Siamo stati più vicini alla terza guerra mondiale di quanto pensiamo

di Mirko Aufiero
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 8 Min.

Dalla guerra di Corea, passando per la crisi dei missili di Cuba, fino al Kosovo: i casi in cui il mondo è stato sull’orlo di una nuova guerra mondiale

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale e con l’inizio della Guerra fredda, sul mondo ha più volte aleggiato lo spettro di una nuova guerra mondiale. Questo scenario è sempre stato evitato grazie alla deterrenza esercitata dalla MAD (Mutual Assured Destruction), che ha reso le potenze nucleari molto caute nell’iniziare conflitti l’una contro l’altra per il timore dell’uso delle armi nucleari.

Tuttavia, ci sono stati più casi nella storia in cui l’utilizzo di queste armi è stata una possibilità presa seriamente in considerazione dai vertici politici e militari.

La guerra di Corea

Siamo stati più vicini alla terza guerra mondiale di quanto pensiamo

Il primo caso che prendiamo in considerazione riguarda la guerra di Corea del 1950-1953. Si tratta della prima delle “guerre per procura” intraprese dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica durante la guerra fredda, durante il cui svolgimento gli Stati Uniti presero in considerazione la possibilità di usare le armi nucleari.

Il conflitto scoppiò a seguito dell’invasione da parte della dittatura comunista della Corea del Nord (supportata dall’Urss e dalla Cina) ai danni della Corea del Sud (filo-statunitense) nel giugno 1950. Temendo il “domino comunista” e seguendo la dottrina del “rollback” di Eisenhower, gli Stati Uniti si convinsero dell’importanza di intervenire militarmente nel conflitto.

Dopo aver ottenuto un mandato dall’Onu, una forza internazionale guidata dal generale americano MacArthur – eroe della Seconda guerra mondiale – sbarcò in Corea e fece indietreggiare le forze comuniste fino al fiume Yalu, al confine con la Cina.

Quest’ultima, non accettando la presenza di uno Stato filo-americano vicino al suo confine, decise a sua volta di intervenire militarmente nella guerra, ricacciando le forze delle Nazioni Unite fino al 38º parallelo. Proprio in questa occasione, il generale MacArthur propose l’utilizzo delle armi nucleari sulla Cina e sulla Corea del Nord, opzione bocciata dal presidente Truman che destituì MacArthur.

La crisi di Suez del 1956

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Il secondo caso in cui il rischio dell’uso delle armi nucleari e dello scoppio di una terza guerra mondiale si è palesato riguarda la crisi di Suez del 1956. Protagonisti della crisi Egitto, Inghilterra, Francia e Israele, con Stati Uniti e Russia sullo sfondo.

Nel 1956, con lo scopo di garantirsi i fondi per la diga di Aswan, il presidente Nasser decise di nazionalizzare il canale di Suez, di proprietà di una società anglo-francese. Francia e Regno Unito, che desideravano deporre Nasser e mantenere il controllo del canale, decisero allora di intervenire militarmente con l’aiuto di Israele.

Lo Stato ebraico, infatti, desiderava a sua volta infliggere una sconfitta militare a Nasser, il quale aveva bloccato il passaggio della navi nello stretto di Tiran, sul quale sorge l’unico porto israeliano nel mar Rosso, Eliat. Francia, Regno Unito e Israele strinsero un accordo segreto a Sèvres, nel quale era previsto che Israele occupasse il Sinai fino al canale di Suez. In seguito, Francia e Regno Unito sarebbero intervenute con le loro truppe nel canale per separare i due eserciti.

Le operazioni militari andarono come previsto, ma suscitarono una forte disapprovazione nell’amministrazione Eisenhower a Washington e in Kruscev a Mosca. Eisenhower esercitò una forte pressione per imporre un cessate il fuoco, mentre Chruščëv minacciò di intervenire a favore dell’Egitto e di utilizzare armi nucleari su Londra e Parigi.

Proprio in seguito a queste pressioni, Londra, Parigi e Tel Aviv furono costrette a ritirarsi e la leadership di Nasser ne uscì rafforzata.

La crisi dei missili di Cuba

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Probabilmente l’episodio più celebre della Guerra fredda, la crisi dei missili di Cuba del 1962, rappresenta uno dei momenti di massima tensione tra gli Stati Uniti e l’Urss. Dopo il fallimento dell’invasione della Baia dei Porci dell’anno precedente – voluta dagli Stati Uniti del presidente Kennedy Fidel Castro si avvicinò sempre di più al leader sovietico Chruščëv, intenzionato ad installare delle basi missilistiche sul suolo cubano.

Il proposito di Chruščëv era quello di limitare la sua inferiorità nel numero e nel raggio delle proprie armi nucleari. All’epoca gli Stati Uniti possedevano infatti sette volte il numero di testate sovietiche, e potevano contare sulle basi di lancio installate in Turchia e in Italia.

L’invio di esperti sovietici a Cuba iniziò nel luglio del 1962, e a settembre dozzine di missili balistici di medio raggio vennero spediti verso l’isola. Il presidente Kennedy, informato dell’operazione il 16 ottobre, ordinò allora di bloccare il passaggio delle navi sovietiche tramite un blocco navale, messo in atto a partire dal 22 ottobre.

I giorni che seguirono furono di altissima tensione per i vertici di tutto il mondo. Dopo una serie di azioni diplomatiche, si giunse tuttavia ad un accordo tra i due presidenti. Chruščëv chiese ed ottenne uno scambio: l’Urss avrebbe ritirato i propri missili da Cuba se gli Stati Uniti avessero fatto altrettanto in Turchia e si fossero impegnati a non invadere l’isola.

L’incidente all’aereoporto di Pristina

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Un altro caso in cui si è sfiorato un conflitto a livello mondiale con protagonisti gli Stati Uniti e la Russia riguarda la guerra in Kosovo del 1999.

In quell’occasione, le truppe NATO erano presenti in Kosovo con la missione KFOR su mandato delle Nazioni Unite con lo scopo di proteggere la popolazione civile. Il Paese era stato diviso in diversi settori amministrati dalle forze di peacekeeping. di cui quattro affidati a Paesi europei, e uno agli Stati Uniti. La Russia, dell’allora Borís Élcin, si sentì allora privata del proprio «legittimo posto nelle forze di pace» per non aver ottenuto un settore esclusivo da amministrare.

Élcin inviò dunque un contingente di 200 uomini in Kosovo per occupare l’aereoporto della capitale Pristina. Il generale statunitense, Wesley Clark, comandante supremo della NATO, ordinò allora ad un contingente di paracadutisti britannici e francesi di prendere il controllo dell’aereoporto.

Tuttavia, il generale britannico Mike Jackson, comandante della KFOR della NATO, si rifiutò di eseguire tale ordine per evitare lo scontro con i russi. «Non ho intenzione di iniziare la terza guerra mondiale per te», le parole di Jackson. Alla fine, le forze di peacemaking russe vennero distribuite su tutto il Kosovo dopo due settimane di stallo. Il generale Clark fu sollevato dall’incarico per «problemi di integrità e carattere», come dichiarato da Hugh Shelton, presidente dei capi di stato maggiore congiunti degli Stati Uniti.


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