SaturDie Ep.11 – Il colpo della mantide: l’omicidio Gucci

di Gaia Vetrano
40 Min.

Nella storia della moda italiana, pochi lasciarono il segno come Maurizio Gucci.

Un nome famoso in tutto il mondo. Non tutti possono vantarsi negli anni Novanta di poter indossare un capo della famosa maison, i cui prezzi sono alti, ma la qualità è invidiabile. D’altro canto, il nome di Gucci si lega proprio a quell’élite alto borghese per cui una pelliccia più costosa o una borsa sfarzosa non sono altro che un capriccio da soddisfare.

Eppure, nonostante i sorrisi che davanti alle telecamere vengono sfoggiati, il marcio è padrone delle loro vite. L’avidità, a partire dai tempi di Caino e Abele, è da sempre stata capace di spezzare in due le famiglie. Il denaro si fa facilmente, se è quello che si vuole. Ma difficilmente ci si limita a questo: il potere non è acquistabile. Eppure, la ricerca di questo corrompe in poco tempo, e corrode i rapporti tra fratelli, sorelle, o coppie.

Da sempre, è capace di trascinare anche le anime più razionali verso gli abissi, dove l’intelletto si spegne e rantola nel buio. Ed è quando il lume della ragione viene perduto, che la mente umana è capace di commettere le più assurde atrocità. Futili battaglie capaci però di recare immensa distruzione.

Quando Maurizio Gucci si guarda allo specchio, la sua vita è l’immagine perfetta di tutto questo. Dell’invidia, del lusso, delle feste sfrenate. Dell’ammirazione smisurata difficile da guadagnare. Dei calici di champagne e delle perversioni. Della ricerca sfrenata e ossessiva di portare avanti il proprio nome. Di farlo rispettare.

Ma quello che Maurizio non vede è che la discesa verso gli Inferi è più vicina e precipitosa di quanto sembra. Gucci non sa di trovarsi con i piedi sul baratro e che sarà qualcuno a lui tremendamente vicino a spingerlo al suo interno.

D’altro canto, non è forse questa la storia dei già citati Caino e Abele? I due figli di Adamo ed Eva, rispettivamente un agricoltore e un pastore. Il primo, dopo che Dio rifiutò il suo raccolto preferendo quello del fratello, diventerà il primo assassino della storia.

Caino, per invidia, si macchierà dell’omicidio di Abele. Forse, se qualcuno avesse detto a Maurizio Gucci di guardarsi le spalle da qualcuno a lui vicino, allora sarebbe ancora vivo.

Maurizio Gucci

In pochi possono vantarsi di lavorare a stretto contatto, o di banalmente conoscere, gli imprenditori della Milano bene che, già alle otto del mattino di lunedì, corre a lavoro.

Tra questi c’è il portinaio del numero civico 20 di Via Palestro, un elegante edificio rinascimentale di fronte i Giardini Pubblici, il signor Giuseppe Onorato, ex-maresciallo dell’esercito, adesso pensionato. Anche questo la mattina ha un bel da fare: deve pulire meticolosamente le scale dell’ingresso dalla sporcizia e fare in modo che nessun estraneo entri al suo interno.

Marzo è un mese a Milano relativamente ventoso: basta poco affinché boccioli e foglie entrino nell’androne, per non considerare la polvere che ognuno si porta dietro, sotto le suole. A lui viene richiesto che si mantenga un certo decoro. Per cui, come ogni giorno della sua vita, il 27 marzo 1995 Giuseppe sta passando la scopa sui gradoni in marmo bianco del suo palazzo.

Per qualcuno potrebbe sembrare una routine noiosa. In fondo, cosa si fa oltre che accogliere i vari condominiali o ritirare pacchi? Per Giuseppe è sufficiente potersi vantare di conoscere Maurizio Gucci. Un uomo gentile, alla mano, con lui sempre cortese. Una brava persona, a modo. Oltre che un grande imprenditore.

Eccolo che arriva” mormora tra sé e sé quella mattina. Come sempre, indossa il suo completo elegante, dai toni del marrone. Ogni giorno, sorridente, con la sua ventiquattro ore e la camicia bianca, si reca negli uffici della sua ditta. Maurizio entra nella palazzina e saluta Giuseppe.

Dal numero civico 20 di Via Palestro, Gucci non ne uscirà mai più.

Onorato non ha il tempo di ricambiare il gesto che, dietro di lui, vede un’altra figura. Un uomo elegante, come lo sono tutti coloro che lavorano in quella impresa, con un berretto da baseball in testa. Ha il braccio puntato in avanti: tra le dita stringe una pistola, che colpita dalla luce brilla come un diamante. Lo fa con disinvoltura, come se non fossero solo le 8:35 del mattino.

Prima che il portiere riesca a dire qualcosa, il killer spara tre colpi verso Maurizio: lo raggiungono alla schiena e al gluteo destro. Gucci ha il tempo di guardare un’ultima volta Giuseppe, prima di accasciarsi sul pavimento. Seguirà un altro colpo, nella tempia.

Onorato rimane pietrificato. Di tutte le cose che gli erano successe, questa va ben oltre l’immaginabile. All’assassino non importa nulla delle sue lacrime o delle sue suppliche. Del fatto che sia solo un povero anziano, presente casualmente in un luogo dove – solo sa Dio – quanto avrebbe preferito non esserci. È solo un testimone scomodo. Così spara altre due volte, ma è nervoso.

Giuseppe solleva il braccio, come per difendersi e, miracolosamente, viene colpito solo al tricipite e alla spalla.

A quel punto l’assassino se ne va, con la stessa nonchalance con la quale è arrivato. Nel farlo urta però una dipendente della ditta di Gucci, mentre il portiere cade a terra. Prima di svenire, ha il sorriso sulle labbra, felice di essere ancora vivo.  

Purtroppo, accanto a lui, qualcuno ha già smesso di lottare per la vita, ed è precipitato nel baratro. A qualche metro, c’è il corpo di Maurizio Gucci, pregno del suo stesso sangue, steso sul fianco destro, con la testa su un braccio e l’altro ripiegato sotto al corpo. Ha lo sguardo sereno, come se dormisse.

Ma dagli Inferi, come ci insegna il mito di Orfeo ed Euridice, non si può tornare indietro. A qualche metro da Giuseppe, il re ormai caduto di un vasto impero.  

Gucci: l’impero dalle due G

Agli inizi degli anni 20’, l’offerta imprenditoriale di Gucci vanta un ampio catalogo di borse e valigie. Il nonno, Guccio Gucci, gestisce un negozio piccolo ma speciale perché, ogni pezzo, è creato con cura e su ognuno di essi è riposta la stessa attenzione che una madre riserverebbe per i propri figli.

La raffinatezza e il gusto della famiglia Gucci affondano nelle origini della stirpe stessa: i genitori di Guccio sono infatti degli artigiani. Quando questo apre la sua azienda, conosce alla perfezione cosa piace ai membri dell’alta borghesia, per cui aveva lavorato come facchino al Savoy di Londra. Circondato dal lusso, rende questo la sua stessa vita, sviluppando delle creazioni che lo renderanno capo di un impero.

Il 19enne Guccio, in cerca di fortuna, rimane incantato dall’eccellente fattura delle borse da viaggio, e diventano il suo principale interesse. I modelli che propone vantano prezzi poco abbordabili, ma di ciò Gucci non si fa un problema. Questo verrà scordato: i clienti nel futuro si ricorderanno solo della qualità del prodotto.

Ed è con l’idea di un lusso che solo in pochi possono permettersi che Gucci segna la storia.

Nel 38′ entra in società il figlio Aldo. Alla morte di Guccio, nel 53‘, seguiranno Rodolfo e Vasco. I tre, nonostante il volere del padre fosse di aprire sedi solamente in Italia, per tenere sotto controllo al meglio la qualità della filiera produttiva, aprono una boutique a New York. Un cambio di rotta decisivo, mosso dal desiderio di aumentare il bacino degli affari. L’avidità che genera il peccato capitale di cui si marchia la famiglia.

Aldo diventa il responsabile della parte amministrativa del marchio. Rodolfo, creativo e carismatico, il volto. I due bei fratelli dagli occhi cerulei fanno innamorare le signore. Durante il fascismo, quest’ultimo aveva recitato in alcuni film, conoscendo Alessandra Winkelhauser, in arte Sandra Ravel. Tra i due fu amore.

Maurizio, figlio di Rodolfo Gucci, viene al mondo nel 1948 sotto il simbolo del morso e della staffa: è già destinato a portare avanti il marchio. Si trova a capo di un tempio della moda, con testimoni quali Grace Kelly, Jacquelyn Kennedy e Audrey Hepburn.

Dal 1955 il simbolo della maison era uno stemma araldico con al suo interno un cavaliere che portava con sé una valigia e una borsa a mano. Solo nel 1992 venne cambiato con le iconiche due G.

La maison vale, nel ‘73, ben 800 miliardi di lire, e i suoi pezzi iconici si espandono a macchia d’olio prima per il continente, poi anche oltremare.

Il giovane Maurizio, come in ogni favola d’amore che si rispetta, incontrerà la futura moglie a una festa. Si trovano lì grazie a delle amicizie in comune e lei è la figlia del commendator Ferdinando Reggiani, ricco impresario lombardo. Per il giovane Gucci fu sin da subito colpo di fulmine, ma la bellissima Patrizia evita la sua corte.

A fare breccia nel cuore del giovane i suoi splendidi occhi, che le ricordano quelli della sua attrice preferita, Elizabeth Taylor.

La fanciulla nasce da una lavapiatti di nome Silvana di Vignola, in provincia di Modena, e porta un cognome non suo. Patrizia non conobbe mai il padre biologico. La mamma ebbe però la fortuna di conoscere l’imprenditor Ferdinando, un uomo ricco e gentile che decise di adottare la piccola. Si occupò della sua istruzione, dandole tutti i mezzi necessari per una buona posizione in società.

Ferdinando la assume come segretaria della sua impresa. La Reggiani cresce così abituandosi al lusso frutto di poca fatica e con il timore di poter tornare nuovamente a fare la fame, tra i topi e la polvere.

La giovane frequenta la Milano bene, girando per la galleria di San Babila con i tacchi alti e i capelli cotonati, che le incorniciano gli occhi neri come la grafite. Nel suo piccolo, spera che nessuno si renda conto del divario sociale tra lei e le sue amiche. Patrizia è nata povera e, i chili di trucco, non possono nascondere le sue origini.

Tra le donne benestanti che girano con le pellicce di visone, Patrizia è un pesce fuor d’acqua. Una misera imitazione. Le manca lo status.

Mentre le sue amiche cercano il vero amore, lei vuole un uomo bello, ma con un grande portafogli. Quando Gucci le si presenta, lui è l’uomo perfetto.

Alla fine l’amore sboccerà e diventano ufficialmente una coppia, pur con la disapprovazione del padre Rodolfo. Questo coglie sin da subito l’ambiguità di Patrizia, che può essersi avvicinata all’ingenuo Maurizio solo per il denaro. È una donna avida, interessata a mettere le mani sul patrimonio familiare. Una vera arrampicatrice sociale.

D’altro canto, i detti popolari dicono che i capelli rossi hanno la luce del fuoco, delle risate e delle malizie. Ma anche della malvagità. Gucci, in fondo, rappresenta la stabilità e il potere economico. Elementi che, agli occhi della donna, hanno la loro importanza.

Eppure, Maurizio la ama profondamente, e per lei è disposto a perdere tutto. Rodolfo lo pone davanti a una scelta: l’amore di quella sciagurata o le sue quote in azienda. Davanti al rifiuto del padre di accettare il loro fidanzamento, il figlio si trasferirà a vivere dai Reggiani, accettando di venire diseredato.

Terminati gli studi, i due si sposeranno, nel ‘72. Nessun membro della famiglia Gucci verrà alla cerimonia. Primo tra tutti Rodolfo.

I due, con le due figlie, vivono in uno splendido attico di 1800 m2, con giardino pensile e piscina, in piazza San Babila, contando anche le quattro ville a Saint Moritz, quella ad Acapulco, l’appartamento sulla Fifth Avenue che gli aveva donato Aldo, il veliero Créole” di proprietà della famiglia, costato 7 miliardi di lire, fino alla Bentley beige targata “Maizia”, acronimo nato dalla fusione dei nomi dei due e che sancisce il loro amore. Per Patrizia è un’occasione per scalare la piramide sociale, nonostante il suo carattere sia un po’ spigoloso. Non si sentirà mai accolta dai circoli della Milano bene.

La donna ha finalmente la vita che tanto desiderava e un’amica fedele al suo fianco: Giuseppina “Pina” Auriemma. Questa è una sedicente maga napoletana, attratta più dal denaro che dalle arti oscure, che riconosce lo status della Reggiani. Le due si incontrano nel 77′ alle terme di Ischia. Il suo è un nome che ritornerà nel nostro racconto.

Eppure, l’amore che Maurizio prova nei confronti dell’altra non è sufficiente e, probabilmente, non lo era mai stato. 13 anni dopo i due porranno la firma sul documento che sancisce la fine della loro storia.

Il giovane Gucci si è innamorato di un’altra donna, Paola Franchi, ex – modella. Nello stesso anno della separazione, l’84, la Reggiani viene operata di tumore al cervello. Secondo gli accordi, avrebbe dovuto percepire ogni anno 1,5 milioni di lire dall’ex – marito.

Arriviamo così a quel 27 marzo dell’85, le cui dinamiche hanno l’ambizione di voler ricordare il delitto perfetto. Forse, non sempre ciò che il popolo mormora è vero, ma Rodolfo Gucci aveva ragione: mai fidarsi di una donna dai capelli rossi. Rossi, come il sangue.

Il colpevole è nascosto “sotto la mattonella”?

La Polizia arriva subito sul luogo del delitto, riuscendo a salvare Onorato. Questo proverà ad aiutare le indagini ma, complici lo shock psicologico e fisico, ciò che ricorda è poco: l’assalitore è un uomo sulla quarantina non troppo alto. Sicuramente robusto e, il giorno dell’omicidio, indossava un giacchetto marrone. E il cappellino da baseball, un dettaglio chiave della descrizione.

Un volto sicuramente sconosciuto, non un frequentatore di quella Milano bene, e neanche degli ambienti di classe della ditta dalla doppia G.

Secondo le prime indagini, l’arma usata è un calibro 7.65, dotata di silenziatore. Una mano sicuramente esperta, quella di uomo che arriva e con sicurezza compie la sua esecuzione. Tutto porta a un omicidio premeditato. Probabilmente, su commissione.

Per capire chi però possa essere stato intenzionato a commettere questo delitto, per il commissario Filippo Ninni bisogna ripercorrere a ritroso la vita del pupillo dell’impero Gucci.

Le prime indagini si concentrano proprio sulla vita lavorativa della vittima che muoveva, creava e rappresentava un grande patrimonio monetario.

Rodolfo Gucci

Ciò che sicuramente non traspare al mondo esterno è il rapporto tra Maurizio e il padre particolarmente duro e conflittuale.

Dopo la morte prematura di Sandra Ravel, avvenuta solo sei anni dopo la nascita del figlio a causa di un tumore all’utero, Rodolfo dovette affrontare il lutto dell’amata moglie e al contempo mostrarsi una figura paterna solida.

Probabilmente, proprio per questo motivo Maurizio è una persona molto generosa, ma anche insicura e indecisa. Sin da subito obbligato a lavorare sodo per l’azienda, a fare la gavetta, per guadagnarsi il denaro. Gli viene chiesto di andare bene a scuola, di laurearsi in poco tempo – a 23 anni finisce il suo percorso di studi in Giurisprudenza alla Cattolica – e di pretendere poco dalla vita. Solo con il sudore si può ottenere ciò che si vuole. Un messaggio importante che, accompagnato dalla tanta disciplina, lascia poco spazio all’affettività.

Dopo il matrimonio, padre e figlio si riconcilieranno, mettendo via l’orgoglio. Sarà soprattutto grazie a Patrizia, che scelse di chiamare la sua prima figlia Alessandra, proprio come la defunta Ravel.

Paolo Gucci

Nel 1980, Rodolfo muore. In eredità gli lascia il controllo dell’azienda insieme ad Aldo, ma i documenti non sono firmati. Nonostante sia il giusto erede delle quote, queste non potranno diventare sue. Maurizio deve compiere una scelta: pagare la tassa di successione – non ha i soldi per farlo, significherebbe rinunciare a tutto – oppure falsificare gli atti. Ed è ciò che fa.

Maurizio, proprietario del 50% delle aliquote, diventa più ambizioso e ossessionato dal lavoro. Il suo sogno è quello di riportare Gucci in auge, distaccandosi dalla famiglia e dalle tradizioni. Mentre il mondo va avanti, Gucci rischia di rimanere bloccato alle sue radici. Memento di un passato glorioso.

Ci vogliono nuovi designer e concept, ma prima di farlo, deve assumere le redini del marchio. C’è solo un ostacolo: lo zio Aldo. Con l’aiuto della Reggiani si mette d’accordo con Paolo, suo cugino, aspirante stilista e proprietario del 3%. Ciò che gli chiedono è di votare in consiglio a favore di Maurizio.

Quest’ultimo, in cambio, gli aveva promesso che avrebbe messo la sua firma sulla nuova collezione. Riluttante accetta e così, Maurizio, forte già del 50% della proprietà, butta fuori dai suoi uffici Aldo. In più, nel 1986 questo sarà condannato a un anno di carcere negli Stati Uniti per evasione fiscale e frode bancaria. Sarà proprio per colpa di Paolo, che denuncerà i suoi problemi con il fisco.

Aldo Gucci

Maurizio non manterrà mai la promessa. Così, Paolo decide di vendicarsi, informando le autorità della firma falsificata sui documenti dell’eredità di Rodolfo. Uscito di prigione, Aldo supporterà il figlio. Il rampollo sfugge dalla polizia italiana in Svizzera, dove verrà seguito dalla moglie. Siamo proprio a cavallo tra gli anni 83′-84′: la loro favola sta giungendo alla fine.

Probabilmente grazie all’aiuto degli innumerevoli avvocati, Gucci verrà comunque assolto. Può tornare in Italia.

Maurizio ritorna proprietario del suo 50%. Le restanti aliquote sono in possesso dell’impresario arabo Nemir Kirdar, capo della Investcorp, una società che investiva sulle azioni di altri marchi promettenti per poi rivenderle a prezzi più alti. Tra i suoi anche Tiffany. Per conto di Gucci, aveva acquistato dalla Morgan Stanley le quote di Aldo e i suoi altri due figli, Roberto e Giorgio, il 47,8%. Secondo i patti, non avrebbero mai interferito sulla gestione delle restanti.

Nel 1990 Maurizio è ufficialmente presidente di Gucci, mentre gli arabi lo supportano e gli danno man forte. Ma il 50% non basta, vuole di più. Al colosso arabo chiede di acquisire un altro 10%, pari alle quote di Giorgio, Roberto e Paolo, i tre cugini. Ma la Investcorp i suoi pacchetti azionari li vende a caro prezzo.

Gucci i soldi non li ha ma, a cinque giorni di scadenza del termine, Maurizio paga. Ciò provoca stupore. A chi gli chiede chi avesse dato il denaro, Gucci risponde che durante la notte gli era apparso in sogno papà Rodolfo che gli aveva detto di guardare sotto una mattonella.

Quando gli inquirenti ricercano il possibile movente, questa diventa una faccenda da esaminare. Chi può aver dato il denaro? Potrebbe essere questa una pista? Questo mattone potrebbe essere un finanziatore occulto. Qualcuno che, in cambio del prestito, avesse fatto promettere qualcosa in cambio. Patto che Maurizio non rispettò. Da qui l’omicidio.

È sotto quel mattone che si trova nascosto il mandante? Successivamente ci si rese conto che il debito venne saldato. La pista non era possibile.

Acquisito il 60%, Maurizio ha tutte le carte in tavola per incominciare la sua tanto agognata ristrutturazione di Gucci. Ma, nel settembre del 93’, è costretto a vendere tutte le sue quote alla Investcorp. Questa ha le capacità manageriali necessarie a portare avanti ciò lui aveva cercato di incominciare anni fa.

Difatti, il colosso arabo lo aveva più volte accusato di cattiva gestione della società, arrivando a chiedere e ottenere il congelamento temporaneo della quota azionaria del socio italiano. Una vertenza che aveva accentuato le difficoltà del gruppo e allarmato i dipendenti preoccupati per il ritardo nel pagamento degli stipendi. Insieme alla Investcorp, anche il CEO di Gucci America, Domenico de Sole.

Numero civico 20 in via Palestro. ieri e oggi

Per Maurizio è una sconfitta. Nell’esercizio finanziario chiuso il 31 gennaio del 93′ il gruppo ha realizzato un fatturato di circa 225 miliardi di lire, contro i 299 miliardi dell’anno 1990-91. Il suo progetto è fallito.

Quando morirà, nel 95’, è il re caduto dell’impero Gucci che, però, non appartiene più alla famiglia Gucci.

Chi può aver ucciso Gucci?

Con i soldi incassati dalla vendita delle sue quote, Maurizio decide di voler aprire un casinò in Svizzera. Una mossa ardita, un gioco che non sapeva gestire che, forse, pagherà con la vita.

Ipotesi investigativa interessante ma, purtroppo, non portò a nessuna novità riguardo al caso.

Maurizio era un uomo fin troppo rispettabile e onesto per commettere qualche errore da essergli costato la vita. O almeno, così sembra. In fondo, quando ognuno rientra nelle proprie case, nel caldo dei propri appartamenti, è lì che rivela la sua vera natura.

Solo le figlie Alessandra e Allegra e la bella Patrizia potevano sapere qualcosa in più sui misteri dell’esistenza da favola del giovane Gucci.

Quando negli anni 80’ il suo potere inizia a vacillare a causa delle questioni legali legate ai documenti falsi, Patrizia lo accusa di incapacità manageriale, come successivamente farà la Investcorp. Sulla gestione dell’azienda i due iniziano a litigare: la Reggiani aveva fin troppo idealizzato il marito e le incomprensioni resero troppo difficile la convivenza tra i due. La donna non accetta di non poter avere posizione nella gestione del marchio, e lo manipola.

Agli occhi della Reggiani, è un uomo inutile e incapace. Se non fosse per il suo cognome sarebbe un pezzente. Maurizio non la tollera. Ha sopportato a lungo una figura che lo comandava a bacchetta, non avrebbe patito ancora.

Paola Franchi

Come già detto, nell’84’ Gucci fa le valigie e si trasferisce in un appartamento in corso Venezia, lasciando alla ex – moglie l’attico. Alla Reggiani rimane un’ottima liquidazione e una bella casa. Eppure, in seguito all’omicidio, lascia una dichiarazione che confonderà gli inquirenti: umanamente le dispiaceva ma, ma dal punto di vista personale non poteva dire la stessa cosa.

Per quale motivo? Per gelosia? Odio nei confronti dell’amante? Paola Franchi, una fine arredatrice e decoratrice di interni, diede a Maurizio la speranza che, forse, non era tutto perduto. Poteva comunque trovare l’amore. La donna non lo faceva sentire solo, ma gli dava supporto. Così, Gucci si innamorò dei suoi capelli biondi come il grano.

Forse, la presenza di quest’ultima e il tenore di vita che i due sostenevano potevano costituire un pericolo per l’indennità dell’eredità delle figlie. Ciò appare solo come una copertura . In realtà, la Reggiani non poteva permettersi di perdere il suo nome, che si era guadagnata, per una qualsiasi sciagurata di passaggio.

Lei è Lady Gucci, l’unica e la sola. Lei, che lo aveva aiutato a prendere il controllo del marchio, ora era costretta a perdere ciò per cui aveva tanto lottato.

Dopo il divorzio, il telefono di casa Gucci – Franchi viene inondato da messaggi minatori, ricchi di odio e desiderio di vendetta. In cui gli augura di finire all’Inferno. Ciò che è certo è che le parole di Patrizia Reggiani, un’ex – moglie infuriata, non possono essere ignorate. Eppure, non portano a nulla. Nulla che la leghi al caso.

Rimangono solo i sospetti e la certezza che Rodolfo avesse ragione. Dopo il funerale, il primo interesse della Reggiani è quello di riscuotere l’eredità, compreso l’appartamento in corso Venezia, dove abitava la Franchi, sfrattandola.

La Reggiani al funerale

Per due anni, l’inchiesta sull’omicidio non porta a nulla. Chi può aver ucciso Gucci?

“Dottor Filippo Ninni? Ho una storia da raccontarle”

Dottor Filippo Ninni? Ho una storia da raccontarle

L’8 gennaio 1997, il commissario della Criminalpol è seduto nel suo studio. Sta cercando di gestire le varie carte che ha sul tavolo e, nonostante siano le 22:38 della notte, il suo ruolo gli impedisce di dormire.

Sono molti i casi che gli vengono posti. Troppe le persone in cerca di giustizia.

Ivano Savioni

Quando la cornetta suona, lascia stupito Ninni, che prima di tutto si chiede con chi stia parlando. Non si tratta di un informatore professionista, ma di un uomo qualsiasi. Un certo Gabriele, che si vanta di conoscere delle novità riguardo il caso Gucci, fermo da due anni.

Se prima aveva la sua curiosità, adesso ha la sua attenzione. Ninni rizza la schiena, prende un taccuino e, calendario alla mano, fissa un appuntameno il prima possibile.

Quando i due si incontrano, Gabriele gli racconta una storia incredibile, degna di un giallo.

Da qualche mese questo viveva nascosto in un hotel, dove aveva fatto amicizia con il portiere, Ivano Savioni. Per darsi un tono davanti a questo, gli aveva raccontato di essere coinvolto nel narcotraffico mondiale e di avere l’FBI alle calcagna.

Ivano, allora, forse per non sentirsi da meno, confessa di aver preso parte all’omicidio di Maurizio Gucci.

Il colpo della mantide

Savioni potrebbe essere un mitomane. Eppure, sa troppi dettagli, a partire da come si sono svolti gli eventi per filo e per segno il giorno del delitto. Racconta particolari che non erano stati divulgati nemmeno dalla stampa. Tra questi, anche le caratteristiche dell’arma usata.

Solo gli inquirenti potevano sapere si trattasse di una semi automatica dotata di un silenziatore artigianale. Oltre a questi, il killer.

La Criminalpol chiede a Gabriele di incontrarsi nuovamente con il portiere, ma questa volta gli dicono di indossare dei microfoni. Savioni racconta nuovamente tutto. Scende ancor di più nei dettagli: dice di aver solo organizzato l’operazione, ma non è stato lui a sparare a Gucci, ci sono due complici di cui fa nomi e cognomi. Mentre raconta, si pavoneggia. Fiero del piano che era riuscito a mettere in piedi e, di come in due anni, non siano ancora riusciti a prenderlo.

I nomi sono quelli di Benedetto Ceraulo, costruttore siciliano, e Orazio Cicala, ristoratore di Arcore. Il primo è il famoso uomo dal berretto da baseball, l’altro è l’autista che lo aspettava fuori, in via Palestro, a bordo della Clio verde.

Ivano, Benedetto e Orazio

Ma c’è dell’altro: secondo quanto racconta Savioni, il committente dell’omicidio si stava rifiutando di pagare. Quando si apre il vocabolario e si cerca il termine “sicario”, quello che si può leggere è:

Chi uccide, chi commette assassinio su commissione, per conto cioè di un mandante

Colui che aveva richiesto la morte di Gucci è ancora a piede libero.

Pina e Patrizia

Filippo Ninni fa mettere sotto controllo i telefoni dei sospettati e, così, salta fuori un nome: quello di Pina, la famosa maga napoletana. L’amica di Patrizia Reggiani, vicina anche a Maurizio, che le aveva concesso di gestire a Napoli due punti vendita della maison. Questi fallirono in poco tempo, facendola uscire dalle grazie del rampollo. Ecco il possibile movente: la vendetta.

Ma Pina è piena di debiti, da chi può aver ottenuto i soldi? Salta subito un secondo nome, quello della Reggiani.

Dopo il divorzio, il loro rapporto va avanti e si fa sempre più stretto. Pina sfrutta il fascino che la sua personalità suscita su Patrizia, una donna debole e facilmente influenzabile. Ma perchè prestare dei soldi per uccidere Gucci? Ninni decide di mettere su una trappola: l’operazione Carlos.

Viene chiesto a Gabriele di dire a Savioni di aver trovato un sicario, di nome Carlos, disposto a spaventare la persona che gli deve dei soldi. Sotto copertura viene quindi inviato un ispettore colombiano della questura, che conosce molto bene la lingua. Questo, insieme a Ivano, si dirigono verso i mandanti del delitto Gucci. I due entrano quindi in un auto che, per l’occasione, è piena di microspie.

Vanno a prendere Pina in stazione e, appena questa entra in auto, confessa il nome del mandante: Lady Gucci. In un solo colpo, Ninni ha individuato tutte le persone coinvolte. Il 31 gennaio 1997, alle 4.30 del mattino, le volanti della Polizia sfrecciano nel buio, dritte verso le case dei sospettati.

Durante gli interrogatori, Savioni è il primo a crollare.

Come racconta, Patrizia era ossessionata dal timore di poter perdere il suo status, e si sfoga con tutti di quanto la spaventi la possibilità che Maurizio e Paola si sposino. Lei lo vuole morto. A molti chiede aiuto: alla sua domestica, al marito di questa e persino all’avvocato. La Reggiani vuole trovare qualcuno disposto a ucciderlo. Tutti pensino che scherzi, tranne una sola persona.

Parliamo di Pina, che dice di avere la soluzione: prepara un incontro delle due con Savioni, che contatta i killer. In realtà sperano di truffarla: i due vogliono farsi dare i soldi e poi sparire, senza compiere l’omicidio.

I sicari chiedono 600 milioni, di cui la Reggiani anticipa 150, che Pina, Savioni, Ceraulo e Cicala spendono immediatamente. Gli altri, come Patrizia ripete, verranno dati solo a omicidio compiuto. Ecco che quindi, i quattro, si trovano costretti a commettere il delitto.

La Reggiani tratta l’operazione come se fosse un’impresa commerciale qualsiasi, gli altri, come dei pezzenti in disperata cerca di denaro.

Lady Gucci racconterà agli inquirenti di non aver mai commissionato il delitto. Ammette di esserne venuta a conoscenza solo a fatto compiuto. Pina Auriemma e gli altri hanno fatto tutto di testa loro, per poi ricattarla.

Nel 1998 si apre il processo. Tutti gli occhi sono ovviamente incentrati su Patrizia e, i tabulati telefonici e bancari confermano quanto confessato da Savioni.

L’accusa la dipinge come una spietata mantide, pronta a colpire il compagno, quando è più indifeso. La difesa sfrutta il tumore al cervello di cui è malata, che l’avrebbe resa manipolabile da Pina. Il giudice condanna, il 3 novembre 1998, Benedetto Ceraulo all’ergastolo, Orazio Cicala a 29 anni, Ivano Savioni a 26 anni, Pina a 25 anni. Lady Gucci a 29 anni di reclusione.

Sarà la Corte d’Assise ad emettere il verdetto finale. Il 17 marzo del 2000 le condanne saranno accorciate: l’ergastolo di Ceraulo sarà commutato a 28 anni. La pena di Savioni e Cicala a 26 e 20 anni. quella di Pina a 19 anni e 6 mesi. Per la regina dalla doppia G solo 26 anni. La Corte di Cassazione approverà la sentenza.

La Reggiani, nel 2000 tenterà il suicidio in carcere. Nonostante i primi anni di sconforto, come racconterà poi in un’intervista a Discovery Plus, al San Vittore è stata trattata con riguardo. Per lei, dal mondo esterno arrivano medici ed estetiste. Anche dietro le sbarre è trattata con lusso e le viene data persino la possibilità di tenere un animale: un furetto.

La Reggiani su Discovery Plus

Durante l’ora d’aria, esce indossando la sua pelliccia e si stende al Sole.

Paola Franchi, nel suo libro “L’amore spezzato”, parla dei suoi sentimenti per Maurizio, e della loro storia d’amore, interrotta sul nascere dalla furia omicida della Reggiani. Mesi, passati con il terrore delle telefonate e delle lettere minatorie della donna. il suo era un delitto annunciato.

Nei nastri che mandava per posta, diceva che lo voleva morto. Paola l’aveva supplicato di iniziare a girare con le guardie del corpo, ma così non fece. A Maurizio piaceva vedere il buono nelle persone, persino in quella mantide della Reggiani.

Dal 2014 quest’ultima è libera, e lascia il “Victor Residence” – così chiamava il San Vittore – per compiere due anni di lavori socialmente utili, che non le si addicono. Al giudice, che le aveva proposto di uscire prima dal carcere in cambio di qualche anno in più di faccende, risponde di no. Che Lady Gucci non fa niente per gli altri.

Oggi, passa le giornate nella casa ereditata dalla madre, a osservare da lontano il mondo sfarzoso della moda, senza potervi più mettere piede. Sogna di tornare a lavorare proprio per la Milano bene. A tutti continuerà a ripetere che il suo grande errore è stato quello di fidarsi di un gruppo di persone con capacità pari a quelle della scalcinata Banda Bassotti, quella di Paperopoli.

Oggi Gucci vanta un fatturato di 9 miliardi 730 milioni di euro. Tom Ford, designer texano scelto dal rampollo Gucci, riesce a far tornare in auge il marchio, dando vita alla sua personale corrente stilistica: quella del Porno Chic. Questo con l’aiuto di Dawn Mello. Nel 1999 la Investcorp vende le sue azioni a LVMH, LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton SE, che se le contende con Francois Pinault. Oggi è parte della scuderia di Kering.

Il signor Onorato muore per colpa di un infarto nel novembre 2020. Passeranno 25 anni prima che gli venga dato il giusto indennizzo per i danni subiti dalla vicenda.

Termina così il nostro racconto. Quello di un nome: Maurizio Gucci, così musicale. Una persona la cui vita sensazionale venne stroncata troppo presto. La cui esistenza era così piena da riempire le pagine di giornale.

Un nome tanto importante, segnato però da un peccato originale, che lo porterà alla precipitosa rovina.

La storia di una donna che arriva a compiere il gesto estremo per non perdere lo status di regina dalla doppia G per colpa di un’altra. Che viene divorata dall’invidia, di non poter vivere più in quel mondo che tanto aveva desiderato e in cui era rimasta intrappolata. Quella di Patrizia Reggiani, un’istrionica narcisista segnata dalla grande incapacità di sopportare il rifiuto.

Una storia di rancore, gelosia, invidia e odio. Si conclude con un dubbio, che tartassa le nostre coscienze: è etico che, la mente di un tale gesto, sia punita meno, del braccio? Forse, non lo sapremo mai.

Scritto da Gaia Vetrano


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