SaturDie Ep.22 – Delitto di Cogne

Più di un semplice infanticidio

di Gaia Vetrano
21 Min.

Al concetto di infanticidio non siamo molto abituati. Sarà forse per questo che il delitto di Cogne fece molto rumore.

L’Italia è quella dell’inizio del terzo millennio.

La storia che racconteremo oggi è una di quelle a cui si fatica a credere. Ci si affanna a provare a comprendere le motivazioni dietro tali gesta. A trovare una sola spiegazione. Ma difficilmente si può trovare un po’ di razionalità dietro il brutale omicidio di un bambino.

Più di un semplice caso di cronaca nera. Tale da spaccare in due una comunità, tra chi è cinico e chi si rifiuta di accettare la realtà.

Tutto ha inizio un freddo lunedì del gennaio del 2002 in uno chalet di montagna. No, non è l’incipit di un film giallo. La storia che vi stiamo per raccontare è stata capace di lasciare un segno molto più profondo al luogo dove si è verificato: Cogne.

Fotografia di Cogne

Più precisamente una piccola frazione, quella di Montroz. Nel cuore della Valle d’Aosta, tra le cime e gli alberi innevati, le casette in legna e le superfici dei laghi ghiacciati.

 Al governo c’è Silvio Berlusconi e in Italia si è detto addio alla lira. il nuovo millennio non sembra voler portare pace: l’anno prima il disastro del G8 e l’attentato alle Torri Gemelle. Osama Bin Laden sembra essere il nemico numero 1 e in televisione non si parla d’altro. Quando però non va in onda il telegiornale, la novità principale sembra essere il Grande Fratello.

I reality show sono, infatti, appena arrivati in Italia, mentre in radio passa Elisa con “Luce”.

Il 30 gennaio del 2002 a Cogne fa, ovviamente, freddo. È ancora presto: la luce è soffusa e si fa fatica a immaginare un po’ di tepore al di fuori delle mura di casa. Il crepuscolo precede l’avvento vero e proprio del Sole. È quel momento di passaggio in cui ancora c’è la Luna ma si iniziano a irradiare per l’atmosfera i primi raggi solari.

Eppure il buio è ancora presente, e non sembra andarsene via con la mattinata. E no, non ci riferiamo al buio di una stanza, o a delle insegne spente. Neanche al buio della piazza principale del paese le prime ore del mattino. 

Montroz, in provincia di Cogne

Parliamo dell’oscurità nella quale sprofonderà Cogne quel 30 gennaio 2002 e da quale farà fatica a uscire.

Montroz è un paese piccolo. Se qualcuno accende una luce da dentro una stanza, da fuori sei in grado di vederla e di chiederti cosa stia succedendo al suo interno. C’è una chiesa, un alimentare. Qualche passante ogni tanto. Tutti tra loro si conoscono.

Della Valle d’Aosta si parla poco, e sempre bene. È la piccola regione d’Italia con una sola provincia, Aosta, che qualche coppia sceglie comunque di eleggere come nido d’amore.

Tra questi Annamaria Franzoni e Stefano Lorenzi, che si conoscono per caso quando ancora lei era impiegata al B&B di alcuni amici, lui in vacanza. Entrambi sono emiliani, ma a Cogne si integrano subito.

Quello di Cogne è uno scenario idilliaco fatto di vallate, aria pulita, mucche al pascolo e verde a perdita d’occhio. Qualcuno dice che sia la meta migliore per ritrovare sé stessi. La quiete è tale che perdersi la porta di casa aperta non è un problema. È di coloro che si ha in casa di cui bisogna avere paura.

Annamaria Franzoni, madre della vittima del delitto di Cogne
Annamaria Franzoni

Il 30 gennaio 2002 nella casa di Stefano e Annamaria succede qualcosa che riempie facilmente gli spazi mediatici. Lei è ormai una casalinga, dedita al focolare e alla cura dei piccoli. Ciò che della donna colpisce è la sua bellezza. I suoi due bambini, Samuele e Davide, sono il suo unico pensiero.

Dagli altri abitanti del paese è conosciuta proprio per questo. Tutti adorano questa splendida coppia.

Quel lunedì di gennaio, Annamaria torna a casa dopo aver accompagnato Davide alla fermata dell’autobus. Il bambino si era lamentato parecchio, non aveva tanta voglia di andare a scuola. Ma la mamma, da brava educatrice, aveva insistito affinché non facesse un’assenza inutile. Tornata a casa, le spettavano le solite faccende domestiche.

Samuele, la vittima del delitto di Cogne
Il piccolo Samuele

Ciò che invece ritrova è l’orrore. Samuele, il suo secondo figlio, era ancora sul lettone dei suoi genitori, dove Annamaria lo aveva lasciato prima di raggiungere Davide alla fermata, a cui il bambino era arrivato in bicicletta.

Quando vede il figlio, chiama il centralino del 118. Annamaria è disperata, per gli operatori è difficile capire cosa stia accadendo.

«Vomita sangue! Gli sta scoppiando la testa!»

Sono le 8:28 quando Annamaria chiama una sua amica, nonché medico di famiglia. Samuele sta perdendo sangue dalla bocca, non sa cosa fare per aiutarlo.

Quando i soccorsi arrivano a casa dei Lorenzi, non vi è una sola lampada accesa, ma i riflettori di una nazione intera.

Più di una coppia felice

Ciò che Annamaria continua a ripetere, è che a Samuele è scoppiato il cervello.

Alle 8:29 fa l’ultima chiamata della giornata. Vuole parlare con suo marito, Stefano, ma al posto suo risponde la sua segretaria. A questa, intima di comunicare al marito che deve tornare a casa perché il figlio è morto.

Annamaria Franzoni e Stefano Lorenzi vivono a Cogne dal 1993. Lei è di Montacuto Vallese, un paesino in provincia di Bologna. Nella sua famiglia è l’ultima di undici figli e, dopo la fine del liceo, comincia subito a lavorare in un hotel in Valle D’Aosta.

Durante la festa organizzata per Ferragosto incontra Stefano, bolognese. Quando la ragazza si siede in disparte, il giovane perito elettrotecnico si avvicina, e i due cominciano a parlare.

Il ragazzo ha un sogno, ossia quello di andare a vivere proprio a Cogne. Quando si trasferisce e, con l’aiuto del parroco riesce a trovare lavoro, gli manca solo una cosa: una donna con cui passare i restanti anni della sua vita. Questa è proprio Annamaria.

Pochi mesi dopo si sposano a Cogne, paese nel quale si integrano a tal punto che Stefano viene eletto consigliere comunale. Insieme costruiscono la loro casa, con un giardino e il tetto spiovente, come le dimore di montagna.

La casa di Annamaria e Stefano a Cogne

La loro abitazione è leggermente isolata dal centro del paese. Così, quando le pale dell’elicottero, la mattina del 30 gennaio 2002, si avvicinano alla casa di Annamaria e Stefano, destano un po’ di preoccupazione negli abitanti. Quando vi sono delle emergenze in luoghi così isolati, i mezzi aerei sono infatti i più sicuri per mandare i soccorsi.

Sul posto ci sono già Stefano, la dottoressa e amica di Annamaria e una vicina. Il corpo di Samuele viene portato fuori, avvolto in una coperta. Il medico dell’elisoccorso proverà a rianimare il bambino, ma nulla da fare. Samuele è morto, non può essere salvato. Alle 9:45 viene dichiarato morto.

I due genitori stanno vivendo un incubo che sembra appena essere cominciato.

Più di una semplice emorragia

La possibile arma del delitto

L’autopsia stabilisce che il piccolo Lorenzi non è morto per colpa di un’emorragia, ma a causa di innumerevoli colpi alla testa. L’arma del delitto potrebbe essere un mestolo in rame, un manganello, un bastone, oppure un qualsiasi oggetto di uso ornamentale.

La morte di Samuele diventa un caso nazionale: un bambino così piccolo ha perso la vita nell’unico posto nel quale non si poteva immaginare potesse accadere.

In casa dei Lorenzi arrivano subito dei membri del RIS di Parma, per analizzare eventuali tracce e cercare l’arma del delitto. I cronisti assediano Cogne e i suoi abitanti in cerca di qualcuno che possa spendere qualche parola in merito alla teoria più stravagante riguardo il colpevole dell’omicidio.

Qualcuno parla di setta satanica, altri di pedofili.

I fotografi inondano persino la chiesa il giorno dei funerali, 9 febbraio. Per garantire un attimo di respiro ai due genitori, il parroco è costretto a cacciarli via prima di cominciare la liturgia. Qualcuno insiste a mandare in diretta la messa.

I cronisti cominciano a parlare della morte di Samuele come momento culminante di una lite familiare, ma le indagini aspettano le eventuali conferme del RIS di Parma.

Attorno alla mamma di Samuele si crea un occhio di bue. Come se tutti aspettassero delle dichiarazioni da parte sua, che si rifiuta di parlare con i giornalisti e si mostra solo al fianco di suo marito, Stefano, spesso e volentieri con gli occhi rossi dal pianto.

La verità è molto più complessa di come sembra.

Ma quando arrivano le risposte da parte del RIS, l’opinione pubblica sa già chi additare come assassino. Infatti, il killer quella mattina aveva indosso il pigiama e gli zoccoli di Annamaria. Per molti, è lei l’assassina.

Pagina di giornale sul delitto di Cogne

Più di una casalinga, forse un’assassina

Annamaria ha paura di essere arrestata, così decide di confidarsi ai giornalisti. È la mattina del 10 marzo quando si reca a Studio Aperto. In diretta si mostra disperata a causa della perdita subita. Racconta di passare ore seduta alla finestra a pensare ai momenti felici con i suoi due figli.

Davanti alle telecamere piange, supplicando gli inquirenti di trovare l’assassino. Ripete che lei e Stefano hanno dei sospetti su chi potrebbe essere.

Durante il fuori onda, però, chiede al giornalista se pensa che abbia pianto troppo. In un momento come questo, mette a repentaglio la sua sincerità. Che stia recitando una messa in scena?

Quattro giorni dopo, il giudice per le indagini preliminari di Aosta ordina l’arresto di Annamaria. Secondo il GIP, il primo quadro frutto delle analisi del RIS è troppo grave per essere ignorato.

Il pigiama di Annamaria

Quello dell’arresto della Franzoni è la notizia del giorno. Due settimane dopo verrà scarcerata, per assenza di prove.

In tanti continuano a chiedersi dove sia l’arma del delitto, quale sia il movente e se davvero Annamaria sarebbe stata capace di uccidere suo figlio. D’altro canto, molti la accusano di stare mettendo in piedi un teatrino pur di sembrare innocente.

Qualcuno ritiene addirittura sia una squilibrata, a tal punto da togliere la vita di Samuele e dimenticarsi di averlo fatto.

L’avvocato Carlo Federico Grosso invita i due coniugi a mantenere un profilo basso davanti la stampa, ma il consiglio non viene ascoltato. Così si rivolgono a Carlo Taormina, che il padre di Annamaria vede in diretta su Porta a Porta.

Il 16 luglio, la Franzoni, seduta al Maurizio Costanzo Show, si rivolge all’assassino di Samuele e lo intima di parlare. Quando gli chiedono se è nuovamente incinta, la donna risponde che a domande così private non può fornire una risposta adeguata. Ma appena il conduttore le fa gli auguri per la nuova gravidanza, lei ringrazia.

Forse, Annamaria è molto più di una semplice casalinga. Forse è un’assassina, ma certamente è un personaggio pubblico.

Annamaria i giorni del processo

La donna viene sottoposta a cinque sedute psichiatriche. Il professore Francesco Barale, ordinario di Pavia, con Francesco De Fazio, ordinario di Medicina Legale di Modena, e Alessandra Luzzago, ordinaria di Psicopatia forense a Pavia.

Con tutti e tre si mostra collaborativa e prova a ricordarsi ogni particolare della mattinata, dimostrando ai periti di essere in grado di intendere e di volere. La donna soffre di disturbi di ansia, nulla di più.

La donna, inoltre, racconta agli psichiatri di un malore che aveva avuto la sera prima della morte di Samuele. Il 29 gennaio del 2002 lamentava infatti di pressione bassa, debolezza e mal di testa.

Addirittura racconta di aver sentito dei formicolii alle braccia e di essere quasi svenuta. A quel punto Stefano aveva chiamato il 118. Arrivata la dottoressa della Guardia Medica, Annamaria si era mostrata sorridente e tranquilla.

Stefano e Annamaria

Agli inquirenti la dottoressa dirà che la Franzoni aveva addirittura affermato che quella visita fosse una perdita di tempo, nonostante fosse stata lei qualche ora prima a supplicare Stefano di chiedere aiuto.

Per i dottori, Annamaria non ha nessun disturbo. Nel frattempo viene al mondo il suo terzo figlio.

Il 3 luglio 2003 viene richiesto il rinvio al giudizio, il processo sul delitto di Cogne inizia a settembre con un’udienza preliminare.

L’accusa sostiene che Annamaria sarebbe sprovvista di alibi. La donna non potrebbe dimostrare di essersi allontanata da casa, ma avrebbe al contrario avuto il tempo necessario per uccidere il bambino, lavarsi e uscire di casa.

Inoltre, all’interno dell’abitazione mancano tracce ematiche di soggetti terzi e non ci sono segni di effrazione. Persino la borsa che Annamaria aveva lasciato in camera per accompagnare Davide a scuola era rimasta esattamente dov’era. Nulla che lasci pensare che uno sconosciuto si fosse introdotto in casa per compiere un furto o addirittura violentare la donna.

L’elemento chiave è l’analisi delle tracce di sangue sul pigiama. La certezza è che l’assassino indossava gli indumenti e le ciabatte della Franzoni. Nessun estraneo avrebbe avuto il tempo, all’incirca otto minuti, per entrare in casa, vestirsi, compiere il delitto e uscire senza lasciare alcuna traccia.

Ad avvalorare ciò vi sono le dichiarazioni contrastanti della donna. Questa avrebbe prima dichiarato di aver lasciato la porta chiusa a chiave e di esserne del tutto certa. Quando però Stefano le fa notare che questa affermazione non deponeva a suo favore avrebbe ritrattato, cambiando la sua versione. Sostiene quindi di averla lasciata aperta, per non preoccupare Samuele. Chiunque sarebbe quindi potuto entrare.

Bugie che secondo gli inquirenti rendono poco credibile il racconto di Annamaria.

L’accusa sfrutta anche intercettazioni telefoniche. Giorni dopo il delitto la Franzoni avrebbe affermato al telefono con un’amica: «Non so cosa mi è succ…», subito corretta in «Non so cosa gli è successo».

Altre poterono rilevare conversazioni tra la moglie, il marito e i parenti nella quale si domandavano come provocare i vicini per spingerli a confessare la verità sul delitto di Cogne. Addirittura arrivando ad architettare svariati piani che riguardavano il ritrovamento della possibile arma del delitto nei giardini delle case vicine.

Il 19 luglio del 2004 arriva la sentenza. Annamaria e Stefano sono tornati a Bologna, per la precisione nella loro nuova casa a Ripoli. Quando la donna viene condannata a trent’anni di reclusione, la donna si aspettava un altro verdetto.

I due coniugi del delitto di Cogne
Stefano e Annamaria

A novembre 2004 Annamaria si trova a Porta a Porta. Bruno Vespa le chiede se è possibile che lei abbia rimosso di aver ucciso Samuele. Quando le viene posta la domanda, la donna risponde di aver ricostruito pezzo per pezzo la mattinata e di essere sicura di non aver compiuto quel gesto, non avendone un motivo.

Nel frattempo l’avvocato Taormina presenta la richiesta di rinvio al giudizio, dando il via al secondo appello. Il presidente della Corte d’Assise d’Appello di Torino chiede una nuova perizia alla quale Annamaria non collabora.

I medici analizzano quindi le interviste e propongono un nuovo ritratto della donna, nel quale viene descritta come immatura, priva di autonomia e di empatia, con tendenza alla rimozione. Personalità con tratti isterici. Quando la donna, infatti, descrive lo scenario nel quale aveva ritrovato Samuele, non parla mai di dolore. Non si chiede nemmeno se il bambino abbia sofferto.

I periti giungono quindi a una conclusione: suppongono che Annamaria abbia agito in quello che si chiama stato crepuscolare. Chi lo manifesta può compiere attività complesse, come anche mangiare, senza però rendersi conto di quello che gli accade intorno. Per poi dimenticarsi tutto.

Il malessere sofferto la notte prima dell’omicidio sarebbe stato una crisi d’ansia all’interno della quale si sarebbe inserito lo stato crepuscolare.

Intanto il processo continua. Annamaria si dichiara insoddisfatta dal sistema di giustizia italiano, che la addita come unica colpevole del delitto di Cogne. Poi abbandona l’aula, provocando così tanto scalpore da costringere Taormina ad abbandonare la difesa. Paola Savio diventa così il nuovo legale, questa volta d’ufficio.

Il 27 aprile arriva la nuova sentenza: alla donna non viene riconosciuta alcuna infermità mentale. Il suo comportamento dopo il delitto non è compatibile allo stato crepuscolare. La mattina del 30 gennaio 2002 ha quindi agito con raziocinio.

Annamaria Franzoni viene condannata a sedici anni di carcere per l’omicidio di Samuele Lorenzi. Pena più mite perché le vengono riconosciute alcune attenuanti. Nel 2008 la Corte di Cassazione conferma la condanna.

 Attualmente è agli arresti domiciliari e continua a proclamarsi innocente. Verrà mai fuori la verità?


Le foto presenti in questo articolo provengono da internet e si ritengono di libero utilizzo. Se un’immagine pubblicata risulta essere protetta da copyright, il legittimo proprietario può contattare lo staff scrivendo all’indirizzo email riportato nella sezione “Contatti” del sito: l’immagine sarà rimossa o accompagnata dalla firma dell’autore.

Articoli Correlati