Come funzionano i fuochi d’artificio?

di Gaia Vetrano
11 Min.

Il 2023 è appena iniziato e sicuramente il cielo di ogni città la notte di Capodanno sarà stato illuminato da splendidi giochi di luce e colori. Stiamo parlando dei fuochi d’artificio, che insieme sono in grado di coniugare fisica e chimica

Gli spettacoli pirotecnici –  dalla parola greca “pyros“, cioè fuoco – provocano stupore grazie a una reazione chimica che dà luogo a un’esplosione in grado di produrre quattro “effetti primari” che coinvolgono la luce, il rumore, il fumo e talvolta materiale solido in combustione che cade lentamente sotto forma di striscioline o coriandoli. 

Il loro uso può di conseguenza essere pericoloso. Proprio per questo motivo la notte di Capodanno ha un bollino rosso per tutti gli ospedali, che ogni anno sono raggiunti da coloro che rimangono feriti dai botti. 

Vi siete mai chiesti però come funzionino? 

La storia dei fuochi d’artificio: 

L’arte della pirotecnica nasce nel VII secolo in Cina. Come ogni disciplina vi sono delle teorie che ne descrivono la diffusione. 

La storia dei fuochi d’artificio è però silenziosa. Solo gli estimatori la conoscono e la tramandano. Così come i suoi segreti, che rimangono conservati con riserbo dai vari produttori e artigiani. 

Dopo la scoperta nell’800 della polvere da sparo, chiamata ai tempi anche polvere pirica, i monaci cinesi iniziarono a utilizzarla per produrre razzi. Inizialmente tale sostanza era impiegata solamente nell’ambito bellico nelle catapulte. Le prime cronache riportano l’uso di questi missili durante gli anni della dinastia Sung (960-1279), altre tramandano che vennero usati per la prima volta per proteggersi dall’invasione dei Mongoli

Le tecniche usate per realizzare queste armi si diffusero prima in Arabia nel VII secolo e poi nel 1241, in seguito all’invasione dell’Ungheria del popolo mongolo sotto Ogödei, si diffuse per la prima volta il commercio in Europa della polvere da sparo. Questa prese il nome di “neve” o “sale” cinese e nel 1245 il filosofo e alchimista inglese Francesco Bacone ne descrisse la formula chimica sotto forma di anagramma nel suo trattato “De secretis operibus artis et naturae, et de nullitate magiae”. 

Il passo riportato in latino recita:

Sed tamen salis petrae LURU VOPO VIR CAN UTRI et sulphuris; et sic facies tonitrum et coruscationem si scias artificium.

Anagrammando le parole riportate in maiuscolo si ottiene “R. VII PART V NOV. CORUL. V” cioè l’abbreviazione di “R(ecipe) VII PART(es) V NOV(ellae) CORUL(i) V”. 

Ossia: “Ma tuttavia prendi sette parti di salpetra, cinque parti di nocciolo giovane, cinque parti di zolfo; e così, se unisci l’arteficio, farai fuoco e lampo.”

Tutt’oggi usiamo la stessa composizione: il 75% è costituito da un ossidante, cioè il nitrato di potassio, noto come salnitro, il 13% da carbone di legna polverizzato e 12% da un combustile, lo zolfo

Le prime fonti riportano l’uso della polvere da sparo per scopi di intrattenimento nel Basso Medioevo (XIII-XV secolo). Solitamente era impiegata durante le Rappresentazioni Sacre per raffigurare i luoghi infernali delle descrizioni. Per esempio nel 1379 a Vicenza, in occasione dell’Ascensione, venne messo in scena il volo della colomba: un fuoco dalla Torre vescovile veniva attivato e volava verso l’effige di Maria e degli apostoli. Questo per celebrare la riconciliazione tra Scaligeri e Visconti. 

Nonostante questo rimase l’arte pirotecnica poco diffusa per scopi ludici essendo la polvere impiegata principalmente nel contesto militare. Le prime fabbriche di fuochi pirotecnici sorsero in Germania tra il 1340 e il 1348 ad Augsburg, Spandau e a Liegnits

Incisione colorata Royal Fireworks Music sul Tamigi il 15 maggio 1749

Ma si trova in Italia una delle scuole principali: parliamo dei Ruggeri a Bologna. Questa era nota per la spettacolarità dei fuochi, che prendevano colore in base alla luce che veniva su di essi proiettata. La seconda è la “scuola di Norimberga” dei Clamer, nota per la omonima tecnica di sparo aerea che insegnavano. 

Nel 1785 Claude Louis Berthollet scoprì che, aggiungendo clorato di potassio, fosse possibile dare un colore ai fuochi. Nacque così la pirotecnica moderna. 

L’ultima grande scoperta fu quella della dinamite: nel 1870, grazie ad Alfred Nobel, questa soppiantò l’uso della polvere da sparo normale nell’industria bellica. La polvere pirica rimase così usata solamente per la produzione di fuochi d’artificio. 

Tipi di fuochi: 

Distinguiamo:

  • esplosivi di lancio, costituiti dalla stessa polvere da sparo usata nei razzi, negli inneschi, nelle micce e nelle spolette;
  • esplosivi “fulminanti”, ossia tutti i fuochi che producono scoppi violenti accompagnati da lampi di luce;
  • esplosivi di “spaccata”, cioè i fuochi che dopo lo sparo si spaccano generando una rosa di colori.

Il colore dipende dagli elementi chimici aggiunti alla miscela. Oltre al cloruro di potassio possiamo inserire composti dello stronzio per ottenere il rosso, del bario per il verde, dello stronzio combinato al rame per ottenere il viola, e il cloruro di rame per ottenere il blu. 

In base a dove sono usati i fuochi sono distinti in “da terra”, “aerei” o “d’acqua”. Solitamente si utilizzano in coppia botti potenti ad altri meno intensi. 

I materiali usati per la produzione dei fuochi sono divisi in sei categorie diverse: 

  • avvolgenti: sono impiegati per il rivestimento e confezionamento. Identifichiamo la carta, la carta blu e la carta per i passa fuoco (quando si parla di questi tre elementi si fa riferimento ai cartoni o cartocci), il cotone, lo spago o la pece.
  • combustibilidurante l’esplosione l’obiettivo è produrre gas, calore e luce. Questo è possibile grazie alla presenza di zolfo, alluminio, magnesio, antimonio, manganese e titanio. 
  • comburenti: servono a produrre durante la combustione ossigeno. Questi influenzano quindi sulla velocità del processo. In base alla granulometria di queste componenti, cioè alla loro dimensione, possiamo produrre una combustione più lenta, oppure una deflagrazione. Nel primo caso calore e gas si disperdono, nel secondo gli effetti della reazione aumentano esponenzialmente. Sono generalmente costituiti da nitrati, clorati e perclorati
  • coloranti: i materiali impiegati li abbiamo già accennati precedentemente. Parliamo di carbonato di rame, solfato di rame, solfato di stronziana, gesso, carbonato di soda, carbonato di stronzio. Oppure l’antimonio, che – specialmente sotto forma di trisolfuro – conferisce una fiamma cerulea molto brillante, l’arenadoro, in gergo “verdeazzurro”, che dona il colore azzurro, o infine la canfora, che rende il fuoco più bianco. 
  • agglutinantila loro presenza è fondamentale perché servono a far presa. Tra i più importanti si annoverano: la destrina, la gomma arabica e la creta.
  • isolanti: separano le varie componenti del botto. I più importanti sono il terreno setacciato e la segatura

Che differenza c’è con la detonazione? Nel caso in cui ve lo steste chiedendo, queste particolari reazioni avanzano molto velocemente in seno alla carica. Gli effetti sono molto più potenti della semplice deflagrazione, e sono infatti usati per spaccare, tagliare e forare, cavecampo civile) o in guerra (ambito militare).

In base alla loro forma esistono due grandi famiglie: fuochi d’artificio cilindrici e fuochi d’artificio sferici. I primi quando esplodono sono “piatti”. Creano quindi un effetto bidimensionale. I secondi sono tridimensionali. 

Il diametro massimo varia per legge. Per quando riguarda quelli cilindrici può raggiungere i 20 cm. Quelli sferici possono arrivare fino ai 40 cm

Come sono prodotti i fuochi d’artificio moderni?

Si parte da un involucro esterno di cartone molto spesso. Il suo scopo è quello di fungere da mortaio. Questo contiene al suo interno la polvere da sparo necessaria a far esplodere l’ordigno. Sono presenti nella struttura anche delle sfere, in gergo “stelle”, costituite da vari elementi chimici, che bruciano lasciando delle scie luminose e/o colorate. 

La polvere da sparo è divisa in due siti collegati tra loro da una miccia. 

Una prima carica si trova al centro del fuoco. Una seconda è posizionata nella parte inferiore. La sua esplosione consente il volo del fuoco stesso. Nell’estremità inferiore si può infatti trovare una miccia che viene accesa dal fochista. Questa genera la deflagrazione della carica, che offre al fuoco la propulsione sufficiente a spiccare il volo. Ovviamente, più polvere avrà al suo interno più volerà in alto. 

La miccia che collega le due cariche garantisce l’esplosione di quella più interna perché prende fuoco non appena la prima carica esplode. 

La deflagrazione della seconda diffonde il calore necessario ad attivare le stelle e le proietta nel cielo secondo delle geometrie prestabilite in base a dove sono posizionate all’interno dell’involucro. 

Il fenomeno fisico che permette alle stelle di prendere fuoco è detto “incandescenza”. 

Le forme più comuni sono alberi (come palme, salici) e fiori (girasoli, crisantemi ecc.). 

La magia dell’arte pirotecnica stupisce grandi e piccini ogni giorno. La prossima volta che guarderete il cielo durante una qualsiasi festività, adesso saprete cosa succede.

Scritto da Gaia Vetrano.


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