La crisi missilistica di Cuba, quando il mondo rischiò un conflitto mondiale

di Emanuele Lo Giudice
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 10 Min.

Negli ultimi mesi e specialmente nelle ultime settimane si parla spesso di conflitto mondiale, soprattutto riguardo l’andamento degli eventi russo-ucraini. Ma è la prima volta che il mondo rischia una terza guerra mondiale? Non proprio!

Non poche volte la comunità internazionale si è trovata sull’orlo di un conflitto nucleare, se si tengono a mente gli anni della guerra fredda e gli attori che vi hanno preso parte. Nei diversi avvenimenti storici della seconda metà del novecento, un esempio importante è quello che coinvolse l’isola di Cuba nel 1962. Kennedy era il Presidente degli Stati Uniti, Kruscev il segretario del Partito Comunista sovietico e Fidel Castro aveva da poco rovesciato il regime dittatoriale cubano di Fulgencio Batista; per 13 giorni il mondo rimase con il fiato sospeso.

URSS e USA, crisi a Cuba
Kruscev e Kennedy

La crisi di ottobre o crisi dei Caraibi fu uno dei momenti di più alta tensione tra i due blocchi formatisi a seguito della seconda guerra mondiale. Il blocco occidentale, le cui redini erano tenute dagli Stati Uniti e dall’Alleanza del Patto Atlantico del 1949 (NATO), si contrapponeva all’Unione Sovietica e agli Stati parte del Patto di Varsavia del 1955 (in risposta alla NATO). La guerra fredda vide la contrapposizione dei due blocchi, la quale nacque al finire degli anni ’40 e perdurò fino al 1991, caratterizzata da momenti di tensione e di distensione fino alla giornata del 9 novembre 1989, quando la caduta del muro di Berlino mise metaforicamente fine al conflitto e fece da precursore allo sfaldamento dell’URSS. La guerra di Corea e la crisi di Suez furono i momenti più critici della guerra fredda, così come la crisi di Cuba, che quasi portò la a divenire ”guerra combattuta”.

Gli Stati Uniti e l’America Latina, cosa portò Cuba a distaccarsi?

Sin dai primi decenni del 1800 la politica estera statunitense perseguì una politica di “protezionismo” nei confronti dei territori presenti sul continente americano, i quali risultavano geograficamente fondamentali per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. La Dottrina Monroe del 1823 pose le basi della supremazia statunitense nel continente americano e, nei decenni successivi, la US foreign policy assunse posizioni sempre più dure riguardo il proprio terreno di gioco. Le repubbliche sudamericane vivevano sotto l’influenza di Washington, che aveva interessi economici e politici nei territori latinoamericani, cosa che le portò a rientrare nel blocco occidentale. Cuba, isola caraibica distante 140 km dalle coste statunitensi, nel 1959 aveva visto il nascere del regime castrista a seguito della rivoluzione cubana, che mise fine alla dittatura di Fulgencio Batista e che aspirava alla creazione di una società sostanzialmente egualitaria secondo la dottrina marxista.

Fidel Castro a Cuba
Fidel Castro

Fidel Castro, capo del movimento rivoluzionario, rovesciò Batista e proseguì una politica di progressivo allontanamento dagli Stati Uniti. Già dal 1903 la Casa Bianca si era assicurata il diritto di agire militarmente sull’isola ogni qualvolta lo avesse ritenuto necessario; l’Emendamento Platt rientrava tra gli strumenti d’azione della politica estera statunitense e, nonostante il suo ritiro nel 1934, Washington non abbandonò l’idea di tutela nei confronti dell’isola. La nazionalizzazione e le politiche agrarie avviate da Castro lesero gli interessi statunitensi, i quali gravavano sull’economia cubana e ampliavano il disagio sociale sul territorio nazionale. Fu la possibilità di una reazione statunitense a spingere Cuba verso l’Unione Sovietica, le quali dottrine portarono Castro a identificare come ”socialista” la rivoluzione perseguita contro Batista. Gli Stati Uniti procedettero indirettamente ad attaccare Cuba nel tentativo di porre fine al regime castrista e lo fecero armando gli esuli cubani fuggiti durante la rivoluzione. Il colpo di stato fu fallimentare e la spedizione nella Baia dei porci generò ancora più rifiuto nei confronti di Washington, cosa che portò i legami tra L’Avana e Mosca ad intensificarsi particolarmente.

L’idea di Kruscev e la crisi missilistica a Cuba.

All’Unione Sovietica un alleato presente fisicamente nell’emisfero occidentale poteva solo che giovare anzi, Kruscev credeva potesse essere un modo per arrivare ad ottenere vantaggi nei negoziati con gli Stati Uniti. La presenza di missili balistici americani in Italia e in Turchia portarono Kruscev ad accettare la richiesta cubana riguardo il dispiegamento di missili a medio raggio per scoraggiare un’altro tentativo di invasione da parte di Washington.

Cuba

Altra causa era il missile gap che esisteva tra i due blocchi, dove gli Stati uniti primeggiavano per quantità. Nel maggio del 1962 Kruscev concordò con Castro nonostante la consapevolezza di una reazione statunitense, la quale non si fece attendere. Il 9 Settembre i primi missili arrivarono a Cuba, dove vennero trasferite anche 140 testate nucleari, di cui 90 tattiche. Gli Stati Uniti scoprirono le rampe missilistiche in Ottobre, le quali erano in costruzione, tramite ricognizione di un aereo spia. Il diritto internazionale non permise a Washington di protestare, considerando l’accordo stipulato tra due paesi sovrani, ma l’amministrazione Kennedy decise comunque di intervenire. All’idea delle forze armate di bombardare le rampe in costruzione si oppose il moderatismo dell’amministrazione Kennedy, che optò per il blocco navale, considerandolo più opportuno. Un attacco aereo avrebbe infatti portato alla reazione militare dell’URSS, cosa che si voleva evitare.

Il blocco navale e la tensione internazionale.

Kennedy

In un messaggio alla Nazione, il 22 Ottobre Kennedy avvisò il popolo americano del blocco navale, il quale prevedeva l’accerchiamento di Cuba con navi da guerra e l’ispezione delle navi che dovevano raggiungere le coste dell’isola. Rimaneva il problema delle testate già presenti sul territorio cubano, ma anche la possibilità di contrasti con le navi russe che avrebbe potuto rifiutare qualsiasi ispezione. La comunità internazionale si trovò di fronte una situazione di profonda delicatezza, la quale frattura avrebbe trascinato entrambi i blocchi in un conflitto nucleare globale. L’apice della tensione arrivò il 27 Ottobre, quando un aereo spia statunitense venne abbattuto e un altro venne trovato nello spazio aereo sovietico. Mosca aveva già proceduto a mandare a Washington le proprie condizioni (due messaggi), nonostante queste fossero contrastanti: l’URSS avrebbe rimosso le proprie testate, ma richiedeva (nella prima) che gli Stati Uniti garantissero il proprio impegno a non invadere più Cuba e (nella seconda) che invece gli Stati Uniti rimuovessero i propri missili dall’Europa. Il Cremlino era diviso sulla linea politica da seguire, così come era la Casa Bianca.

La distensione e l’accordo tra Mosca e Washington.

Si trovò alla fine un accordo che convinse entrambe le parti: alla rimozione dei missili da Cuba sarebbe corrisposto l’impegno statunitense a non attaccare l’isola e a evitare che anche parti terze lo facessero, oltre che la rimozione dei missili americani dall’Europa, a patto che questo non venisse considerato pubblicamente come conseguenza della crisi. La segretezza riguardo l’ultima condizione serviva agli Stati Uniti per non perdere la fiducia degli Stati alleati, i quali avrebbero mal visto la rimozione per interessi nazionali. Il lavoro diplomatico fu grande e di ampia importanza e portò l’URSS a comunicare il ritiro dei missili il 28 Ottobre. Il conflitto era ormai eliminato dalle ipotesi. La delusione degli interventisti americani e sovietici non mancò, i primi consideravano ingiusta la rimozione dei missili in Europa e la mancata rimozione di Castro, i secondi tacciavano di debolezza l’amministrazione sovietica.

John F. Kennedy

US Foreign Policy: la politica estera americana cambiò?

Kennedy aveva perso Cuba, fuori ormai dall’egemonia statunitense, cosa che destò un duro colpo agli interessi americani. La guerra fredda proseguì per altri 30 anni e il contrasto ideologico si fece sentire e si acuì molte altre volte. Gli Stati Uniti continuarono a perseguire la loro politica di controllo nei confronti delle Repubbliche sudamericane, ricorrendo non poche volte al rovesciamento governativo e all’instaurazione di regimi militari per mantenere l’equilibrio nell’area latina. Nei piani della politica estera di Washington rientrò infatti il Plan Condor, nato sotto accordi dell’amministrazione Nixon, che portò all’instaurazione di regimi militari in diversi paesi del sud America, come Cile, Argentina e Bolivia. L’influenza sovietica continuava ad essere dunque respinta, ma mai si arrivò alla tensione creata negli anni ’60 dalla crisi missilistica cubana.

Scritto da Emanuele Lo Giudice


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