13 Novembre, il punto della settimana: cos’è successo nel mondo?

di Emanuele Lo Giudice
6 Min.

Dall’Atlantico al Pacifico, le ultime notizie della settimana che si sta per concludere. Il mondo dal 7 al 13 Novembre 2022.

COP27: in Egitto il cambiamento climatico riunisce i grandi del mondo

Ha avuto inizio Domenica scorsa, 6 Novembre, la 27° Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in Egitto. Fino al 18 Novembre Sharm-el-Sheikh ospiterà la Conferenza dove avverranno gli incontri tra i grandi del mondo e tra il pubblico e gli scienziati (una zona, chiamata “verde”, è stata stabilita con tale obiettivo). Sono stati stabiliti i paesi che risentono di più, ad oggi, del cambiamento climatico: Messico (75%), Turchia (74%), Colombia (72%), Spagna (71%) e Italia (71%). La conferenza è stata indetta con la consapevolezza che i mutamenti dei prossimi dieci anni interesseranno grande parte delle nazioni mondiali, tra i primi europei e americani. Un terzo della popolazione globale risulta inoltre convinto che sarà costretto a dover cambiare la propria posizione geografica a causa dei mutamenti globali. Tra gli obiettivi della COP27 rientra soprattutto la necessità di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C, lasciando come obiettivo fisso il tetto massimo di 1.5°C. Altro obiettivo fondamentale è l’ “adattamento“, già preso in considerazione a Glasgow nel 2021, nell’ambito della COP26. La preservazione delle comunità più vulnerabili e il rafforzamento degli impegni presi nelle Conferenze precedenti è stato ribadito come “vitale”. Altro punto fondamentale della Conferenza in atto ora è la cooperazione, utile ad evitare che i paesi più a rischio risentano pesantemente dei mutamenti in corso. Aiuti finanziari e cooperazione internazionale saranno mirati a introdurre nuove soluzioni per la salvaguardia della comunità globale. Gli Stati Uniti hanno fatto sapere della loro intenzione di raddoppiare il fondo per l’adattamento climatico, con 150 milioni di dollari destinati all’Africa.

Sudan: ad un anno dal golpe e la volontà di transizione dei manifestanti

Continua la resistenza pacifica ai cambiamenti che il Sudan ha vissuto nel 2021, quando il 25 Ottobre il generale Abdel Fattah al Buhran ha forzato la transizione democratica che il Paese stava affrontando, arrivando al potere tramite un colpo di Stato. Era stata la rivoluzione del 2018 a porre fine alla dittatura di al Bashir, conclusione di un regime che ha permesso l’avviso di una transizione difficile. Dopo il colpo di Stato, un anno fa è stato dichiarato lo stato d’emergenza nazionale, da lì le rivendicazioni della popolazione. Da un anno è in atto una resistenza non violenta chiamata “silmiya“, ossia “pacifica“. Proprio l’8 Novembre i cittadini sono riscesi nelle strade delle città principali, non curanti dei lacrimogeni della polizia intenta a respingerli. “No al potere militare” è il grido delle piazze contro il putsch dello scorso anno. Secondo i medici sono 119 in totale le vittime contate in quest’anno di proteste, le quali scadenze settimanali vengono rispettate costantemente nonostante l’opposizione delle forze armate. Per ora nessuna transizione democratica (elezioni e governo democratico) sembrano possibili, si teme invece un ritorno di Bashir. In aumento anche i conflitti tribali, causa grave sono sia lo stato di emergenza alimentare e che la povertà che un terzo della popolazione del Sudan soffre.

Kherson: la ritirata russa e la pacatezza del Cremlino

“una giornata storica, mai persa la speranza” ha sostenuto Zelensky commentando la ritirata russa dalla città di Kherson, nella zona che solo a inizio Ottobre era stata annessa unilateralmente dalla Russia. I russi si sono ritirati lasciandosi alle spalle una parte di territorio della regione di Kherson, sostenendo di aver “momentaneamente spostato” la capitale amministrativa della regione a Genichesk. Peskov, portavoce del Cremlino, ha sostenuto che la considerazione che la Russia ha di Kherson non cambia e che la Russia si “riserva dal parlare di queste cose”. Sono diverse le domande sul ritiro dei russi da una delle città strategiche più importanti, avvenuto il 9 Novembre dopo il consenso di Shoigu, Ministro della Difesa russo, alla proposta del Generale Supremo Surovikin di abbandonare la riva destra del fiume Dnipro. La più corretta parrebbe essere quella del costo di truppe che la Russia dovrebbe pagare nel caso di una vera controffensiva ucraina nella zona, almeno secondo gli analisti. L’andamento della guerra è per ora cambiato poco, i bombardamenti continuano e missili a grappolo sono stati lanciati nella notte contro Zaporizhzhia. Putin non pare retrocedere anzi, il Ministro degli esteri ucraino Kuleba, sostenendo che gli ucraini sono i primi a voler terminare i combattimenti, ha sostenuto che “la Russia negozierà solo quando l’intero Donbass sarà liberato”. L’inverno è comunque ancora lungo, sono difficili le settimane che attendono la controffensiva ucraina, che sembra però avere ancora parecchia forza.

Scritto da Emanuele Lo Giudice


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