Un po’ di verità sugli influencer truffati dalle agenzie

di Gloria Pessina
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 18 Min.

«Sui conti correnti non ci sono più i soldi, qualcuno li ha ritirati e non si sa dove siano finiti». Non è la frase di un film poliziesco, ma ciò che ci ha raccontato un ragazzo che lavora a contatto con delle agenzie di management.

Ma facciamo un passo indietro
Nelle ultime settimane una preoccupante vicenda ha colpito il pubblico dei social. Decine di creator, primi tra tutti Sespo e Breatrice Cossu, hanno dichiarato di non essere stati pagati dalle agenzie che avrebbero dovuto invece tutelarli.
Considerando il peso che la questione ha avuto, abbiamo cercato di andare a fondo per capire cosa davvero sia successo.

Quanto c’è di reale? Quali possono essere i rischi di farsi affiancare da un’agenzia? Ne abbiamo parlato con alcuni influencer e ragazzi che lavorano in settori affini.

Ma, prima di tutto, di cosa si occupa un’agenzia? Per ora vi basta sapere che un’agenzia di management è una realtà che si pone tra i brand e gli influencer e, oltre ad affiancare questi ultimi nel loro percorso, gli consente di guadagnare tramite pubblicità e sponsorizzazioni. Del funzionamento e delle problematiche che possono insorgere ne parleremo nel corso dell’articolo

Indice dell’Inchiesta

La testimonianza di Elena Pasqualotti

Bisogna sottolineare che i mancati pagamenti non sono una questione del tutto recente. O meglio, recenti sono le denunce mediatiche, ma non le truffe

Una ragazza che, dopo anni di attività sui social, conosce piuttosto bene l’ambito e le sue dinamiche, ci ha raccontato la sua storia.

Elena Nicol Pasqualotti ha oltre 600mila follower e attualmente dichiara di lavorare da autonoma perché, dopo aver affrontato un’agenzia per vie legali, ha deciso di affidarsi meno a questo tipo di  realtà.

«Il problema non era che non mi pagavano, ma che proprio non mi facevano lavorare – ci ha spiegato – In quasi un anno me ne avevano procurato uno solo (Contratto di collaborazione ndr.)».

Lei proponeva di fare lavori che non si concludevano mai, sia per motivi economici, sia perché, dopo che il brand l’aveva contattata direttamente, la sponsorizzazione veniva assegnata dall’agenzia ad un altro influencer

In questo caso specifico il contratto, datato 2017, sarebbe dovuto durare 3 anni, ma dopo mesi passati senza che le venissero proposti lavori, Elena ha comunicato la sua volontà di recedere. Con apparente dispiacere, le era stato proposto di parlarne dal vivo. Peccato che, in seguito, l’agenzia abbia smesso di risponderle.

«Ad un certo punto mi era arrivata con la posta certificata una diffida. Mi avevano detto che non avevo rispettato i termini del contratto e avrei potuto incorrere in penali. Ero stata malissimo, avevo paura. Non essendo esperta in materia non potevo sapere fino a che punto avessero ragione. Mi ero quindi data da fare per cercare un avvocato, gli avevo esposto il tutto e lui mi aveva confermato che il mio contratto non poteva sussistere».

Ha quindi scritto loro via mail, ricevendo una risposta inaspettata: l’agenzia reclamava i soldi investiti su di lei. «Mi avevano chiesto circa 20mila euro, ma loro, tramite lavori, me ne avevano fatti guadagnare alla grande 500. In realtà non avevano investito praticamente nulla perché mi avevano completamente abbandonata a me stessa».

E non solo: si è poi aggiunto un secondo evento altrettanto spiacevole che le aveva dimostrato che l’agenzia non era stata onesta nemmeno su quel poco che le aveva fatto guadagnare. 

«Avevo passato un lavoro che mi era arrivato da un contatto. Mi avevano detto che avrei guadagnato circa 400 euro. Passato del tempo avevo ripreso quel contatto e chiesto quanto mi avrebbe pagata il suo brand per questo lavoro. Secondo i calcoli mi avrebbe assegnato una somma compresa tra i 1500 e i 2000 euro (somma alla quale andava detratta la percentuale dell’agenzia, ndr.). 

Il problema è che da contratto l’agenzia avrebbe dovuto trattenere solo il 20/30%. Questo significa che si erano tenuti una percentuale molto più alta di quanto accordato».

Il suo avvocato aveva considerato anche questo e comunicato che se avessero continuato a non rispondere sarebbero andati a processo chiedendo i danni. Alla fine, l’agenzia ha deciso di fermarsi.

Le moderne truffe agli Influencer

Ma torniamo al presente: dopo la prima denuncia, parecchi Influencer hanno dunque dichiarato di non aver guadagnato a seguito di alcuni lavori, creando un vero e proprio fenomeno di massa. Su TikTok e Instagram molti utenti hanno – capiamo la curiosità – cercato di capire di quali agenzie si tratti.

Abbiamo fatto due chiacchiere con alcuni influencer (di cui non citeremo i nomi come da loro richiesto) che hanno avuto a che fare in prima persona con queste agenzie. Vi riportiamo quindi le loro dichiarazioni


Uno dei motivi per cui non si denuncia è l’ingente somma di denaro che una causa legale richiederebbe.

«Per fortuna non mi è stato pagato un solo lavoro. Non deve succedere nemmeno con uno, però sicuramente non posso permettermi di pagare avvocati», ci ha spiegato uno dei primi che abbiamo contattato.


Anche la paura di esporsi sul tema ha un ruolo importante, soprattutto per il terrore di perdere il lavoro

«Molti TikToker si mantengono grazie alle attività sui social e quindi, per non mettere a repentaglio la propria carriera, preferiscono starsene zitti».


Ma non per tutti la vita sui social è l’unica fonte di guadagno. E così, alcuni di loro si fanno avanti, a volte anche ingegnandosi col fai da te.

«A me è capitato, ma non ho denunciato perché, nonostante l’accordo prevedesse una tempistica di 60 giorni, dopo 6 mesi ho ricevuto tutto. Sono riuscito a farmi pagare perché ho finto di mettere in mezzo un avvocato e ho compilato il modulo standard per ultimo sollecito formale».


Si parla di contratti che, almeno quando vengono realizzati, capita lascino poca cognizione di causa. E diciamo “almeno” perché abbiamo notizia di situazioni in cui i termini di lavoro vengono comunicati via mail

Un ragazzo attivo su Tik Tok ci ha poi narrato l’elegante disavventura accaduta ad una sua amica.

«L’agenzia non voleva pagarla e a lei, nonostante non lo reputasse corretto, non voleva intraprendere ingenti spese per una battaglia legale. Non avendo nulla da perdere data la mancanza di un contratto, aveva minacciato i referenti dell’agenzia con cui si interfacciava spiegando che avrebbe realizzato un video per raccontare l’accaduto al suo pubblico».


Questo era bastato. L’agenzia aveva fatto un passo indietro perché quei 400-500 euro non avevano un grande peso. O almeno, sicuramente non lo stesso di un video che – vista la sua natura – sarebbe diventato probabilmente virale.

Il ruolo dell’agenzia non passa però di certo in secondo piano. Per questo vi sollecitiamo a non fare di tutta l’erba un fascio. Come per tutte le realtà, c’è chi agisce con etica e professionalità e chi sceglie invece il guadagno personale.

«Avere un’agenzia è importante. Io non riuscirei mai a leggere dei particolari contratti. L’agenzia è fatta proprio per tutelare il creator – ci ha indicato un’altra, assicurandoci che quella in cui si trova attualmente sia di competenza – Purtroppo quelle di cui si parla negativamente sono alcune delle più grandi ed è quindi grave non abbiano pagato i propri creator».

Ma come funzionano davvero le agenzie di management?

Abbiamo lasciato in sospeso una domanda a cui ora risponderemo in modo approfondito: «Di cosa si occupa un’agenzia?». Ne abbiamo parlato con chi questo mondo lo conosce piuttosto a fondo.

Anche in questo caso il nome non verrà citato come da richiesta.

Per Influencer Marketing e campagne pubblicitarie le multinazionali si appoggiano ad agenzie terze chiamate Centri Media. I grandi budget in loro possesso vengono spesi dalle realtà che gestiscono i talent e i media, a cui vengono commissionati diversi compiti.

Per dirla breve, la multinazionale stringe un contratto con le agenzie di management, che stringono accordi per i creator. Se si tratta di creator medio-piccoli spesso i contratti legano più di uno di loro.  

Il primo scoglio è che a molti influencer non viene data la possibilità di visualizzare i contratti. E spesso non per nascondere qualcosa, ma perché all’interno ci sono anche dettagli riguardanti altri servizi che l’agenzia ha in accordo con la società.

Questi accordi sono molto complicati a livello economico. Dal momento in cui la fattura viene inviata, i pagamenti possono arrivare anche (secondo contratto) dopo 60 o 90 giorni.

Ciò implica un secondo problema:

«Se l’agenzia stringe con la società un accordo a 60 giorni data fattura, l’agenzia ottiene il compenso entro 60 giorni – ci è stato detto, sottolineando che poi debba pagare il creator e quindi sicuramente aspettare almeno 60 giorni per avere la sicurezza di avere i soldi da consegnare– È quindi normale che un creator veda i soldi 3/4/6 mesi dopo».

E dov’è il problema? Che se in quei mesi l’agenzia non incassa i soldi, non riesce a rispettare il contratto stipulato col creator.

«Ho visto pagamenti arrivati dopo la data prestabilita, spesso perché le amministrazioni aspettano l’ultimo giorno indicato dall’accordo in modo tale da avere più soldi in cassa per eventuali investimenti. In ogni caso, creano ritardi a loro volta».

A volte però – e ci è stato nettamente confermato – il mancato pagamento è del tutto intenzionale. 

«Nei casi discussi ultimamente sembra che i soldi siano arrivati all’agenzia, ma che a quanto pare qualcuno non abbia agito in modo chiaro. Il denaro poi non è passato – come avrebbe invece dovuto – né ai talent né ad alcuni dipendenti. Sui conti correnti non ci sono più i soldi, qualcuno li ha fatti uscire e non si sa dove siano finiti».

«Il conflitto tra influencer e agenzie c’è da sempre. Gli influencer pensano che le agenzie li truffino e le agenzie pensano di non essere mai pagate abbastanza per quello che fanno – ci ha detto, sottolineando l’importanza del loro ruolo di quest’ultime – Di fatto, un’agenzia è quasi fondamentale perché un creator da solo non ha la forza di andare a sedersi su certi tavoli e contrattare per sé stesso particolari tipi di deal».

Di solito, i contratti di cui abbiamo parlato sono piuttosto lunghi e a condizioni per lo più dubbie, soprattutto alle prime esperienze. Si tratta di 3,4,5 o più pagine con varie clausole che apparentemente non sembrano rappresentare nulla di grave. «Se va tutto bene si è amici, ma quando iniziano ad esserci problemi loro citano clausole che i creator magari nemmeno erano consapevoli di aver firmato». 

C’è però da dire che si tratta anche di un business di fiducia. 

«L’agenzia si deve tutelare. Se si entra senza essere nessuno, ma con aiuto si costruisce un palinsesto, è giusto che ci siano clausole. In fondo l’agenzia fa degli investimenti. Avendo tanti contatti consente di aprire tante porte agli influencer. Ad esempio, possono presentarti Netflix e farti lavorare con loro. Se il tuo obiettivo è quello di fare l’attore sicuramente è un primo passo per entrare in quel mondo li».

Ma di quali agenzie si tratta? Si dice il peccato, ma non il peccatore. Certo, a meno che i peccatori non vogliano fare una chiacchierata con noi. Abbiamo tentato di contattarli, ma la voce registrata ci ha assicurato che «il numero selezionato è inesistente o momentaneamente non disponibile». Che sfortuna.

La mancata tutela verso la professione del Content Creator

Rilevante anche il fatto che quello degli influencer non venga considerato un lavoro effettivo. «Non esiste ancora un regolamento che tuteli e disciplini la nostra realtà e quindi i primi ad approfittarsene sono certe agenzie».

C’è da dire che parecchi dei commenti ai post che riportano la notizia mostrano uno strano malcontento che non si può ridurre alla sola invidia. «Se aveste fatto un vero lavoro non avreste questi problemi», ha scritto un utente, come se il “vero” lavoro italiano fosse sinonimo di benessere. Insomma, la possibilità di considerare la vittima il proprio carnefice è un’eleganza che non ci si fa mai scappare.

Non è l’influencer marketing l’unico settore che ne risente

Alice Baravelli nella vita è Art Director e Casting Director nel mondo della moda e ci ha confermato che il problema non persiste solo per l’Influencer Marketing, ma anche nel suo ambito. 

influencer

«Fin da quando ho iniziato a lavorare in questo settore non ho avuto problemi a dire le cose in faccia a registi e produttori che volevano truffarmi», ci ha detto, elencandoci alcuni esempi. 

Tempo fa ha preso parte ad un videoclip di uno dei più noti rapper italiani, ma la casa di produzione sembrava quasi essersi scordata di pagare lei ed altri partecipanti.

«Passati più di quattro mesi senza avere notizia, ho scritto un post su Facebook per raccontare la disavventura. Mi hanno minacciato dicendomi che mi avrebbero denunciato. È vero, esistono i patti di riservatezza, ma loro avrebbero dovuto pagarmi».

Il suo consiglio è quello di lavorare come Freelancer e di farsi affiancare da avvocati e commercialisti. «Devo dire che l’alta moda paga abbastanza bene – ha concluso – ma bisogna tenere gli occhi aperti. A volte vengono imposte regole disumane». Sicuramente avremo modo di approfondire questo aspetto in un prossimo articolo. 

Ma quindi, come si fa a proteggersi?

La gran parte dei creator con cui ci siamo confrontati ha ribadito l’importanza di ricercare un’agenzia che sia davvero interessata al progetto in questione. E non solo ai soldi che otterrà prendendolo a carico.

Insomma, sembra un po’ un concetto utopico e lontano, ma la realtà è che all’agenzia un po’ deve piacere il tipo di contenuti che il creator condivide.

Certo, non sempre è facile rendersi conto di essere nelle mani delle persone sbagliate, ma quando ce ne si accorge, è importante allontanarsene e raccontare la propria storia.

«Non bisogna farsi intimorire se si sa di essere nel giusto. Ho fiducia che se si chiede aiuto ad un buon avvocato queste cause si possono vincere. Se tutti sono omertosi non si conclude nulla. Bisogna cercare persone, anche della propria agenzia, che hanno avuto storie simili. È importante denunciare insieme perché la denuncia collettiva ha un grande valore».

Elena Pasqualotti

Di Carola Antonucci.


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