gioiosi gli altri con essa? Potrà mai lui esserlo? Luigi viene inghiottito dalla paura che l’ombra del silenzio possa cadere su di lui.

Entra in camera e chiude la porta. Il tempo passa, scandito dalle lancette dell’orologio e dallo sparo della sua pistola.

Quando Dalida mette piede nella sua stanza, per terra c’è l’ultimo testo scritto da Tenco. Una condanna, nonché l’ultimo saluto firmato con le lacrime e il sangue.

Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io tu e le rose” in finale e ad una commissione che seleziona “La rivoluzione”. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi.

L’urlo della cantante squarcia il silenzio, ma Tenco non può sentirlo. Non sentirà mai più la lieve e soave voce di Dalida.

Il Festival con gli scheletri nell’armadio

Dal momento in cui Luigi mette piede nella sua camera le informazioni si frammentano.

Al suo interno la prima cosa che fa è afferrare il telefono. Prima chiama Ennio Melis, il capo della RCA, ma non ottenne risposta. Poi Valeria – nome probabilmente di fantasia –, la sua fidanzata, ed ebbe buon esito. La possibile relazione con Dalida non era mai stata confermata da parte dei due, a causa proprio della presenza di un’altra donna nella vita di Tenco.

I due parlano di progetti futuri. Luigi al telefono biascica, a causa della grappa alle pere e delle pasticche di Pronox, e farnetica frasi sconnesse tra loro. Tra le varie cose, afferma di essere in possesso di una lista di persone da denunciare per “fatti che vanno ben al di là della manifestazione”.

La conversazione viene terminata circa all’1 di notte.

Nel frattempo, al Nostromo, Dalida si gode la serata. A farle dimenticare la sconfitta ci pensano le flûtes di champagne. A un certo punto arriva per lei una telefonata proprio da parte dell’Hotel Savoy. “Tenco sta male” le dicono dall’altra parte della cornetta. La cantante sbianca: non è la prima volta. Così in meno di venti secondi chiude la conversazione. Recupera la sua pelliccia e la borsa e, insieme a uno dei produttori, si dirige verso l’albergo.

Nel frattempo arriva anche il giornalista Sergio Mordugno al Savoy, consapevole del malore di Tenco, e informa al riguardo anche Lucio Dalla, seduto su un divano della hall.

Ufficialmente, il cadavere venne ritrovato alle 2:10 da Dalida. Quando questa arriva davanti alla camera, la porta è accostata e la chiave si trova nella toppa esterna della serratura. Per essere questa stata avvertita prima, ciò vuol dire che già qualcun altro aveva rinvenuto il corpo. Insieme alla cantante, entrano anche Modugno, Dalla e gli altri membri della RCA, cioè Cesare Gigli, Paolo Dossena, Patriarca e Simone.

Foto del biglietto

Soltanto trentacinque minuti dopo arriverà la polizia insieme al medico Federico Borreli, che presume che la morte sia avvenuta circa quindici-venti minuti prima. Ancor prima di cominciare indagini, il commissario Arrigo Molinari – su di questo si scoprirà anni più avanti facesse parte della P2, una loggia massonica – comunicò all’ANSA che Luigi Tenco si era suicidato, sparandosi alla tempia con la sua Walther Ppk 7.65.

Non furono eseguite né autopsie né analisi al bossolo. Non ci si preoccupa neanche di svolgere una perizia calligrafica del biglietto di addio.

Stando a quanto racconterà successivamente il necroforo Giuseppe Bergadano, intorno alle 4 il cadavere viene portato all’obitorio, ma un’ora dopo lo riportano indietro perché la scientifica si era persino dimenticata di scattare le fotografie alla scena del crimine. Così provano a rimettere il cadavere di Tenco dov’era prima, finendo però assurdamente con i piedi sotto il comò, e buttano la pistola più o meno a caso, all’incirca sotto i glutei del poeta. Le foto scattate sono solamente sei.

La vicenda cade nel silenzio e il caso viene archiviato come suicidio. Il Festival di Sanremo va avanti come se niente fosse. Una tragica pantomima, dove ognuno cerca di evitare di parlare e tiene gli occhi chiusi davanti al cadavere nascosto nell’armadio.

L’inchiesta degli anni Novanta: Tenco è stato ucciso?

Chi ha trovato per primo il corpo? Perché Tenco aveva con sé una pistola?

Negli anni Novanta i giornalisti Marco Buttazzi e Andrea Pomati trovano dei dettagli inediti sul caso Tenco. Riescono infatti a reperire il fascicolo che la polizia nel ’67 aveva redatto sul caso, prima di archiviarlo. Guardando le foto, ci si rende conto di come sia molto difficile, per uno che si spara alla testa alzato, finire con i piedi sotto il trumò.

Nel 94’ i due giornalisti pubblicano su Oggi un’inchiesta sul caso insieme alle foto del cadavere, che destano stupore. Ai due si unisce anche Aldo Fegatelli Colonna con cui iniziano a raccogliere altri dettagli sul caso, che sembrano opporsi alla finora sicura ipotesi di suicidio. Quest’ultimo aveva infatti dei contatti con la fantomatica Valeria, a cui questa aveva raccontato che Tenco le aveva dato appuntamento il giorno dopo la sua morte per andare a denunciare alla Procura la sua eliminazione.

Nel 2002 si avvalsero delle ricostruzioni del criminologo Francesco Bruno che fornì una relazione tecnica elencando tutti i dubbi sulle indagini compiute nel 67′. Negli anni Sessanta, infatti, la scientifica sta ancora muovendo i primi passi. Ma è innegabile che la squdra comandata Molinari abbia le sue colpe. Che abbia fatto poco oppure operò “troppo”?

Ciò convinse il procuratore di Sanremo Mariano Gagliano a riaprire il caso, in seguito a una denuncia per omicidio a carico di ignoti presentata da Marco Buttazzi, Aldo Fegatelli Colonna e Andrea Pomati il 27 dicembre 2002. Tre anni più tardi venne disposta la riesumazione del corpo di Luigi Tenco e Gagliano ordinò delle perizie e dei controlli del bossolo al gruppo E.R.T, ossia gli Esperti nella Ricerca delle Tracce sulla scena del crimine, organo della Polizia di Stato.

Le indagini partirono proprio dalla posizione del corpo. Per quanto, infatti, gli scatti dimostrino il contrario, ci sono ben sette descrizioni diverse riguardo l’effettiva posizione del cadavere. In tre videro il corpo del cantautore “perfettamente parallelo al letto, tra questo e il cassettone, con la testa rivolta verso il fondo”. Per un quarto testimone era “nella stessa posizione ma con il braccio piegato sotto la schiena”. Secondo il quinto era “in posizione supina ai piedi del letto e a questo perpendicolare”.

E infine, stando a Molinari “il corpo è in posizione genericamente supina trasversale rispetto all’angolo sinistro inferiore del letto con i piedi rivolti verso la porta”.

Il secondo dubbio riguarda la pistola. Tenco in quei giorni girava con la sua Walther conservata in macchina perché, come riferì a Dossena, era più volte stato minacciato di morte. Le analisi fatte successivamente al bossolo riportarono che questo provenisse da una Beretta calibro 22, che non è l’arma posseduta da Luigi.

Inoltre, secondo gli esami balistici, il proiettile ha seguito un moto dal basso verso l’alto ed è esploso a 7 – 10 cm dalla tempia. Infine, secondo l’autopsia postuma, non ci sono escoriazioni o bruciature accanto al foro d’entrata del proiettile.

Riguardo a ciò sarà fondamentale lo studio balistico compiuto nel 2014 dal giornalista forense Pasquale Ragone insieme nuovamente al criminologo Francesco Bruno e al dottor Farneti.

Walther di Tenco

Si è infatti arrivati all’evidenza che il bossolo ritrovato sulla scena del crimine riporti inciso un triangolo. Questo sarebbe il segno che il repulsore di una Beretta modello 70 lascia su il proiettile quando questo viene sparato. Fosse stato di una Walther il simbolo sarebbe stato un semicerchio.

Anche in questo caso le testimonianze non coincidono su dove si trovasse l’arma. Per il commissario Tenco ce l’aveva in “mano”, non si sa se in quella destra o sinistra. Stando ad altri era “lontana dal corpo, addirittura nel fondo della stanza”. Secondo un terzo era tra le gambe. Altri ancora dicono di non averla neppure vista, come la stessa Dalida.

Confusionaria sarebbe anche la presunta ora della morte.

Per il medico legale si sarebbe verificata all’1.30, per Dalida alle 2.10 e per il commissario alle 2.30.

Infine viene svolta la perizia calligrafica al biglietto: questo è autentico di Tenco, nonostante presenti diversi errori di calligrafia, che stonano se si tiene in considerazione il talento di questo per la scrittura. Secondo l’esperto di grafologia Vincenzo Tarantino, i tratti lasciano intendere un periodo di profondo stress per il poeta: forse il Festival, o le minacce di morte, o il difficile rapporto con Valeria.

Nonostante questo, nel giugno del 2006, l’ERT deposita le conclusioni degli accertamenti in procura. Alla luce del fatto che la lettera è autentica, che sulla mano del cantautore c’è una particella di antimonio secondo la prova del “guanto di paraffina” e che sul cranio di Tenco è presente anche il foro d’uscita del proiettile, si tratta di suicidio.

Non possiamo però ignorare le parole dello stesso Ariggo Molinari che, nel 2004, intervistato da Bonolis durante una puntata di Domenica In, affermerà che indubbiamente non si tratti di suicidio, e che la colpevolezza del caso è collettiva, riferendosi anche a tutti coloro che non gli avevano permesso di condurre le indagini.

Le svolte del 2014

Come abbiamo già anticipato, nel 2014 venne chiesto di riaprire l’inchiesta da parte di Pasquale Ragone. Questo sostiene, innanzitutto, che l’arma usata sia una Beretta modello 70 mai ritrovata sulla scena del crimine.

Inoltre contesta prima di tutto il fatto che nessuno abbia sentito lo sparo, e che una traccia di antimonio non sia sufficiente affinché il test abbia validità. Ci si chiede in aggiunta come si posse ignorare la frattura alla mastoide destra che indica come il cantante sia stato tramortito prima di morire. Tra i tanti punti criticati, anche i segni sul bossolo e al foro d’entrata tipici di uno sparo con l’uso di un silenziatore.

Tenco

D’altro canto, per la Polizia di quegli anni ammettere che Tenco sia stato ucciso avrebbe comportato dover giustificare per quale motivo le indagini siano state condotte così male e perchè queste ebbero meno importanza del Festival di Sanremo.

Tenco, secondo la nuova ricostruzione dei fatti, non avrebbe mai premuto il grilletto. E ciò lo evidenzia anche il fatto che, nel verbale della polizia delle 3 del mattino, la pistola non è tra gli oggetti presenti, così come il biglietto.

Coinciderebbe con questa versione anche la testimonianza di Mino Durand, giornalista del Corriere della Sera ed esperto di armi che, quella sera, aveva visto nella mano di Tenco proprio una Beretta.

Riguardo proprio il biglietto di Tenco, secondo Sergio Modugno, tra le 2.30 e le 2.40 lo aveva in mano Dalida. Saranno poi loro due a consegnarlo alla polizia. Inoltre sembrerebbe che questo facesse parte di un’altra serie di fogli e appunti, considerati i calchi presenti. Molto probabilmente si tratta della lista di nomi che Luigi aveva raccontato a Valeria di voler denunciare, mai trovata in camera.

Osservando quel biglietto si ha infatti la sensazione che sia stato scritto in due momenti diversi. La prima parte è chiaramente più distesa e rilassata e lo si capisce dal fatto che le parole sono chiaramente più distinguibili. Secondo questa logica da “Io ho voluto bene…” a “vita” si tratterebbe verosimilmente di un periodo estrapolato da una serie di altri pensieri scritti. Tenco quella sera ha quindi due biglietti per le mani: il primo è un j’accuse, l’altro è una lettera d’addio al mondo dello spettacolo.

D’altro canto, non esiste alcuna prova effettiva del fatto che Tenco sia tornato dal Nostromo in hotel. La sua camera fa infatti parte della dependance, lontana a tutti gli effetti dalla hall. L’unico indizio sarebbe la testimonianza del portiere, che avrebbe affermato che il poeta sarebbe rientrato in camera visto che le chiavi mancavano già da inizio serata. Inoltre, come affermato dall’ex maître dell’hotel Edgardo Boveri, nel registro chiamate dell’hotel risultano assenti quelle effettuate da Tenco.

Che le abbia fatte fuori dal Savoy? Non lo sapremo mai. Il caso, dopo il 2015, verrà archiviato per l’ultima volta.

Nel 2021 il musicista Lino Patruno, 85 anni, in un’intervista al settimanale Oggi, affermerà che secondo lui Tenco sia stato ucciso.

Tenco

“Lui lo conoscevo benissimo”, sottolinea Patruno. “Era un giovane allegro e solare; quell’immagine da depresso cronico gli è stata cucita addosso dopo, per giustificare la tesi del suicidio”. “Secondo me Tenco si era ficcato in un brutto giro“, aggiunge ancora. “Per motivi di marketing lo avevano ‘fidanzato’ con Dalida, un brutto e ambiguo personaggio che andava in giro con un tale ancora più brutto e ambiguo di lei, Lucien Morisse. Di quest’ultimo si diceva addirittura fosse legato al Clan dei marsigliesi…”.

L’immagine del corpo di Luigi perseguiterà Dalida per gli anni successivi e il 3 maggio 1987 porrà fine alla sua vita in seguito a un’overdose di barbiturici. La famiglia di Tenco, dopo il 2006, ha affermato tramite la nipote Patrizia Tenco di credere la tesi di suicidio veritiera.

All’alba di una nuova edizione del Festival di Sanremo, la morte del cantautore rimane ancora avvolta nel mistero. Luigi, per molti, rimarrà una persona troppo intelligente e colta per compiere un simile gesto.

Ovunque Tenco sia, oggi possiamo dire che si è anche solo in parte compresa la natura della sua anima, pure dalla sua amata Genova. Nella speranza che abbia trovato il suo posto e che sia, almeno un po’, felice. Ciao, Luigi.

Scritto da Gaia Vetrano


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