Che ora è (1989) di Ettore Scola | recensione

di Emanuele Fornito
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 7 Min.

Quanto può essere complicato il rapporto padre-figlio? Fin dove le aspettative di un genitore distratto coincidono con le volontà di un figlio insicuro ed incerto? Queste sono solo alcune delle domande poste alla base del film di cui parleremo questa domenica: Che ora è, diretto dal maestro Ettore Scola.

Trama

Michele (Massimo Troisi) riceve la visita di suo padre Raffaele (Marcello Mastroianni) durante il suo servizio di leva. I due riescono così a passare finalmente del tempo assieme, tra scontri ed avvicinamenti, incomprensioni ed affetto.

L’intricato rapporto padre-figlio

In Che ora è, Ettore Scola decide di sviscerare quello che è il legame che unisce un genitore al figlio, attraverso un crescente senso di immersione nell’abisso dell’incomunicabilità. Difatti, se all’inizio del film Michele (il figlio) e Raffaele (il padre) risultano legati da un comunissimo rapporto emotivo, con il passare dei minuti lo spettatore prende sempre più coscienza, in perfetta sintonia con i protagonisti stessi, delle sofferenze che si nascondono dietro le due figure rappresentate da Scola. Il regista sceglie, per il film, una storia sicuramente non semplice: Raffaele è un importante avvocato che ha, negli anni, trascurato la famiglia, mentre Michele è un giovane adulto insicuro e quasi spaventato da un’aspettativa di vita tanto diversa dalle aspettative del padre al punto da nasconderla quasi a sé stesso.

Il ruolo fondamentale della mancanza d’affetto in Che ora è

Come solito nelle sue magnifiche sceneggiature, anche in questo caso Scola riesce a caratterizzare i propri personaggi di una forte e profonda componente psicologica, la quale spesso “esiste” anche al di là di quanto rappresentato esplicitamente nel film. In Che ora è, nell’osservare le interazioni tra Michele e Raffaele risulta quasi subito chiaro quanto la mancanza d’affetto e la distrazione genitoriale durante la crescita abbia “condannato” il giovane ad una vita fatta di insoddisfazioni, in un costante senso di non essere abbastanza o essere fuori luogo. Dall’altro lato, invece, vi è un padre che, probabilmente malato, cerca solo in età avanzata di recuperare il proprio legame con un figlio che ha trovato, a Civitavecchia, una nuova vita.

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Aspettative e volontà

Oltre ad un affetto mai ricevuto, ciò che sostiene l’intera narrazione è proprio la diversità dei due personaggi per quanto riguarda il futuro: Michele, laureato in Lettere, trova conforto e felicità nella semplicità, nei dettagli emotivi che la vita gli offre, come prendersi cura di un vecchio bar sul porto, in cui egli riesce a sentirsi davvero a casa; Raffaele, come si è già detto, è invece abituato ad una vita professionale, fatta di lavoro, soldi e tradimenti, tipica della classe alta di quel periodo, e vorrebbe lo stesso per suo figlio. Lampante è, a questo proposito, il ruolo che il regista attribuisce ad un vecchio orologio, che scatena in Michele felicità e un’onda di ricordi e nostalgie d’infanzia, provocando lo stupore di suo padre, il quale aveva invano cercato di rendere felice il figlio con auto o appartamenti costosi.

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Tra incomprensione ed incomunicabilità

Da ciò è possibile comprendere di quanto la poca comunicazione sia sfociata in incomunicabilità, creando un clima in cui il padre cerca continuamente di plasmare il futuro di Michele, con quest’ultimo che non trova il coraggio di esprimere la volontà di qualcosa di diverso : quella di Michele diventa quindi una sorta di fuga, anche da sé stesso. In realtà, Ettore Scola ci dimostra però che la propria interiorità, per quanto non chiara neanche a sé, venga sempre fuori in qualche modo: Raffaele, in cuor suo, sa benissimo di non essere stato un buon genitore per il figlio, ed è per questo che legge, dietro i comportamenti di Michele, un rancore non (completamente) esistente.

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Il finale “catartico” di Che ora è

Ettore Scola decide di scrivere un finale emotivamente impattante e commovente: dopo ore di sentimenti e pensieri non espressi, i due protagonisti giungono ad uno sfogo finale, proprio quando Raffaele è in procinto di ritornare a Roma. Arriva dunque il momento dell’irrazionalità, dell’esternazione di tutto quello che si è tenuto dentro per anni e che, con la rabbia, sfocia in ostilità e allontanamento. Tutto però è momentaneo: alla fine l’affetto e l’amore prevalgono e, in un atto silenzioso di riconciliazione e ripresa degli anni ormai passati, Michele raggiunge il padre sul treno e, estraendo il vecchio orologio dalla tasca, inizia puerilmente a giocare con Raffaele rispondendo imperterrito alla domanda “Che ora è?“, ritornando per un momento alla felicità di un bambino che gioca affettuosamente con suo padre.

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Scritto da Emanuele Fornito


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