9/11: “Non dimenticherò mai quel giorno” – intervista a Joan Mastropaolo

di Emanuele Lo Giudice
12 Min.

«Non ho mai pensato potessero essere in pericolo»

Joan Mastropaolo, nipote di quattro italiani e newyorkese sin dalla nascita, ha condiviso con noi la sua storia. Joan viveva, e vive tuttora, nella lower Manhattan, proprio vicino a dove 22 anni fa si ergevano le torri gemelle. «Mi sono trasferita nel mio appartamento nel 1998, era casa mia e vivevo nell’ombra delle Twin Towers». Il famoso “9/11“, Joan, lo ricorda perfettamente.

Joan quella mattina si diresse verso il proprio ufficio, al di là del fiume Hudson, come era solita fare ogni giorno.

Quella di Joan e di suo marito Frank sembrava una vita tranquilla, vissuta ad un block (quartiere) ad ovest delle torri. «Avevamo una vita bella qui e amavo il WTC, ci si poteva fare di tutto tra shopping e prendersi un caffè. Lì facevo molte cose, qualsiasi cosa volessi». Il centro commerciale originale, aperto nel 1975, ospitava infatti quasi 80 negozi. Servì d’aiuto durante gli attacchi, in quanto le persone lo attraversarono per uscire dai complessi limitrofi ed evitare le macerie che cadevano dal cielo. 

«Dovevo prendere il treno e ho camminato tra i grattacieli fino al World Trade Center. Lì sono scesa ai binari. Ho preso il treno in orario e alle 8.15 ero già in ufficio, a Jersey City. Andai nella sala conferenze, che si affacciava su New York City … da lì potevo vedere le Twin Towers, bellissime. Quella mattina avevo una vista magnifica».

Joan si trovava nel proprio ufficio al momento dell’attacco, al quale ha assistito direttamente. 

«Ciò che non avevo realizzato è che avrei avuto un posto in prima fila per il peggior attacco sul suolo americano della storia».

Che cosa stava facendo al momento degli attacchi? 

Ero con i miei colleghi nella sala conferenze, stavamo per iniziare la giornata di lavoro. Alle 8.46 ho sentito un rumore fortissimo e, alzando gli occhi, ho visto passare un aereo di linea. L’aereo stava volando proprio in direzione della Torre Nord (One WTC). Veniva da nord e volava molto basso e ad alta velocità, non gli ho tolto gli occhi di dosso. Poi si è schiantato nella torre. Ricordo il grosso squarcio dal quale usciva il fumo nero e ricordo solo la paura che io e i miei colleghi sentimmo in quel momento. C’era paura e confusione su ciò che avevamo appena visto, eravamo completamente terrificati. 

Il mio primo pensiero fu mio marito, che era a casa, vicino alle Torri Gemelle. Lo chiamai ma non aveva capito cosa fosse successo, non aveva sentito nulla, così gli spiegai. “Credo che siamo stati attaccati” gli dissi. Non avevo altre informazioni, certo, ma semplicemente guardando le Torri si capiva che era difficile che quello potesse essere un incidente, se sei un pilota non puoi non vedere le Torri, le più alte di tutta l’isola di Manhattan. Pochi minuti dopo, alle 9.03, le mie preoccupazioni ebbero una conferma. Lo United Airlines 175 passò sul nostro ufficio dirigendosi verso la Statua della libertà, dove virò verso la Torre sud (Two WTC), colpendola. In quel momento sapevamo con certezza che quello fosse un attacco.

Mio marito doveva uscire di casa e, quando lo richiamai, anche lui era ormai consapevole di quello che stesse accadendo. Mi disse che qualsiasi cosa tremò quando venne colpita la Torre Sud, come se ci fosse stato un terremoto. Gli dissi di andare via, ovunque volesse, ma lontano da quel posto. Quando lui scese in strada, la Torre Sud collassò. Se fosse rimasto dentro si sarebbe potuto ferire gravemente, forse anche rimanere ucciso. Qualche giorno dopo infatti, tornati nel nostro appartamento, lo abbiamo trovato distrutto, con le finestre rotte e pieno di pezzi di vetro e polvere. Sono grata ogni giorno che lui sia uscito in tempo e che sia ancora con me, altrimenti la mia storia avrebbe avuto un risvolto diverso da come invece è stato.

Ricordo che qualsiasi cosa dentro casa era coperta di polvere e fogli. Ne presi in mano uno e questo riportava la dicitura “Cantor Fitzgerald”. Cantor Fitzgerald operava tra i piani 101 e 105 della Torre Nord, quel giorno perse 658 dipendenti, fu l’azienda che ne perse di più. Riposai il foglio per terra, non lo volevo.

Vorremmo avere la possibilità di capire meglio come questo evento ha impattato sulla sua vita, su quella dei suoi colleghi e dell’intera America

Dopo l’11 settembre ho ricevuto tanto aiuto e supporto, sia dalle agenzie governative che dalla Croce Rossa Americana. Sono stati fantastici, così come la mia famiglia e i miei amici, oltre che i miei colleghi. La mia amica Andy per esempio, lei mi disse che sarei andata a casa con lei e che avremmo trovato insieme mio marito. Ci ha accolto entrambi perché non potevamo tornare nel nostro appartamento … non ci tornammo per sei mesi. Andy fu la mia prima esperienza con quello che chiamo “spirito umano”, ossia persone che aiutano persone. In quel momento decisi di fare un patto con me stessa, qualsiasi aiuto che avrei ricevuto dopo l’11/09 lo avrei restituito. Così feci, anni dopo, diventando volontaria al 9-11 Tribute Museum a New York. 

Le persone vennero ad aiutarci, ne arrivarono 500mila a NYC nel “9/12”, ossia quello che io considero il “dopo”. Ecco, quella forza e quella bellezza dello spirito umano si sono rivelate più forti di ogni terrorista, di chiunque potesse venire e farci del male. Non c’è modo di sentirsi meglio nella vita che aiutare le altre persone nel momento del bisogno, per questo incoraggio sempre i più giovani a costruire un mondo migliore. Loro hanno una lunga strada davanti, un’intera vita per fare di meglio.

Non posso dimenticare quel giorno, mai lo farò. Al contrario, racconterò sempre la mia storia, anche se mi piace parlare di ciò che è accaduto dopo.

Ricordare è una parte importante del processo di ripresa, c’è sempre uno stress post-traumatico dopo certi eventi. La nostra possibilità di parlarne, però, ha fatto si che nel tempo superassimo quel momento. Non so però se riuscirò mai a superarlo completamente. 

Cosa fece nel momento in cui ci furono gli attacchi, dopo aver chiamato suo marito?

Le decisioni da prendere erano diverse, non sapevo se rimanere nel mio ufficio o seguire Andy che stava andando via. Il nostro ufficio venne poi evacuato e dovemmo andarcene, ogni cosa venne chiusa, così come i ponti e i tunnel. Decisi di andare con Andy, fu il giorno più lungo della mia vita. Mio marito riuscii a vederlo solo dopo sette ore, in un posto diverso a Jersey City.

Nel “dopo” le decisioni si fecero più complicate, soprattutto nei riguardi della nostra abitazione, ormai invivibile. La decisione più grande fu se tornare a vivere lì o meno, ma non fu una decisione difficile. Era casa nostra e non volevamo lasciarla, non avrei mai permesso ad un terrorista di dirmi dove vivere. Io e mio marito volemmo tornare per supportare gli altri, sebbene tante attività avessero ormai chiuso. Tornammo nel febbraio 2002, sei mesi dopo gli attacchi, e tuttora viviamo qui. Di questo ne vado fiera.

Come è stato venire a conoscenza di altri attacchi al di fuori di New York quella mattina? 

Tutto è successo in un lasso di tempo non più lungo di 100 minuti, dal WTC all’aereo caduto a Shanksville in Pennsylvania. Tutto accadde insieme e avevamo la radio e la televisione nell’ufficio, sapevamo cosa stesse succedendo. Quando venne colpito il Pentagono fu una notizia terribile, perché non avevano colpito solo la nostra economia, ma anche il simbolo della nostra difesa. Il WTC era il centro della globalizzazione, del processo, e venne attaccato per questo. Se lo United Airlines 93 non fosse caduto in Pennsylvania, non so su cosa si sarebbe schiantato, se sulla Casa Bianca o sul Campidoglio a Washington D.C. Tutto quello che stavamo vivendo era spaventoso, successe tutto molto velocemente. 

Ci sono report anche su un quinto aereo che era in procinto di decollare, ci sono delle indagini in corso. Se i cieli non fossero stati chiusi, altri aerei sarebbero decollati e forse altri attacchi sarebbero avvenuti. In cuore mio mi sono convinta che se avessimo preso determinate decisioni avremmo prevenuto altri attacchi. Quello mi tranquillizzò.

Non voglio dimenticare, tutto questo è qualcosa che è accaduto nella mia vita. Non voglio assolutamente dimenticarlo, anche se in questo momento dell’anno riviverlo è sempre difficile.

Ha un messaggio che vorrebbe lasciare ai più giovani? A persone che non hanno vissuto un’esperienza del genere?

Mi piacerebbe dirgli di focalizzarsi sulle cose positive, di fare nella vita ciò che possa aiutare gli altri perché, facendo così, se tutti facessimo qualcosa di buono e di condiviso, il mondo sarebbe migliore. Non è difficile, anche che siano piccole cose. Non lasciate che la cattiveria possa guidarvi lontano dal fare cose che amate. Continuate anche a viaggiare, vivete dove volete e non permettete alla paura di trattenervi dal vivere e dall’essere chi siete.

L’unica cosa a cui pensavo era come tornare alla mia vita … come si fa a ricominciare da capo?

Intervista a cura di: Gloria Pessina, Emanuele Lo Giudice, Fabio Virzì, Radu Dudnic

Scritto da Emanuele Lo Giudice


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