Vento di primavera | Una sensibile autocritica sull’olocausto

di Nina D'Amato
4 Min.

Il 27 gennaio ricorre la giornata dedicata alla memoria. L’impegno globale è volto a ricordare milioni di vittime a cui è stata strappata la vita e la cui unica “colpa” era di essere nati ebrei, invalidi oppure omosessuali. Nella giornata di oggi ogni uomo sulla terra, almeno in teoria, volge l’attenzione su una pagina nera della storia contemporanea. Uno dei più grandi genocidi della storia del mondo dove chiunque veniva definito “nemico della nazione tedesca” veniva privato di nome, dignità, libertà e infine del diritto alla vita. Una macchia indelebile sul nome di tutte le nazioni che hanno permesso – e che ancora oggi permettono – un massacro e una violazione tanto forte dei diritti umani.

Vento di primavera è un film che si fa carico di una grande responsabilità e che sposta il focus dai luoghi simbolo per raccontare quello che succedeva nella vicina Francia.

Un lungometraggio che richiama la filmografia di Rossellini e i grandi del neorealismo italiano. Il punto di vista è quello dei bambini che attraverso lo sguardo innocente ci mostrano – con non pochi filtri – l’abbandono, la paura e la violenza.

Vento di primavera, la storia francese raccontata dai bambini

La vicenda si ambienta nell’estate del 1942, dopo l’ingresso delle truppe tedesche sul suolo francese. La popolazione ebraica si vede progressivamente privare di ogni impiego, accesso ai luoghi pubblici e obbligati ad indossare una stella di David sugli indumenti. Le vicende narrate hanno, in modo accurato e mediante una tripartizione sequenziale delle vicende, il pesante compito di raccontare un evento storico di cui la Francia – che solo recentemente – ha chiesto scusa.

In seguito alla decisione di Hitler di procedere con lo sterminio di massa e con l’insediamento delle truppe a Vichy, fu ordinato il raggruppamento di almeno 20.000 ebrei. Il maresciallo Pétain ne ordinò la retata in data 16 luglio 1942. Oltre tredicimila uomini, donne e bambini furono prelevati dalle loro case e condotti al Vélodromo d’Hiver e in seguito deportati nei campi di concentramento. 

Una pellicola coraggiosa

La pellicola, scritta e diretta da Rose Bosch, è un racconto minuzioso come non era mai stato fatto nella filmografia francese. Il film si fa carico della vicenda raccontandoli in modo critico senza però condannare pienamente lo stato. Lo fa mostrando la solidarietà del popolo che durante la retata aiutò oltre 12.000 ebrei a fuggire. 

Nel 1942, il dodicenne Joseph viene portato con i genitori e altre migliaia di ebrei nel Velodromo di Parigi. Il governo francese ha scelto di sostenere il regime nazista nel suo progetto di deportazione.

Trama

La narrazione avviene in modo delicato e ci mostra il dolore, la violenza di un fatto storico senza però alcuna rappresentazione dell’olocausto. La forza della pellicola risiede nella semplicità e nella quotidianità dei fatti. Le vicende in tutte le sue sfumature, anche quelle più drammatiche, si rifà alla vera storia di Joseph e Annette personaggi realmente esistiti. Con un budget di 20.000 euro e una produzione francese, ungherese e tedesca.

La Francia dell’olocausto raccontata dalla regia di Rose Bosch

Non ho intenzione di farvi una recensione, non potrei visto il tema di cui la pellicola si fa fautore. Posso però dirvi che è una visione che consiglio fortemente. Vento di primavera è una pellicola che emoziona, ti fa immergere nelle vicende e ti travolge con semplicità e pulizia tecnica.

Una visione che andrebbe affrontata nelle scuole, che si fa portavoce della coscienza civile francese. Il coloring delicato della pellicola evidenzia lo sguardo innocente dei bambini, in contrasto con il contesto in cui si trovano che risulta essere rude. La linea temporale che ritrae Hitler, si oppone all’impegno civile dei francesi. Nonostante si macchiano di un reato tanto grave, assecondando la furia omicida e l’isteria collettiva, la Bosch mostra anche il lato ragionevole e umano delle persone. Due facce della stessa medaglia, un’autocritica, un faccia a faccia con se stessi e una presa di responsabilità.

Di Carola Antonucci.


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