SaturDie Ep. 33 – Ted Bundy: il fascino mortale

di Gaia Vetrano
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 25 Min.

Di famosi, tra i casi di crime, ve ne sono pochi come quello di Ted Bundy.

Negli anni Settanta lasciano pochi un’orma di terrore come la sua. Il velo che separa e distacca fantasia e realtà sembra quasi scomparire quando si racconta questa storia. Forse perché, davanti a tanto male, cerchiamo in tutti i modi di non crederci.

Dall’altra metà del globo terracqueo arriva una storia diversa da quelle di mostri, vampiri o lupi mannari. Questa è la storia di un uomo dolce, affabile e gentile. Che di mostruoso ha solo una cosa. E di scheletri nell’armadio non ne ha soltanto uno, ma addirittura trenta. Questo è SaturDie, e oggi vi parliamo di Ted Bundy.

Che voi abbiate vent’anni, o ventuno, vivere in America negli anni Settanta non è facile.

Un’epoca rabbiosa, tra l’inflazione, il Vietnam e l’Iran, e poi il Watergate. Per le strade si teme il crimine. Parliamo di un periodo storico la cui percentuale di omicidi è aumentata del 62% rispetto al decennio precedente, ugualmente per gli stupri.

Il fenomeno degli omicidi seriali esisteva, ma non si riusciva ancora a dargli un nome.

Immaginate quindi di essere una normale studentessa di vent’anni e di stare girando per la vostra città al bordo della vostra auto. O di star uscendo dalla vostra facoltà. Oppure state raggiungendo delle vostre amiche, o state andando a fare la spesa. Vi sentireste al sicuro? Forse, nel 1974, quando ancora non si conosceva il concetto di “serial killer”, qualcuno avrebbe risposto di sì.

Eppure, non tutti scelgono di privarsi delle proprie giornate in riva al mare, o al lago. In fondo, sono i centri abitati quelli pericolosi. Nei luoghi di villeggiatura ci va la gente per bene, non i criminali dei bassifondi di Los Angeles o San Francisco. Nel parco del lago di Salt Lake non ti aspetti mica un’aggressione.

Così, immaginate di aver appena passato una giornata al lago, con i vostri amici del collage, e ora state tornando a casa dalla vostra famiglia. Vostra madre vi ha ampiamente raccomandato di stare attenti alla guida, per non fare danni all’auto. E poi, di non parlare con gli sconosciuti, soprattutto di quei tempi. A voi è quasi sembrata un tantino esagerata, d’altro canto state andando in un posto sicuro, dove la gente si diverte e si rilassa.

Mentre caricate le vostre cose nel portabagagli vi si avvicina un giovane. Avrà vent’anni, l’aria smarrita e un braccio ingessato.

Ha un sorriso allegro, capelli ribelli tenuti in ordine dalla spazzola e con la riga al centro, come dettano le tendenze di quegli anni. Barba fatta, un buon profumo. Parla bene, con calma.

Con cortesia vi chiede una mano a salire la canoa nella sua macchina.

Lo fa guardandoti negli occhi, e nel mentre puoi notare la sua pupilla tremare. Come se il suo destino dipendesse da te e dalla risposta che gli avresti dato. In fondo, cosa può succedere? Si tratta solo di una buona azione. Niente che possa metterti in pericolo. In sé sembra avere distillato il profumo dell’innocenza.

 Alla fine accetti, tra un sospiro e l’altro. Così dolce, non puoi rifiutarti.

A quel punto sali in macchina con lui, perché la canoa è un po’ più distante dall’auto. Giustamente, come avrebbe potuto trascinarla fin lì con un braccio rotto?

Anche la macchina ti fa pensare che ti puoi fidare. Chi, se non un intellettuale, può guidare un Maggiolino Volkswagen? È un po’ ammaccata, ma dentro continua a profumare di nuovo. Così sei quasi incuriosito e desideroso di conoscere di più riguardo a quel misterioso ragazzo.

Quando ti accorgi però, che manca la maniglia del passeggero, capisci che c’è qualcosa che non va. Improvvisamente, la macchina non è più confortevole, ma sembra quasi una prigione. Una trappola nella quale tu stessa sei caduta. E non odora più di pulito, ma di marcio.

Poi ti giri, e il misterioso giovane in cerca di aiuto non sembra più così smarrito. A lui non tremano le mani, a differenza tua. Non è più un intellettuale bohemien, simpatico e alla mano. Tra le mani ha una spranga, e in un battibaleno ti rendi conto che il braccio non è rotto.

Non puoi neanche chiedere aiuto che subito ti colpisce in testa. Mentre senti le forze svanire, l’ultima cosa che rimane impressa nella tua mente è il suo sguardo. Freddo, quasi spiritato. Cullato dalla certezza che, ancora una volta, nessuno lo ha beccato.

Lo sguardo di un serial killer. Poi, probabilmente per sempre, il buio.

L’ultimo pensiero che vacilla nella tua mente è che, in fondo, tua madre aveva ragione. Mai fidarsi degli sconosciuti.

Da Theodore Cowell a Ted Bundy

Per parlare di Ted Bundy dobbiamo tornare a Burlington, a quando ancora era da tutti chiamato Theodore Robert Cowell.

Lì nasce in un ospedale per ragazze madri. Sua madre si chiama Eleanor Louise Cowell, mentre invece è sempre rimasta ignota l’identità del padre. Theodore è un figlio illegittimo, e per questo la giovane mamma era inizialmente convinta di volerlo dare in adozione. Molto presto si pentirà di questa scelta, decidendo alla fine di portare a casa con sé il bambino.

Ritornata così a Philadelphia, per evitare lo stigma sociale, Eleanor lo presentò al mondo non come suo figlio, bensì come fratello minore. Theodore, per i primi vent’anni di vita, non è altro che il secondo figlio di Samuel ed Eleanor Cowell.

Per tutta la sua infanzia, Ted visse con la convinzione che i suoi nonni materni fossero in realtà i suoi genitori. A questi si affeziona, e racconta ai suoi amici quanto fossero delle brave persone. In realtà, la famiglia dei Cowell era da molti considerata disfunzionale.

Samuel Cowell era un razzista, antisemita e anticattolico. Nonché una persona violenta e scontrosa nei confronti della moglie ma anche del suo gatto e dell’intero vicinato. D’altra parte, Eleanor Cowell – la nonna di Ted – soffriva di depressione ed era, nei confronti del marito, obbediente e accondiscendente.

All’interno delle mura di casa erano frequenti gli attacchi di ira di Samuel nei confronti dell’intero nucleo familiare ad eccezione di Theodore, a cui veniva riservato tutto l’affetto.

Proprio a causa del clima tossico, la madre biologica di Ted, Eleanor Louise, decise di trasferirsi insieme a suo figlio a casa dei cugini Alan e Jane Scott a Tacoma, nello Stato del Washington. Questo non prima di aver cambiato il suo cognome in Nelson e aver cancellato il suo primo nome. Proprio per questo motivo, per evitare ambiguità da qui in avanti, la chiameremo Louise.

È a Tacoma che incontra Johnny Culpepper Bundy, un cuoco che lavorava in un ospedale, e tra i due sboccia l’amore. Il 19 maggio del 1951 si sposeranno e Johnny deciderà di adottare Ted. In quest’occasione cambierà il suo nome in Theodore Robert Bundy.

Negli anni successivi i due concepirono altri bambini, ma il piccolo Ted non si affezionerà alla nuova famiglia, tantomeno al padre.

Gli ultimi anni della sua infanzia vennero segnati da atti di bullismo perpetrati nei suoi confronti. Veniva spesso aggredito dai coetanei a causa del suo carattere timido e schivo, sia a scuola che presso i Boy-scout che egli frequentava. I primi impulsi criminali non tardarono a dimostrarsi: venne accusato più volte di spiare le compagne di scuola dalle finestre e di rubare i loro vestiti dagli spogliatoi.

Il cambiamento radicale avviene però cominciato il college, prima alla Puget Sound University, a Tacoma. Bundy non è costante sul posto di lavoro. Comincia come umile assistente in un hotel, poi diventa un volontario a tempo pieno per Art Fletcher, un candidato nero Repubblicano per la carica di Governatore. È un disoccupato, con uno spiccato interesse per la politica e, secondo le sue biografie, per lo sci. Diventa anch’esso violento, commettendo furti e partecipando a risse.

Anche nei rapporti umani si dimostra scostante: nel 1967 si trasferisce alla Washington University, dove conosce e si frequenta con Stephanie Brooks, anche se per poco. Quest’ultima rappresenta non solo il primo amore di Bundy, ma anche la sua prima esperienza in campo sessuale.

Nel 1968 Bundy cambia nuovamente università, entrando a Stanford. A causa dei suoi comportamenti talvolta inadeguati e della distanza, Stephanie troncherà i rapporti con Ted.

Le ragioni al di là di questa rottura sono ancor più profonde: Ted non ha obiettivi nella vita e proviene da una classe sociale meno abbiente da quella della Brooks. Per questo motivo, la donna non vede per i due un possibile futuro. La fine di questa relazione lo segnerà nel profondo.

Ted Bundy

All’età di ventitré anni, nel 1969, Ted Bundy ritorna a Burlington e scopre che colei che considerava sua sorella maggiore, ossia Louise Nelson, è in realtà sua madre. Ancora oggi non è chiaro come sia venuto a conoscenza della verità. Ciò che è certo è il periodo di depressione nel quale entrò negli anni successivi.

Nel 1969, ritornerà a Washington, riprendendo gli studi all’università di psicologia. Da quel momento Ted sembra uscire dal periodo di depressione e si dimostra desideroso di cominciare una nuova vita. Da studente medio diventa un’eccellenza, nonché una promessa del Partito Repubblicano, per cui è tesserato. Così incontra Elizabeth Kloepfer, donna divorziata che rimarrà al fianco di Bundy per sempre.

Stringe un forte rapporto d’amicizia con un’altra donna, Ann Rule, che diventa la sua principale confidente. I due si conoscono presso il centro telefonico della Seattle Crisis Clinic, un’organizzazione no-profit che, attraverso i propri telefonisti, cercava di dare assistenza ai bisognosi e anche alle vittime di stupri, per cui Ted lavora da volontario. Sarà questa a scrivere le biografie più importanti riguardanti la vita di Bundy.

Infine conosce Meg Anders, con cui si frequenta per qualche anno. Bundy la tratta con estrema gentilezza, tanto che lei le presenta il suo primo figlio, avuto da una precedente relazione. Ted non riesce però a dimenticare Stephanie, con la quale si tiene in contatto tramite lettere e telefonate.

Nel 1973, terminati gli studi a Washington, viene accettato all’università di legge dell’Utah. Forte della sua nuova aria da intellettuale riesce a conquistare nuovamente la Brooks, con la quale si frequenta di nascosto a Meg. L’uomo porta avanti due relazioni, ed entrambe le donne sono una ignara dell’altra.

Poi l’improvvisa svolta nella sua vita: Bundy si allontana improvvisamene da Stephanie. Diventa freddo e insensibile, e quando lei lo chiama per avere spiegazioni, Bundy si rifiuta di rispondere. Freddo e calcolatore, riesce quindi a far in modo di far innamorare la Brooks di lui così da poterla lasciare come lei aveva fatto a lui.

Terminano così gli anni in cui Ted è un semplice studente.

L’ombra di morte e di Stephanie Brooks a Seattle

La spirale di morte generata da Bundy ha inizio nel 1974. Ogni vittima era meticolosamente selezionata: tutte assomigliavano alla sua vecchia fiamma Stephanie Brooks. Ted continua, infatti, a ricercare in qualsiasi ragazza che incontra la sua fisionomia.

Seattle era una cittadina tranquilla fino al 4 gennaio del 1974 quando fu teatro di orrendi omicidi a sfondo sessuale compiuti, stando a primi rilevamenti della polizia locale, dalla medesima mano, ovviamente quella di Ted Bundy.

La prima giovane vittima è la diciottenne Joni Lentz. Bundy riuscirà a infilarsi illegalmente nel suo appartamento, condiviso tra varie coinquiline, mentre queste erano fuori a fare colazione. Quando queste rientrarono in camera trovarono uno scenario raccapricciante.

Trovarono Joni ancora sotto le coperte, come se si fosse svegliata da poco. Ma queste erano intrise di sangue così, quando le scostarono, notarono le innumerevoli ferite, frutto percosse. Bundy aveva divelto l’intelaiatura del letto e aveva usato come spranga una delle aste di legno. Poi gliela aveva conficcata profondamente all’interno della vagina.

Joni, viva per miracolo, entra in coma. È una delle poche vittime di Ted Bundy che riesce a sopravvivere. Risvegliatasi dal coma non ricorda nulla dell’accaduto a causa delle gravi lesioni riportate al sistema nervoso.

La povera Lynda Ann Healy non ebbe la stessa fortuna. Un paio di settimane dopo scomparve, infatti, dalla sua camera in un seminterrato, sempre a Seattle. Sul pavimento vennero trovate ampie chiazze di sangue, ma la polizia ritenne improbabile potesse trattarsi di omicidio; quindi, non ordinò mai un’analisi minuziosa della scientifica, per individuare eventuali impronte digitali.

Sul letto, dove mancavano sia il cuscino che le lenzuola, venne identificata una dubbia macchia, probabilmente liquido seminale.

Tra la primavera e l’estate del 74’ cinque ragazze scomparvero, assorbite dal buco nero che era Ted Bundy, capace di distruggere tutto ciò che lo circonda. Tre gli stati coinvolti: Utah, Oregon e Washington.

Nel giugno del 1974 venne trovata morta Brenda Barker in un parco, ma dallo stato delle sue spoglie non è stato possibile comprendere le cause. Con lo stesso modus operandi vennero trovati i resti di due ragazze, comparse entrambe il 14 di luglio: Janice Ott e Denise Naslund, nel parco del lago di Shammanish.

Le due vennero riconosciute dalle ciocche di capelli, quattro ossa del femore, due teschi e un osso della mascella. Una coppia aveva visto Janice l’ultima volta parlare, in riva al lago, con un uomo attraente e affascinante. Lui portava il gesso al braccio, che si era rotto giocando a tennis, e guidava un Maggiolino della Volkswagen. Le aveva chiesto una mano per salire la sua barca sul tetto dell’auto.

Letta questa storia sul giornale, Janice Graham denunciò alla polizia di essersi trovata in una situazione simile con lo stesso individuo. Quest’ultima è riuscita a sventare il pericolo perché, arrivata alla macchina di Ted, si era resa conto non vi fosse la barca. A quel punto si rifiutò di salirci, non fidandosi di Bundy. Grazie a Janice Graham e agli altri testimoni che avevano visto l’uomo nel parco, fu possibile tracciare un primo identikit.

La scia di sangue in Utah

In seguito alla diramazione del primo identikit, un’amica di Meg le fece notare la strana somiglianza tra questo fantomatico killer e lo stesso Ted. Eppure, le innumerevoli segnalazioni la Polizia ignorò e continuò a sostenere che fosse improbabile che uno studente di legge potesse commettere omicidi.

In quel periodo Bundy si trasferì a studiare in Utah legge, dove commise altri omicidi.

Primi tra questi quello della diciassettenne Melissa Smith, scomparsa di casa mentre andava a una festa. Ritrovarono il suo corpo al Summit Park. La giovane è stata picchiata, stuprata, legata e strangolata con i suoi calzini. Dei rametti vennero trovati infilati nella sua vagina, insieme ad altra sporcizia.

Ted Bundy

Dopo di lei Laurie Aimee scomparve ad Halloween. Il suo corpo venne trovato nell’American Folk Canyon da un’escursionista, anch’essa nuda. Il suo corpo portava gli stessi segni di violenza di Melissa.

Il primo passo falso di Bundy viene compiuto l’8 novembre del 74’. Quel giorno sceglie di avvicinarsi a Carol De Ronch in un centro commerciale di Murray vestito da agente della polizia. Disse alla giovane che la sua auto aveva subito un tentativo di furto e si offrì per darle un passaggio in centrale.

Entrata in macchina provò ad ammanettarla ma Carol riuscì a scappare, incontrando un motociclista che decise di portarla – realmente – dalla Polizia.

La donna fornì una seconda descrizione di Bundy e anche della sua auto. Un paio di ore dopo arrivò la notizia della scomparsa di Debbie Kent, vista l’ultima volta davanti l’uscita della Viewmont High School a Bountiful.

Secondo le testimonianze un uomo si era avvicinato a Debbie dicendole che era successo qualcosa alla sua macchina. Tutt’oggi non hanno ancora ritrovato il suo corpo.

Il trasferimento di Ted Bundy in Colorado e il primo arresto

Gli omicidi si interruppero per quattro mesi, periodo in cui Bundy si trasferì in Colorado. Tra gennaio e aprile 1975 fece scomparire quattro giovani donne.

I loro teschi verranno ritrovati nella discarica dell’area di Taylor Mountains. Uno di questo proveniva addirittura dall’Oregon. Non vennero trovati altri resti la zona si trasformò nel luogo di sepoltura ufficiale delle vittime di Bundy.

Nella prima rosa dei possibili colpevoli, Bundy non figurava. Poi la svolta quando l’ufficiale stradale Bob Haywood – fratello di Pete Haywood, che ai tempi lavorava come detective per i delitti di Salt Lake City – notò un Maggiolino Volkswagen nei pressi di Granger, in Utah. Ritenendo l’auto sospetta fece cenno all’autista di fermarsi, ma questo al contrario accelerò improvvisamente.

Il guidatore era proprio Ted Bundy, il quale si dovette fermare per evitare un inseguimento. Bob notò subito l’assenza del sedile passeggero, così ordinò di perquisire l’auto, mentre Ted veniva mandato in centrale non essendosi fermato quando l’agente gli aveva inizialmente intimato di fare.

All’interno dell’auto trovarono una spranga, un passamontagna, un rompighiaccio e un paio di manette. Per questo motivo cominciarono a collegare Bundy alle aggressioni di Salt Lake e ordinarono una perquisizione immediata della sua abitazione, dove però non trovarono nulla.

Mostrarono a Carol De Ronch una sua foto, la quale non lo riconobbe. Eppure, alcuni testimoni lo identificarono come l’uomo visto in compagnia di Debbie Kent. Infine trovarono nella sua auto i capelli di alcune delle giovani scomparse. Riuscirono ad arrestarlo per aver aggredito Carol.

Alcune delle vittime di Ted Bundy
Alcune delle vittime di Ted Bundy

Le varie rocambolesche fughe di Ted Bundy

Aperto il processo molti continuarono a sostenere l’innocenza di Bundy. Un ragazzo così alla mano non poteva essere l’assalitore di Carol, per cui alla fine sarà comunque condannato, non avendo alcun alibi. Rinchiusero Ted in carcere, mentre l’FBI operava per trovare altre prove che potessero collegarlo ad altri omicidi.

L’uomo sarà quindi estradato in Colorado, dove sceglierà di difendersi da solo. Gli garantirono l’accesso alla biblioteca e, durante le ore di permesso, Bundy riuscì a scappare dalla finestra. Dopo sei giorni sarà ripreso, ma a questo seguirà un secondo tentativo di fuga che invece andò a buon fine.

In quindici ore, il tempo necessario per la diramazione del comunicato ufficiale, Bundy riuscirà ad arrivare a Tallahassee, in Florida, dove affittò un appartamento sotto il nome di Chris Hagen. Da quel momento in poi continuerà a vivere di furti.

La notte del 14 gennaio si infilò nel dormitorio della confraternita della Chi Omega, dove picchiò a sangue quattro ragazze. Dopo di queste anche Cheryl Thomas, che sopravvisse nonostante il cranio fosse fratturato in cinque punti.

In seguito provò ad aggredire una ragazza a Jacksonville, ma il fratello di lei riuscì a fermarlo. Il 9 febbraio 1978 rapì la dodicenne Kimberly Ann Leach dalla sua scuola a Lake City, Florida. Qualcuno la vide mentre un uomo l’accompagnava verso un furgone bianco. Il suo corpo venne parzialmente mummificato.

Continò a spostarsi rubando messi, trasferendosi a Pensacola, Florida. Lì un agente lo identificò e i due ebbero uno scontro, in seguito alla quale Bundy venne di nuovo arrestato.

Ted Bundy

L’ultimo processo e la condanna a morte

Bundy diede inizialmente un nome falso, ma riuscirono comunque a identificarlo perché uno dei dieci criminali più ricercati dall’FBI in America.

Lo accusarono degli omicidi delle ragazze della Chi Omega e di quello di Kimberly Leach. Tra le varie prove considerate anche le impronte dentarie lasciate sui cadaveri. Sarà per questo condannato a morte. Nel 1986 riuscì a evitare l’esecuzione della pena capitale per due volte.

Alle 7.06 del 24 gennaio 1989, Ted Bundy fu giustiziato con una scarica di oltre 2.000 Volt, che attraversò il suo corpo per dieci minuti. Le sue ceneri sono state cosparse sulle Taylor Mountains. Un ciclo che si chiude.

Si prenda cura di sé stesso, figliolo. Glielo dico sul serio, si prenda cura di sé stesso. È una tragedia per questa corte vedere un tale totale spreco di umanità come quello che ho visto in questo tribunale. Lei è un uomo giovane e brillante, avrebbe potuto essere un buon avvocato. Avrei voluto vederla in azione, ma lei si è presentato dalla parte sbagliata. Si prenda cura di sé. Non ho nessun malanimo contro di lei. Voglio solo che lo sappia. Si prenda cura di sé stesso

Parole del giudice giudice Edward Cowart pronunciate alla fine della lettura della sentenza di condanna

Scritto da Gaia Vetrano


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