SaturDie Ep.8 – La morte del poeta Pier Paolo Pasolini

di Gaia Vetrano
28 Min.

Sul concetto di verità, Pier Paolo Pasolini una volta disse:

Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario
Nella storia che vi stiamo per raccontare, le bugie hanno le gambe ancora troppo lunghe, e vanno a braccetto con la morte.

Il 2 novembre tutte le strade portano all’Idroscalo di Ostia, nei pressi del cinema Argo. Si sa, persino le anime più profonde hanno bisogno di tempo e di un luogo per riflettere.

Il vento soffia in quello che è ormai considerato un locus amoenus per il poeta Pasolini, ultimo grande fiore del Novecento italiano. L’ex aeroporto per idrovolanti e aerei anfibi civili e militari, bagnato dalle acque del Tevere, è febbricitante di “attualità”. Pasolini, proprio lui, l’artista che, sempre criticato per la sua trasgressività, dava voce alle borgate.

In anni come il 1975 di poeti ne nascono due o tre. Sono sacri.

Pier Paolo, dall’esistenza braccata, sempre nel mirino, per colpa della stessa diversità che lo contraddistingue e per cui in pochi lo osannano, ha proprio bisogno di un luogo dove possa ritrovarsi. Tra i granelli di sabbia, il canto dei gabbiani, e l’odore di salsedine, basta poco per dare un senso ai propri pensieri.

Per molti l’Idroscalo è infatti un luogo rappresentativo della periferia romana, dove ci si reca per passare le giornate più soleggiate. Così le famiglie, come quella di Maria Teresa Lollobrigida, si dirigono lì per fare scampagnate e impiegare il tempo con serenità.

Certo, a novembre c’è senza dubbio un po’ di vento e di freddo. La sabbia rischia di finire negli occhi e non è comodo mangiare tra le lamiere scoperchiate, le case abbandonate, i copertoni negli angoli e qualche cane randagio. È un posto modesto, ma Teresa abita nelle vicinanze, e questo è il luogo più comodo se non si vuole fare troppa strada.

Eppure, è assurdo quando l’inciviltà altrui rovina le spiagge. “Guarda te che maleducati che lasciano la spazzatura”, pensa tra sé e sé Teresa. Incredibile che nessuno dica niente davanti a qualcuno che abbandona un cumulo di rifiuti sulla sabbia. Così ci si avvicina, intenta a pulire al posto degli altri.

Teresa scruta quell’ammasso colorato di rosso. Quella non è spazzatura, ma un tumulo di stracci insanguinati, appartenenti a un cadavere. Le mosche non sono attirate dai resti del cibo avanzato, ma dalla materia grigia che fuoriesce dal cranio martoriato. La canottiera verde è ormai intrisa dal sangue. La donna tira un urlo e chiama le Forze dell’Ordine.

In gioco entra subito un carabiniere. Lo spettacolo è raccapricciante, di certo non adatto a dei bambini. Il cadavere è riverso, con le mani dietro la nuca, colpito da quella che si pensa essere un’arma da taglio. Assieme alla polizia arrivano anche gli abitanti della zona. La spiaggia, fino a quel momento deserta, adesso pullula di gente. Qualcuno è sinceramente preoccupato: raramente così tante volanti si recano in quel luogo disabitato. Altri sono semplicemente dei curiosi ficcanaso.

Nessuno sa ancora che, coperto dal telone della scientifica, non c’è il corpo di un comune pescatore romano. Bensì quello di Pier Paolo Pasolini. A confermarne l’identità arriva l’attore e amico Ninetto Davoli, che toglie ogni dubbio.

Molti raccontano di aver sentito delle urla provenire da una casa nelle vicinanze quella notte. Qualcuno che parlava in siciliano. Poi dei rombi di moto, infine il silenzio. Gli abitanti della zona non proferirono più alcuna parola durante le indagini.

Lo sapevi, peccare non significa fare il male: non fare il bene, questo significa peccare

Epigramma dedicato da Pasolini a papa Pio XII, Eugenio Pacelli, che fu accusato di non essere intervenuto durante la II guerra mondiale per fermare la persecuzione ebraica

Viene spezzata la voce delle periferie violente, dalle quali le persone per bene si tenevano alla larga. Colui che tanto aveva parlato di corruzione, di povertà, di bassifondi. Il narratore di quella classe sociale meno agiata che tanto lo respinge e lo guarda con sospetto.

Quella notte del 2 novembre non è lui quello che si macchia di un enorme peccato. Cosa ci faceva infatti il diciasettenne Giuseppe Pelosi a bordo dell’auto del regista? Perché Pasolini?

Quello che sembra essere in realtà un film, diventa uno dei casi più misteriosi e complessi della storia del nostro Paese. Sedetevi comodi, perché oggi vi raccontiamo il delitto di Pier Paolo Pasolini.

Chi era Pasolini?

Su Pier Paolo Pasolini, durante l’orazione funebre in suo onore, Alberto Moravia fa uno degli elogi più importanti della letteratura italiana.

“Qualsiasi società sarebbe stata contenta di avere Pasolini tra le sue file. Abbiamo perso prima di tutto un poeta. […] Tutto questo l’Italia l’ha perduto, ha perduto un uomo prezioso che era nel fiore degli anni.”

Nato a Bologna da una famiglia borghese, la sua voce ha davvero tanto da raccontarci. Parliamo infatti di una figura le cui posizioni da intellettuale comunista e anticlericale lo resero sin da subito un bersaglio per la comunità romana. Mai nessun artista italiano dovette giustificarsi come lui per le sue idee in Tribunale.

La morte del fratello Guido, ucciso da partigiani comunisti filo-jugoslavi, non impedisce al giovane Pasolini di aderire al marxismo, l’ideologia che sente più vicina ai lavoratori e al mondo degli umili. Durante l’adolescenza, in seguito all’arresto del padre, si stabilisce con la madre in Friuli, dove entra in contatto con l’arcaico e primigenio mondo contadino, incontaminato e innocente. Nel 45’ si laurea in lettere e, a ventisette anni, è già un professore stimato a Udine, mentre inizia a pubblicare libri di poesie.

Un’altra scoperta di quegli anni è quella più intima della sua omosessualità. Pier Paolo è attratto dalle persone del suo stesso sesso e confida ciò solo ai suoi amici più stretti. In un piccolo ambiente di provincia può costargli infatti caro.

Eppure, quando si perdono i freni inibitori, è difficile mantenere il controllo. Questo è quello che succede a Pier Paolo una sera durante una sagra di paese a Casarsa. Pasolini ha bevuto fin troppo per rendersi conto dell’età dei giovani consenzienti con cui intrattiene dei rapporti sessuali, che si limitano alla masturbazione. Sono tutti dei minori.

Nei piccoli centri è facile che le voci si diffondano, e che purtroppo arrivino alle orecchie dei Carabinieri che, nonostante gli altri ragazzi coinvolti non fossero intenzionati a porgere denuncia, decidono comunque di aprire delle indagini. Accusano Pasolini di pedofilia e per questo è espulso del Partito Comunista Italiano. Attorno a lui cala un silenzio pieno di vergogna e il poeta medita il suicidio.

Fa le valigie e insieme alla madre Susanna parte per la capitale.

Negli anni 50’ Roma è una città in piena espansione e Pasolini viene accolto dal turbinio di vita di questa. Le cicatrici della guerra sono ancora visibili, ma si cerca di nasconderle, grazie anche alle nuove attività gestite dalle famiglie di immigrati che vengono aperte.

Pier Paolo è avido di nuove esperienze e di assaporare ciò che i bassifondi e le borgate romane possono offrirgli.

Il giovane diventa esploratore di un mondo nuovo e attraversa le strade di giorno come cittadino alla ricerca di un impiego, di notte nella speranza di accontentare nuovamente i suoi desideri carnali.

Pasolini ritrova nei “Ragazzi di Vita” – titolo di un suo romanzo – con cui passa le sue notti l’ispirazione necessaria per la scrittura. Da qui il poeta che non si accontenta della penna e, dinnanzi al boom economico, che determina una mutazione antropologica, sfrutta i nuovi mezzi di comunicazione: il cinema e il giornalismo.

Con la sua coraggiosa e polemica voce crea scalpore e scandalo, attaccando apertamente gli aspetti marci e corrotti del potere e della vita civile del paese. La degradazione morale e materiale delle borgate sono centrali nelle sue opere. Pasolini risponde così alla sua viscerale necessità di immergersi in questo mondo per scoprire cosa lo renda così impuro. Al tempo stesso ne è affascinato per la carica di vitalità che lo pervade.

Ma la sua battaglia più importante è quella contro il consumismo. Con il boom economico anche la forza primordiale del proletariato viene amalgamata in un tessuto sociale ben omologato, appiattendola e formandola con lo stampino. Nei confronti della società borghese, la stessa da cui lui proviene, Pasolini si accanisce. Di fatto, il consumismo livellatore elimina ogni libertà e fa rimpiangere l’ambiente friulano di contadini e agricoltori.

Il poeta ci lascia senza aver completato il suo disegno narrativo più vasto: quello di “Petrolio”. La sua opera più emblematica contro l’intreccio torbido di politiche e affari occulti che avevano caratterizzato la storia italiana degli anni 60’ e la società neocapitalistica.

Lo stesso intreccio torbido che ne provocherà la morte.

La notte del delitto e l’arresto di Pelosi

La notte del 2 novembre è una sera come le altre.

Pasolini, a bordo della sua Alfa Romeo GT 2000 Veloce, sta vagando per le strade della capitale alla ricerca di qualcuno con cui passare la notte. La sua omosessualità è ormai nota ai quattro venti, e molti lo considerano malato per questa ragione. Per il suo contemporaneo Aldo Semerari, psichiatra, la sua omosessualità, considerata esibizionista, denota una chiara infermità mentale.

Così, vicino alla stazione di Roma Termini, Pasolini incontra alcuni ragazzi. Tra questi Giuseppe detto “Pino” Pelosi, un diciasettenne di Guidonia con precedenti di droga. Degno membro delle borgate, viene chiamato spesso “La Rana”, a causa degli occhi sporgenti. Nonostante la fama del poeta, il cui volto era finito più volte nei giornali a causa delle varie denunce che gli erano state fatte e delle risse in cui era stato coinvolto, Pelosi afferma di non riconoscerlo. Per lui è un uomo qualunque.

Pino Pelosi

Pier Paolo, in cambio della sua compagnia, gli dice che gli avrebbe fatto un bel regalo, probabilmente del denaro. Pasolini non confida però cosa vorrebbe fare con Giuseppe, gli chiede solo se avesse già cenato. Pelosi accetta e i due si dirigono verso un’osteria. Insieme cenano presso la trattoria Biondo Tevere, vicino alla Basilica di San Paolo, dove Pasolini era cliente abituale. I due chiacchierano amorevolmente, come se fossero amici di lunga data.

Pier Paolo risulta appagato da questi fugaci incontri, che sa non può ottenere frequentando i circoli letterari di Federico Fellini, Alberto Moravia, Elsa Morante o Dacia Maraini. Nella notte il suo è un disperato desiderio di vitalità.

Questa cena non gli è sufficiente.

Poi risalgono in macchina. Pelosi non si fa domande su dove stiano andando mentre Pier Paolo si ferma per un rifornimento al Todal. Dopodiché i due si dirigono verso l’Idroscalo. Pasolini si era già recato lì con altri partner. In fondo era un luogo perfetto: silenzioso e isolato. Dopo un primo rapporto orale, Pino scende dall’auto per guardarsi intorno, ma viene seguito dal regista. Iniziano così a farsi insistenti le avances sessuali del poeta, desideroso di un rapporto sessuale. Pelosi non vuole, si ribella. Da qui scoppia una lite, che diventa sempre più accesa e culmina nella rissa.

I due si riempiono di calci e pugni. Poi Pier Paolo colpisce Pelosi in testa con un bastone, e Giuseppe risponde dandogli un forte calcio nei genitali. Il poeta non si arrende, quindi Pino è costretto a usare un asse di legno. Lo colpisce prima sul capo, poi nel petto. Pasolini è ormai stremato a terra, pieno di sangue. Il giovane deve scappare: prende la sua macchina e sale accidentalmente sopra il corpo dello scrittore. Inferisce così il colpo di grazia.

Roma Termini

Pelosi si ferma a una fontanella per ripulirsi dal sangue e poi imbocca il lungomare Dullio di Ostia, dove sfreccia a tutta velocità accanto una volante dei Carabinieri. Inizia l’inseguimento, che termina con l’arresto di Pelosi. In manette, Pino chiede di fumare e lamenta di aver perso un anello americano con due aquile. Sarà proprio questo a incriminarlo davanti agli occhi del commissario Masone.

Il gioiello è proprio accanto il corpo del defunto Pasolini. L’apparente firma del colpevole.

È davvero Pelosi il colpevole dell’omicidio Pasolini?

Trovato il cadavere di Pier Paolo, Pelosi viene messo sotto torchio e confessa di aver ucciso Pasolini. C’è chi però non gli crede. Per qualcuno la sua versione dei fatti, ossia omicidio per legittima difesa, non combacia. Ci sono troppe falle nelle dichiarazioni di Pino. Pasolini gioca a calcio. È atletico, agile e forte.

Non poteva soccombere davanti a quello striminzito di Giuseppe.

Pasolini e la madre Susanna

Inoltre, nella macchina del poeta vengono ritrovati i suoi occhiali. Un dettaglio che può risultare fuorviante, se non si considera che, come raccontato dalla stessa madre, Pasolini non se li toglie mai.

Pelosi, grazie alla difesa di Rocco Mangia – avvocato che aveva protetto i violentatori del Circeo – insiste sulla legittima difesa e ingaggia per le perizie proprio lo psichiatra forense Aldo Semerari. Rocco preme infatti affinché il magistrato convenga che il delitto non sia colposo, così che il suo cliente possa restare in carcere il meno possibile.

Vengono richieste delle nuove perizie da parte degli avvocati della famiglia di Pier Paolo Guido Calvi, Nino Marazzita e Stefano Maccioni, che invece sostenevano che Pelosi non potesse essere solo.

Si analizza la macchina, l’Alfa Romeo GT 2000 Veloce, e si iniziano a interrogare sia gli amici di Pino, presenti il giorno dell’incontro, che gli abitanti delle baracche dell’Idroscalo.

Inoltre viene rifatta l’autopsia, da cui si evincono due vaste escoriazioni sul viso, una frattura in più punti sulla mascella, lesioni trasversali a carico del padiglione auricolare sinistro e destro. Anche le falangi della mano sinistra risultano fratturate, così come almeno una decina di costole. A causa delle percosse viene lacerato persino il fegato. Ma la vera causa del decesso è lo scoppio del cuore, provocato dal sormontamento dell’auto.

La procura tralascia fin troppi dettagli. Un’indagine meticolosa si sarebbe preoccupata, ad esempio, di studiare le impronte delle scarpe adiacenti al punto dove è stato ritrovato il cadavere, zona cha avrebbero dovuto recintare.

Appaiono le prime incongruenze: innanzitutto, com’è possibile che sul corpo del Pelosi manchino i segni della colluttazione? L’unico graffio presente sulla sua fronte è un taglio netto, senza ecchimosi o escoriazioni. Decisamente bizzarro, alquanto difficile se provocato da un’arma contundente quale un bastone di legno.

Inoltre, il volante dell’auto non presenta tracce di sangue o di acqua, e Giuseppe non è stato ritrovato con le mani bagnate dalla Polizia (ricordiamo infatti avesse raccontato durante il primo interrogatorio di essersi lavato le mani a una fontanella prima di fuggire).

Com’è possibile che Pino abbia potuto martoriare il corpo di Pasolini in quel modo utilizzando un bastone di legno mezzo fradicio di acqua e marcio per l’umidità, che si sarebbe subito dovuto spezzare, come racconterà Enzo Siciliano, drammaturgo e scrittore italiano, autore di una biografia del poeta. Com’è possibile che gli indumenti del Pelosi presentino giusto un paio di macchioline di sangue?

Pino Pelosi

Chi ha lasciato le tracce di sangue di Pasolini sopra il tettuccio del passeggero se le mani di Pelosi erano pulite?

Giuseppe racconta di essere sceso dalla macchina per “guardarsi intorno”. Eppure, l’illuminazione è inesistente all’Idroscalo. Cosa avrebbe potuto vedere?

I proprietari della trattoria “Biondo Tevere”, interrogati, raccontano di aver visto Pier Paolo in compagnia di un giovane alto almeno 1,70 e forse di più, con capelli lunghi e biondi, pettinati all’indietro. L’opposto di Pino, che vanta una statura di 1,60 m, è tarchiato e ha dei folti capelli neri e ricci.

Gli amici di Pelosi raccontano di essere arrivati quel 2 novembre alla stazione in autobus, mentre Pino aveva dichiarato di averli accompagnati tutti a bordo della sua auto. Infine, nella macchina di Pasolini vengono trovati un golfino e un plantare, che non appartengono né a Pelosi, né a Pier Paolo.

Quella sera i due non erano soli.

Pasolini, Pelosi e…?

C’era davvero qualcuno in auto con i due?

I primi nomi sono quelli di Franco e Giuseppe Borsellino, alias “Braciola” e “Bracioletta”, trafficanti di droga e militanti nel Movimento Sociale Italiano. Un poliziotto infiltrato li aveva sentiti vantarsi di aver ucciso Pasolini. Ma, in assenza di prove, vennero rilasciati.

L’altro possibile complice è Johnny Lo Zingaro, detto il “Biondino”, all’anagrafe Giuseppe Mastini. Questo è un criminale italiano già noto per aver compiuto diverse rapine e furti. Inoltre, è lo stesso ad aver regalato a Pelosi l’anello con le due aquile abbandonato di lato al cadavere di Pasolini. I due sono infatti amici di lunga data. Il plantare ritrovato nel cofano porta le iniziali G.M. È possibile che lo Zingaro, prima di mettersi alla guida per fuggire, si sia tolto una scarpa e, sudato, pure il maglione verde.

Giuseppe Mastini

La presenza di un terzo porrebbe un punto a molte domande. Gli avvocati ipotizzano infatti che lo scrittore non sia uscito dalla sua macchina di sua spontanea volontà, ma che ne sia stato tirato fuori con estrema violenza. Quella tipica di un agguato. O peggio, di un massacro.

Così ricostruiscono quella fatidica notte. I due, la Rana e Pasolini, si conoscevano già da mesi, e ciò spiegherebbe per quale motivo gli amici di Pelosi avrebbero affermato, durante l’interrogatorio, che l’amico avesse riconosciuto lo scrittore. D’altro canto, lo stesso Pino confermerà questa teoria trent’anni dopo, nel 2005 e nel 2011. Nella sua autobiografia racconterà infatti di aver incontrato Pasolini per la prima volta l’estate precedente.

Dopo che Pelosi è sceso dalla macchina all’Idroscalo, Pasolini ne viene trascinato fuori dai complici e colpito violentemente con il bastone di legno, ma usando anche altre armi, come delle catene. Il poeta è ferito e perde già abbondante sangue, ma ha ancora le forze sufficienti per togliersi la camicia e usarla per tamponare le emorragie. Ma ai suoi aggressori non basta.

Pasolini è capace di alzarsi e incominciare a correre. Ciò non sarebbe stato possibile se, come raccontato da Pelosi, avesse ricevuto un forte calcio ai genitali, che però non trova riscontro con l’autopsia.

Pasolini percorre 70 metri, poi cade a terra. I suoi aguzzini lo seguono con l’automobile e lo investono, provocandone l’arresto cardiaco. Pelosi aveva affermato di non essere salito volontariamente sul corpo del poeta con l’auto. Eppure, proprio dalla seconda autopsia, risultano evidenti i segni di uno pneumatico sulla schiena di Pier Paolo.

Tutto questo sotto gli occhi di Pino Pelosi.

Eppure, l’identità di questo terzo non verrà mai confermata. Rimarrà un ignoto.

Ciò che rimane è la certezza che la voce di Pasolini sia stata mozzata da qualcuno che aveva troppa paura delle sue posizioni.

Io so.

Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe“. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali, a giovani neofascisti, anzi neonazisti e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.

Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.

Pier Paolo Pasolini, Corriere della Sera, 14 novembre 1974.

La Banda della Magliana è davvero coinvolta?

L’ultimo grande interrogativo riguarda il coinvolgimento della Banda della Magliana, un’organizzazione criminale mafiosa.

Nonostante Pelosi sia stato arrestato e condannato fino a nove anni per omicidio colposo, per l’Antimafia il delitto rimane irrisolto.

Possibile che abbiano invitato il poeta all’Idroscalo per recuperare le pizze del suo ultimo film, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”? Qualcuno le aveva rubate il Ferragosto precedente da un capannone a Cinecittà. Questo come raccontò l’amico e attore del poeta, Sergio Citti, nel 2005 a “La Repubblica”.

Citti e i ricattatori si incontrarono un paio di volte. In cambio della pellicola chiedevano 2 miliardi di lire.

Grimaldi, il produttore del film, si rifiutò di restituire la quota. Sergio si recò nuovamente nello stesso bar dove lo aveva fermato il contatto la prima volta, luogo che si scoprì frequentato da Pelosi e da altri membri della banda della Magliana. Davanti alla controfferta di Grimaldi di 50 milioni, questi rifiutarono. In cambio, chiesero il numero di Pier Paolo.

Qualche giorno dopo, Pasolini, Citti, Ninetto Davoli e l’ex moglie di Sergio si ritrovano tutti a cenare a Ostia. Il regista racconta di aver ricevuto una telefonata da parte di un giovane che si voleva scusare per il furto delle pellicole e che era intenzionato e restituirgliele. “Domani vado a Stoccolma, quando torno li vedrò, mi hanno detto ‘Ci dispiace’, vogliamo ridarti tutto”” racconta.

Pelosi è stato l’esca giusta, perché a Pier Paolo piaceva quel tipo di ragazzo. Ad Ostia lo hanno portato con l’inganno, perché dovevano ridargli la pellicola.

La sera del 2 novembre Pier Paolo si incontra prima con Pelosi a Roma Termini, dove attende una nuova telefonata. Gli danno appuntamento all’Idroscalo superata la mezzanotte. Poi la strage.

Pier Paolo Pasolini e Sergio Citti
So chi ha ucciso Pasolini, in quale modo e anche perché.

È arrivata l’ora di riaprire l’inchiesta. […] Con la sua morte, ha fatto vivere tanta gente, persone che hanno scritto, filmato e lucrato su di lui. La sua perdita è più grave di quello che sembra: non manca solo a me, manca ai giovani, anche se non lo sanno.

Per questo ho un appello da fare: mi rimane poco da vivere, riaprite il processo, fate presto.
Sergio Citti, La Repubblica

Sergio Citti ci lascia l’11 ottobre 2005. Era gravemente malato e costretto alla sedia rotelle. L’ultimo lume di speranza si spegne.

Gli effetti personali di Pasolini. Le prove, le armi. In uno scatolo ripongono Il golfino, il plantare, le chiavi dell’auto. La Procura romana chiude la verità con del nastro adesivo e la ripone su uno scaffale, data la scelta di non indagare su chi potesse essere il terzo ignoto presente quella notte.

Uscito dal carcere, nel 2005, Pelosi ritratterà nuovamente le sue posizioni intervistato per il programma televisivo Ombre sul Giallo, di Franca Leosini. Quella notte non era solo, ma con lui c’erano tre complici che non aveva mai visto prima. Dei siciliani che li avevano seguiti a bordo di una Fiat 1300 targata Catania di cui riportò le prime quattro cifre. Mai nessuno effettuò una verifica presso il Pubblico Registro Automobilistico.

Nel 2011, nella sua autobiografia, scrive che adesso che i suoi genitori sono morti non ha più paura dei ricatti, e può finalmente parlare. Confessa di aver avuto una relazione con Pasolini durata mesi, e descrive questo come un “gentiluomo”.

Molti ritengono Pasolini fosse coinvolto nelle lotte di potere tra Eni e Montedison, ossia tra Enrico Mattei e Eugenio Cefis. I due furono di grande ispirazione per “Petrolio” e c’è chi ritiene che il poeta sia stato ucciso dalla mafia perchè a conoscenza di chi avesse manomesso l’aereo di Mattei – morto durante un incidente in volo nel 62′ – e di un eventuale coinvolgimento di Cefis.

Si porta la verità nella tomba Pino Pelosi, morto il 20 luglio 2017 a causa di un tumore ai polmoni.

Di Pier Paolo Pasolini rimarrà forte e vivido il suo ricordo tramite la forza prorompente delle sue parole.

Scritto da Gaia Vetrano


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