Ci ha lasciato Vincenzo Agostino, il papà dell’antimafia

Ci ha lasciato Vincenzo Agostino, il padre del poliziotto Nino Agostino ucciso dalla mafia, insieme alla moglie incinta, il 5 agosto del 1989. Aveva giurato di non tagliarsi né barba e né capelli fino a quando non avrebbe ottenuto verità e giustizia.

di Carola Speranza
11 Min.

Nella sede di Libera, a Palermo, su una lavagna, campeggia una frase:

«Quando moriremo nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili».
La credibilità come metodo di paragone di una vita e quindi di una morte. La frase era stata pronunciata da Rosario Livatino, prima di venir ucciso dalla mafia nel 1990. Eppure, è una frase che sembrava riecheggiare il 21 marzo del 2024, al Circo Massimo, quando si sono letti i nomi di tutte le vittime innocenti di mafia, nella giornata a loro dedicata. Ed è una frase che aleggiava forte nell’aria, esattamente un mese dopo, nella giornata del 21 aprile 2024: quando Vincenzo Agostino ci ha lasciato senza aver ottenuto piena verità e giustizia.

Orgoglio di padre

Per poter parlare di Vincenzo Agostino bisogna partire dal racconto della storia di suo figlio Nino. Nino Agostino è stato un poliziotto palermitano, che ha lavorato per tempo nel quartiere di San Lorenzo, una zona particolarmente complicata e compromessa nella Palermo degli anni ’80. Da sempre conosciuto come poliziotto semplice, si era contraddistinto per le sue abilità investigative e per il suo forte senso del dovere al servizio dello Stato. Nonostante venisse considerato un “semplice” poliziotto, nel corso dei lunghi anni di processi che seguiranno dopo il suo omicidio, è stata scoperta una vita professionale parallela rispetto a quella istituzionale. Nino Agostino, infatti, secondo testimonianze di collaboratori di giustizia, era un poliziotto che lavorava anche per conto del dottor Giovanni Falcone. Nel corso del tempo, si stava specializzando nella ricerca di diversi latitanti nel trapanese. Ma non solo. Le sue abilità investigative lo avevano portato alla scoperta di verità scomode che dimostravano relazioni di contiguità tra volti di Cosa Nostra e importanti gangli istituzionali. Stava arrivando a svelare delle dinamiche che l’avvocato Repici, nell’ultima udienza del processo ancora in corso, ha definito dinamiche del “deep state”.

 In questo processo la locuzione ‘Deep State’ assume le sfumature più variegate che vanno ben oltre quello che in qualunque processo ci si sarebbe potuti aspettare. Dall’istante dopo l’omicidio di Nino Agostino e Ida Castelluccio, la squadra mobile di Palermo, nella persona del suo responsabile, Arnaldo La Barbera, ma non solo, ha depistato in modo scellerato le indagini, inventando una causale che definire farlocca è poco”.

Che anno era il 1989

Nino Agostino sapeva troppo, si stava spingendo troppo in là. In quegli anni questo atteggiamento era estremamente pericoloso. In questo passaggio di un suo celebre discorso, Paolo Borsellino mostrava chiaramente i pericoli che vivevano certi magistrati e poliziotti dell’epoca: chi sapeva doveva essere eliminato. Questo denunciava il magistrato il 26 gennaio del 1989, vale a dire qualche mese prima della morte di Nino Agostino.

Io non mi sento protetto dallo Stato perché oggi la lotta alla criminalità mafiosa viene sostanzialmente delegata soltanto alla magistratura e alle forze dell’ordine, e si ritiene che sia un fatto esclusivamente di natura giudiziaria, mentre un fatto esclusivamente di natura giudiziaria non è. (…) Questa delega lasciata soprattutto a magistratura e forze dell’ordine che ha provocato? Ha provocato una sovraesposizione di magistratura e forze dell’ordine. Cioè nella mentalità del criminale è chiaro che eliminare il magistrato che si occupa di mafia o il poliziotto che si occupa di mafia significa eliminare l’unico nemico. E in questo il magistrato e l’appartenente alle forze dell’ordine si trova eccessivamente sovraesposto e quindi poco protetto. E non sono chiacchiere, perché se noi facciamo il conto di quanti magistrati e di quanti politici sono stati uccisi dall’80 ma anche prima – si cominciò nel 1970, con il primo delitto eccellente – il numero diventa incredibile.

Gli anni’80 erano stati inaugurati dall’uccisione del politico Piersanti Mattarella, del capo dei carabinieri Emanuele Basile e del procuratore capo di Palermo Gaetano Costa: tutti nel 1980. Sono gli anni in cui ammazzavano sistematicamente magistrati, poliziotti, giornalisti e non solo. Ed è in questo periodo che la programmata uccisione di uno dei giudici più importanti e conosciuti del momento viene sabotata.

È il 21 giugno del 1989 quando l’attentato ai danni del dottor Falcone viene sventato. Tra gli scogli della sua villa estiva all’Addaura, vengono ritrovati 58 candelotti di dinamite, pronti per essere azionati a distanza quando il giudice si sarebbe avvicinato al mare. Testimoni di giustizia hanno affermato che erano stati Nino Agostino ed Emanuele Piazza a sventare l’attentato: un’ipotesi che conferma da anni il giornalista Attilio Bolzoni, che aveva seguito, al tempo, questo fatto di cronaca. Era il 21 giugno del 1989. Nino Agostino verrà ammazzato neanche due mesi dopo; Emanuele Piazza quasi un anno dopo. Il suo corpo non è mai stato trovato.

5 agosto 1989

Nino Agostino si era fatto cambiare il turno di lavoro. Voleva essere libero al pomeriggio e alla sera, per festeggiare il diciottesimo compleanno di sua sorella Flora. Era così passato a prendere in macchina la sua neosposina Ida Castelluccio. Insieme si erano recati a Villagrazia di Carini, nella dimora estiva della famiglia Agostino. Erano entrati per un saluto veloce: volevano subito andare dai vicini per mostrare l’album delle nozze fresco di stampa.

Nino Agostino e Ida Castelluccio nel giorno del loro matrimonio.

Nino Agostino e Ida Castelluccio nel giorno del loro matrimonio.

Vincenzo Agostino stava guardando la televisione, inconsapevole di quello che avrebbe sentito poco dopo: le urla di sua nuora che si alzavano forte: «Mi stanno ammazzando mio marito». Vincenzo si era precipitato all’ingresso della villa, in tempo per vedere il corpo del figlio incassare i colpi sparati da due individui su una motocicletta. Nino, con le ultime forze, aveva cercato di tenere a sé, come a proteggerla, sua moglie. Ida, però, si era alzata in piedi per urlare di fronte ai due mafiosi: «Io so chi siete». Le spararono al cuore. Avevano 28 e 19 anni.

Vincenzo Agostino, il giorno prima di festeggiare il diciottesimo compleanno di sua figlia Flora, perde per mano della mafia suo figlio Nino, sua nuora Ida e il bambino che portava in grembo, il suo primo nipote.

Una storia infinita

Questa non è soltanto la storia di un poliziotto ucciso per mano della mafia ma è soprattutto una storia di amore e di giustizia. Ed è la storia di una famiglia che decide di inaugurare un nuovo modo di combattere la criminalità organizzata: partendo dal basso, dalla terra viva della società. Augusta Schiera e Vincenzo Agostino hanno capito fin da subito che i depistaggi e le difficoltà nella ricerca della verità sarebbero stati i grandi protagonisti degli anni che avrebbero seguito quel 5 agosto del 1989.  Augusta Schiera e Vincenzo Agostino lo avevano capito quando qualcuno ipotizzò che fosse stato un delitto passionale. Tutto pur di evitare di far venire a galla quelle verità che il poliziotto Nino Agostino aveva scoperto e stava scoprendo.  Avevano capito che dovevano fare di più, che questo senso di giustizia doveva toccare persone semplici, comuni, come loro. E fin da subito, ben prima dei funerali di Falcone e Borsellino che nel 1992 avrebbero scosso completamente l’opinione pubblica, questa coppia di genitori aveva iniziato a fare manifestazioni in piazza, divulgazione nelle scuole e a girare per l’Italia per far conoscere questa storia.

Il dolore come opportunità

Da sx: Nino Morana, nipote di Augusta Schiera e Vincenzo Agostino.

Da sx: Nino Morana, nipote di Augusta Schiera e Vincenzo Agostino.

Augusta e Vincenzo hanno visto nel loro dolore, un’opportunità per sensibilizzare e  arrivare a quelle persone che al tempo neanche sapevano dell’esistenza del fenomeno mafioso. Lo hanno fatto raccontando questa storia, creando una connessione unica con la base sociale del Paese e non solo, con gesti semplici. Come il gesto, di Vincenzo Agostino, di non tagliarsi più né barba e né capelli fino a quando non avrebbe ottenuto verità e giustizia. Era una promessa fatta davanti alle bare di suo figlio e di sua nuora. Un gesto semplice diventato simbolo di lotta, prima e testamento di una verità mai arrivata, ora.

Le lacrime non fanno giustizia

Oggi i funerali si terranno nella cattedrale di Palermo: un tempio di memoria e dolore per tutti i funerali delle vittime innocenti della mafia, di cui è stata scenario. Ricordiamo tutti le immagini della folla interminabile che si era radunata davanti alla Cattedrale per rendere omaggio agli agenti della scorta di Borsellino, uccisi dalla mafia il 19 luglio del 1992.

Forse meno persone si ricorderanno dei funerali che hanno avuto luogo nella stessa cattedrale nel 2019: erano quelli di Augusta Schiera, la madre di Nino Agostino e la moglie di Vincenzo. Era morta senza aver ottenuto verità e giustizia e il suo grido di dolore lo aveva fatto incidere sulla sua lapide: “Qui giace la madre dell’agente Antonino Agostino, una mamma in attesa di giustizia anche oltre la morte”.

Non erano mancate le promesse che davanti alla morte si rinnovano, ma non per questo si rispettano: ottenere verità e giustizia il prima possibile. C’eravamo quasi. Vincenzo Agostino ha potuto assistere alla condanna definitiva di uno dei due killer che hanno ucciso suo figlio, sua nuora e il bimbo che portava in grembo. La corte d’assise d’appello di Palermo, il 5 ottobre del 2023, ha condannato Nino Madonia, uomo di fiducia di Totò Riina, in via definitiva.  Recentemente ha chiesto l’esclusione dal 41-bis ma, come riportato dal Sole 24 ore. La Suprema corte ha confermato la bocciatura del reclamo. Nel processo ora in corso, l’imputato Gaetano Scotto è accusato di essere l’altro esecutore dell’omicidio, mentre l’imputato Francesco Paolo Rizzuto è accusato di favoreggiamento.

La nostra parte

Per anni, diverse realtà giornalistiche hanno seguito, udienza dopo udienza, il lungo iter processuale.

Radio Radicale ha registrato e trasmesso in onda intere udienze che si possono ritrovare nel loro sito. Antimafia 2000 ha sempre garantito un’informazione attenta e dettagliata degli avanzamenti delle indagini. Inoltre, in vista dell’ottenimento di una verità completa, che vada oltre alla condanna degli esecutori, mira ad un allargamento del campo d’indagine verso i mandanti e la collusione tra Stato e Mafia. Questa è una storia che non ha ancora smesso di essere scritta.

L’invito è quello di rendere la nostra vita e la nostra partecipazione attiva nel sociale, nella politica e nella giustizia, non solo credibile, come diceva Rosario Livatino, ma imprescindibile. O meglio, inarrestabile come i lunghi capelli di Vincenzo e irreprensibile come la sua barba folta, che ora è per sempre.

Un’unica richiesta: verità e giustizia

Io e Vincenzo Agostino ci siamo incontrati diverse volte, lo scorso novembre. Ci siamo conosciuti per strada, davanti al teatro di Palermo, mentre passeggiava con la scorta, che lo segue dal 2016. Poi, all’interno del tribunale di Palermo, mentre accompagnava una scolaresca a vedere gli uffici di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dopo aver raccontato la sua storia.

Gli uffici dei due magistrati hanno una cosa in comune: una frase di Kennedy appesa al muro.

«Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli e le pressioni. E questa è la base di tutta la moralità umana».

Non portiamo fiori o promesse, ma esercitiamo i nostri doveri al fine di ottenere un unico diritto: verità e giustizia per Nino Agostino, Ida Castelluccio e il bambino che portava in grembo.

Di Carola Speranza.


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