Fight Club (1999): un viaggio nella (in)sofferenza dell’uomo moderno

di Emanuele Fornito
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 8 Min.

Trama

Jack (Edward Norton), il cui nome non viene in realtà mai citato, soffre d’insonnia, condizione che lo porta, insieme allo stress lavorativo, alla depressione. Quando decide di iniziare a frequentare sedute d’ascolto, fingendo di essere affetto da gravi malattie, conosce Marla Singer (Helena Carter) mentre su un volo di linea conosce Tyler Durden (Brad Pitt). La sua vita non sarà più la stessa, o quasi.

Recensione

Opera maestra della filmografia del regista David Fincher ed icona di un’epoca, Fight Club si propone come un film che va ben oltre la superficiale interpretazione narrativa. Diversi sono, infatti, i temi che hanno reso la pellicola un vero e proprio manifesto generazionale che, come espresso in diverse dichiarazioni successive, era la primordiale intenzione del regista. D’altronde, le pesanti critiche ricevute alla première di Venezia permettono di comprendere il peso socio-politico del film, che riuscì a scandalizzare, in un’accezione prettamente pasoliniana, i critici italiani (mai tanto amati dai registi stranieri e non). 

Una scena del film

Ciò che pone le basi alla completa critica sociale è dunque quella definita da molti come l’alienazione dell’uomo moderno, impersonato dal personaggio interpretato, brillantemente, da Edward Norton. Prendendo in prestito i termini del critico letterario Charles Singleton, che al suo tempo si riferiva alla Divina Commedia dantesca, Jack è un vero e proprio “everyman”. Nonostante siano ormai passati 23 anni dall’uscita del film, infatti, non è necessaria una richiesta ingente di immaginazione per empatizzare con il protagonista. Ad oggi, numerose sono le persone in crisi con sé stesse a causa di una vita mai diversa dai giorni precedenti e mai consapevoli del proprio io. L’insonnia, quindi, può essere intesa come una risposta necessaria ma non sufficiente, che la parte più interna della psicologia di Jack manifesta. Scriviamo non sufficiente perché è proprio così che inizia il film: la condizione psicologica del protagonista è uno dei primi indizi che viene dato per costruire, o almeno provare a costruire, un profilo psicologico di uno dei personaggi più controversi del cinema contemporaneo. Volendo “donare” al lettore un filo d’Arianna per la comprensione lineare della storia, l’intera pellicola è basata sulla regressione psicologica di Jack. Due sono gli incontri fondamentali: il primo, con Marla Singer (anche qui una notevole interpretazione della Carter) presentato in maniera spettacolare da Fincher che, grazie anche ad una sublime scelta cromatica del direttore alla fotografia Cronenweth, riesce con un primo piano a definire un’accurata descrizione del personaggio: carismatica, forte e, come si scoprirà nel corso del film, anch’essa smarrita ed errante in un mondo dominato da un capitalismo consumistico dirompente ed imposto

La celebre scena del bar

C’è poi il secondo incontro, il più importante. Jack incontra Tyler Durden, interpretato magistralmente da Brad Pitt, durante un viaggio lavorativo, dove anche qui il lavoro è al centro della crisi psico-fisica del protagonista. Inizia così una serie di collegate azioni e reazioni, che porterà Jack prima ad entrare a far parte del Fight Club, un club di lotta libera clandestina ed occulta, poi a diventare un rivoluzionario di carattere terroristico, così come soltanto i movimenti comunisti negli anni sessanta e settanta erano stati. Il riferimento alla corrente politica non è, neanche qui, lasciata al caso.

Le cose che possiedi alla fine ti possiedono

Tyler

Questa frase è il vaso di pandora dell’intera storia: l’uomo moderno, costretto ad orari di lavoro stabiliti per l’intera vita, che trova come unico sfogo una televisione pilotata e monopolizzata e che ha come unico scopo guadagnare per comprare oggetti dall’utilità opinabile, è rinchiuso in una vera e propria gabbia sociale.

Egli è parte di un sistema consumistico finalizzato alla ciclica speculazione economica che ha come risultato ultimo l’arricchimento delle menti a capo di questo sistema, e l’impoverimento e soggiogazione delle componenti della macchina capitalistica, quali appunto proletariato e sottoproletariato. Basta infatti immaginare un diverso ruolo sociale di Jack: immaginate per un attimo se Jack fosse stato il figlio di un ricco imprenditore. Il film avrebbe probabilmente perso gran parte del suo senso, proprio a causa di un distacco emotivo e sociale con lo spettatore. Proprio questo mette in risalto la cura dei dettagli di Fincher ed Uhls, grazie alla ricca eredità di Palahniuk, che quindi non è limitata al solo comparto tecnico-cinematografico, come già detto in precedenza, degno di nota. Era forse intenzione di Fincher fare eco, attraverso la dirompenza e l’immediatezza che contraddistingue l’arte cinematografica, all’invito, seppur utopico, di Palahniuk a ribellarsi nei confronti di una società sempre più ricca di beni di consumo, sempre più povera di beni morali, etici e sentimentali. 

Una delle ultime scene del film

Lo snodo dell’intero arco narrativo è caratterizzato dal plot-twist finale, probabilmente tra i migliori della storia cinematografica. Nel momento in cui Jack comprende che Tyler non è altro che la proiezione del sé ideale, si libera dalle catene platoniche della società in cui vive. La presa di coscienza, attraverso una conoscenza interiore a tratti socratica è, dunque, l’apice di una catarsi interiore.

Tyler, da protagonista secondario, diventa la seconda parte di un unico protagonista. E ciò ha un’importanza narrativa fondamentale. La caratterizzazione del personaggio di Tyler non è più fine a sé stessa: essa è l’idealizzazione e la realizzazione del potenziale umano di Jack, quella che in termini nietzschiani è la definizione dell’ǜbermensch, o super-uomo, ovvero l’assoluta concretizzazione e affermazione del completo potenziale intellettivo. Nei termini del film stesso:

Tutti i modi in cui vorresti essere, quelli sono io

Tyler
La scena finale di Fight Club

Si arriva dunque alle scene finali del film in cui, dopo un fallito tentativo di suicidio da parte di Jack (ancora una volta ritorna il tema del rifiuto nei confronti della precaria condizione reale), si materializza la rivoluzione terroristica messa in atto da Jack-Tyler e, sulle note dei Pixies, la celebre frase:

Mi hai conosciuto in un momento molto strano della mia vita…

Jack

Scritto da Emanuele Fornito con la collaborazione di Michele Ponticelli


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