Ecco come è affogato in mare il sogno dell’Isola delle Rose

di Giorgia Lelii
5 Min.

San Martino e il Vaticano non sarebbero stati gli unici Stati indipendenti italiani, se l’isola delle Rose non fosse stata distrutta. Essa nasce dall’idea di un singolo uomo, l’ingegnere bolognese Giorgio Rosa, che voleva realizzare un sogno e fuggire dalla burocrazia italiana. L’isola delle Rose non era nient’altro che una piattaforma, una micro-nazione dichiarata come Repubblica.

La mia storia dimostra che un uomo normale non può farsi un’isola.

Giorgio Rosa

La storia ebbe inizio nel 1960, anno in cui Rosa decise che avrebbe fondato una nazione slegato dall’Italia e autonoma fiscalmente. Questa si sarebbe trovata a largo delle coste romagnole nel mare Adriatico su una… palafitta.

Con l’aiuto di sua moglie chiese alcuni permessi alla Capitaneria di Rimini per effettuare alcuni controlli e sperimentazioni in mare. La costruzione vera e propria iniziò nel 1964. Con molte difficoltà, a causa delle condizioni del mare e del meteo che non rendevano possibile lavorare molte ore alla settimana, nel 1967 Rosa la inaugurò al pubblico: fece costruire l’isola a largo di Rimini, a circa 12 km dalla costa e 500 metri fuori i limiti delle acque nazionali.

La piattaforma, somigliante a una grande palafitta, aveva una superficie di circa 400 metri quadrati, e Rosa fede inoltre realizzare un secondo piano, al fine di estenderne la grandezza. La faccenda attirò non poca attenzione, sia da parte delle autorità che dallo Stato italiano stesso. Nessuno aveva ben chiare le intenzioni dell’ingegnere: in un’epoca di rivoluzione socialista, l’isola delle Rose non dava di certo buona impressione. C’era chi pensava che i russi ci avrebbero piazzato sopra dei missili, altri che fosse un punto di vendita di carburante senza accise, altri ancora una specie di punto clandestino di prostituzione e spettacoli “espliciti”.

Furono in migliaia i curiosi che vennero in visita, e ciò permise a Rosa di poter inanziare l’intera isola attraverso i ristoranti e i negozi di souvenir che gestiva nella piattaforma.

Bandiera dell’isola delle Rose

Il primo maggio 1968 Giorgio Rosa dichiarò l’indipendenza della sua isola artificiale. La chiamò “Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose“, la dotò di una propria lingua, ovvero l’esperanto, e si nominò presidente di essa. L’inno ufficiale dell’isola era un pezzo ripreso da “L’olandese volante” di Richard Wagner, la valuta era il Mill (mai prodotta) e dotata di propri francobolli. Ovviamente, le autorità italiane s’adirarono ancora di più.

Nel giugno del 1968, una decina di pilotine della polizia con a bordo agenti e militari presero possesso dell’Isola delle Rose, che in quel momento era abitata solamente dal guardiano, Pietro Bernardini, e dalla sua compagna. Rosa inviò quindi un telegramma di protesta all’allora presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, senza ottenere risposta. Nelle settimane seguenti ci furono alcune interrogazioni parlamentari a riguardo e l’invio a Rosa di diverse proposte di acquisto della piattaforma.

A destra, l’ingegnere Giorgio Rosa

Alla fine, Rosa ricevette un dispaccio dalla Capitaneria di Rimini, nel quale gli si chiedeva di distruggere l’isola. Egli inizialmente rifiutò, anche per vari interessamenti politici che gli si erano presentati. Nonostante questi, il destino dell’isola era segnato. Nel novembre del 1968, tutti i beni presenti sulla palafitta furono trasportati a terra, in vista della distruzione successiva della nazione.

Nel febbraio del 1969, 2 tonnellate di esplosivo buttarono giù la piccola isola, definitivamente inabissata da una burrasca a fine mese. Nonostante lo Stato trovò la sua fine, la sua storia mai. Infatti, grazie al libro “L’isola e le rose“, scritto da Walter Veltroni, e al recente docu-film “L’incredibile storia dell’isola delle Rose” (Netflix), l’utopia di Giorgio Rosa non ha mai smesso di esistere.

Scritto da Giorgia Lelii


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