SaturDie Ep.17 – Pietro Maso: il caso che sconvolse l’Italia

Delitto di Montecchia di Crosara

di Gaia Vetrano
30 Min.

Tra tutti i racconti che vi abbiamo narrato, questo può forse lasciare più facilmente il segno. Se la ricetta per un delitto indimenticabile vede come protagonista una figura di spicco, oggi vi raccontiamo di persone comuni. Eppure, Pietro Maso risulta essere straordinariamente fuori dal comune.

Quando parliamo di psicologia, questo è un tema che suscita sempre grande interesse. Di disturbo narcisistico, per esempio, si parla tanto, forse anche a sproposito. Gli individui che ne mostrano i tratti hanno spesso idee di grandiosità, mancanza di empatia e bisogno di ammirazione.

Il più delle volte tendono a difendersi mostrando superiorità e arroganza davanti a ciò che ritengono potrebbe mettere a rischio il proprio onore. Sono molto spesso assorbiti dal loro stesso ego, e talvolta farneticano riguardo un futuro di gloria e fama, dove loro ne sono i protagonisti assoluti.

Il narcisista dimostra di pensare di essere estremamente brillante o attraente, e sostiene quanto gli altri siano onorati di avere la compagnia di una persona del suo calibro. Si vanta di successo, potere o bellezza illimitata.

D’altro canto, già dal nome Narciso torniamo indietro all’epoca classica e al mito, nel quale un giovane tanto bello quanto insensibile viene punito dagli dèi perché talmente pieno di sé da respingere le attenzioni dello stesso Eros. Solo Aminia sembrò non arrendersi, ma ad esso Narciso regalò addirittura una spada, con cui lo esortò a suicidarsi.

Il suo corteggiatore ascoltò l’invito, trafiggendosi l’addome mentre supplicava gli dèi di essere vendicato. Narciso, ammirando così il suo volto sulla superficie di un lago, si innamorò di sé stesso. In un attimo venne sopraffatto dal pentimento e dai sensi di colpa. Non sapendo come liberarsi da questa sofferenza, prese la lama regalata ad Aminia e si uccise.

Narciso dipinto da Caravaggio

Il suo sangue uscì a fiotti dalla ferita e si tramutò in fiori.

Il volare troppo in alto implica il “credere” troppo nelle proprie ali e il non rispettare il limite; il volare troppo in basso vuol dire rinunciare e non alzarsi mai da terra.

Per Heinz Kohut il narcisismo è la coesione tra grandiosità e idealizzazione. Ma soprattutto, i disturbi che caratterizzano il narcisismo, presi singolarmente, non per forza comportano la diagnosi di questo. Insomma, una buona autostima non sempre ne è indice.

Heinz Kohut

Per Kohut nasce quando vi è un blocco nello sviluppo sano del proprio Sé, e spesso questo si verifica a causa di una serie di fallimenti ambientali. Al soggetto vengono quindi negati quei bisogni che gli avrebbero permesso di crescere con un Sé equilibrato.

Infatti, ogni bambino durante la fase di crescita, tende a salvaguardarsi sviluppando un “Sé grandioso-esibizionista” e la “imago parentale idealizzata”. In questo modo il suo obiettivo è quello che tutte le attenzioni rimangano incentrate su di lui, questo tramite il ruolo chiave dei genitori.

In particolare, l’assenza da parte delle figure genitoriali determina un mancato sviluppo del Sé grandioso, che non si integra per formarne uno più maturo. Addirittura, il bambino arriverà a identificarsi in ciò che immaginava fosse il ruolo della madre o del padre, cioè quello di una figura di potere e bontà.

L’ambivalenza è quindi chiave del disturbo narcisistico, e lo rende a tutti gli effetti un fenomeno particolarmente complesso.

A volte, da piccoli ci divertiamo a giocare e a interpretare ruoli che non ci appartengono. Mettiamo in scena vite che non sono le nostre e, ogni tanto, speriamo sia ancora possibile prendere parte a recite, così da estraniarci dalle nostre esistenze.

Ebbene, per il Narciso, la propria vita è al centro di tutto. Ma a volte si rimane per così tanto tempo bloccati all’interno del proprio costume, da restare intrappolati. La cerniera del proprio abito non si alza, ma si blocca.

Oscar Wilde

Per chi commette un delitto, le promesse che fino a qualche istante prima aveva giurato di mantenere, vanno all’infamia. Le persone che fino a quel momento avevano fatto parte della tua vita svaniscono nel nulla. E, per chi uccide preso da turbinii incontrollati, è questione di istanti prima di rendersi conto di cosa si è compiuto.

Uccidere è volgare. Brutale. Il delitto è un’esclusiva delle classi inferiori, un metodo che viene usato per raggiungere straordinarie sensazioni. O almeno, così diceva Oscar Wilde. Ma non sempre la fantasia stenta a rispecchiare la realtà. Al contrario, a volte è una il riflesso dell’altra, come la pozza d’acqua nel quale si specchiava Narciso.

Non serve una notte buia e tempestosa per dare inizio alla nostra storia, perché questa è già cominciata. E ha anche un nome, quello di Pietro Maso.

Per ogni società, epoca e luogo, soprattutto quelli che ritengono essere felici, è complesso rendersi conto degli angoli bui. Guardando da lontano un immenso mosaico, è difficile notare quella tessera mancante. Anche l’Italia è tra questi, soprattutto quando si parla di salute mentale.

Sono gli anni Novanta, forse fa ancora troppo strano parlarne. Al governo, per la sua ultima volta, c’è Andreotti. Il Partito Comunista si è sciolto e gli Anni di Piombo sono terminati. Anche il muro di Berlino è caduto: finalmente si comincia a respirare una nuova era. Dentro ogni casa c’è almeno un televisore acceso su “Non è la Rai” mentre alla radio vanno Lucio Dalla o Michael Jackson.

Anche i paesini di poche anime sono ora al centro dei notiziari, ma in molti continuano a cercare la fortuna all’estero. Questo nonostante il fatto che il Nord – Est del paese abbia appena conosciuto una notevole ricrescita economica. Il settore agricolo va bene, e ciò incoraggia.

Montecchia di Crosara, in provincia di Verona, è uno di quei paesini che vive di colture. È un angolo incastonato nel Veneto. Ogni volta che piove i cittadini si preoccupano particolarmente. Eppure, molti degli abitanti si sono arricchiti tanto che un po’ di acqua non è un grande dramma.

Montecchia di Crosara

Guadagnare cifre immense di denaro è un’impresa ardua, ma diventa meno complicata se si ha l’occhio per gli affari. O un po’ di fortuna. Ebbene, Antonio Maso e Mariarosa Tessari sono proprietari di una grande eredità, di cui sono fieri. Eppure, gestirli non è tanto facile. Sono una coppia di imprenditori agricoli che nella vita ce l’ha fatta e a cui molti guarda con invidia.

Ma Montecchia è una cittadina come le altre, fatta da qualche bar, la piazza principale, le passeggiate al tramonto. Stralci di vita quotidiana, dove è raro trovare una nota dissonante. Fuori dal coro. Parliamo di un esemplare di spicco del disturbo narcisistico. Proprio Pietro Maso.

Per queste strade ci cresce, assistito dallo sguardo vigile di San Pietro, di Antonio e Mariarosa. È il terzo figlio, prima di lui le sorelle Laura e Nadia. Una famiglia come le altre che anzi, sembrerebbe addirittura quella dei film. Un tenero quadretto dove la mamma cucina tutti i giorni ottime pietanze da servire per i propri commensali, che vengono consumate non prima di aver recitato la solita preghiera.

Antonio e Mariateresa

Perché la famiglia Maso ci tiene tanto alla religione. Quando si può si va sempre a messa, tutti insieme. Non solo la domenica, se possibile. In fondo, è proprio Dio che ha spronato Antonio a lavorare, e gli ha permesso di ottenere il proprio denaro tramite immensi sacrifici, e di mettere su la semplice villetta nel quale vive. Nulla di troppo eccessivo.

Ma dell’infanzia di Pietro vi parleremo dopo. Come vi abbiamo detto, basta poco per spaventare la comunità di Montecchia, come un temporale il 17 aprile. O un omicidio.

Immaginate di trovarvi nella vostra casa e di vedere il figlio del vicino di casa accorrere verso la vostra porta e suonare con insistenza al campanello. Appena vi apre lo vedete fradicio e tremante. Gli offrite una coperta, un ombrello, magari una tisana calda, ma lui rifiuta, perché ha fretta e bisogno di aiuto.

Quando gli chiedete quale sia il problema, lui indica spaventato casa sua, e vi ripete di aver visto nel pianerottolo delle scale un corpo, ma ha paura di capire chi sia.

Così decidete di mettervi il cappotto e seguire il giovane di cui tanto vi fidate, avendolo visto in fasce. La scena nell’androne della casa accanto è raccapricciante. Il signore Antonio Maso e sua moglie Mariarosa Tessari giacciono a terra. Il loro sangue ha macchiato il pavimento e i tappeti, ma è sparso un po’ ovunque. Segno di una mattanza orribile.

Immediatamente correte a casa per chiamare la Polizia. L’immagine del sangue sparso sugli elementi d’arredo vi rimane impressa in mente. Nel frattempo, il piccolo, che non è altro che Pietro Maso, è così spaventato da avere bisogno dell’aiuto dei paramedici per calmarsi.

Eppure, non tutto di questa storia è come sembra. D’altro canto, “innocenza” fa proprio rima con “violenza”. La stessa di cui il puro Narciso si macchia. La stessa di cui anche Pietro Maso è colpevole.

Il 17 aprile 1991, le colline di Montecchia di Crosara si riempiono di narcisi.

Nessuno sarebbe disposto a uccidere i propri genitori

Pietro Maso è un giovane dal bell’aspetto, ma dall’anima deturpata. Un fiore appassito.

È il 17 luglio 1971 quando Mariarosa Tessari dà alla luce Pietro, il suo terzo figlio. Ad accoglierlo ci sono Antonio e le due sorelle. Ma anche ore di malattia. Si ammala di meningite e addirittura i medici temono non riuscirà a superare la notte.

I genitori di questo sono preoccupati, ma Pietro sopravvive. Ha un sistema immunitario però molto fragile, e per questo motivo durante i primi anni di vita si ammala spesso, faticando a passare il tempo con i propri coetanei. Per tutto questo tempo non viene abbandonato dalla famiglia.

La mamma è dedita alla casa, il padre lavora a testa alta. La terra ripaga bene i loro sacrifici, che si trasformano in soldi da investire per il futuro dei propri figli. Ma questo non basta per Pietro.

E’ un adolescente come gli altri, con desideri e ambizioni che non si rispecchiano con quelle dei suoi concittadini, che vogliono solo a lavorare la terra. Lui pensa in grande. Vuole una quotidianità diversa. I suoi genitori la pensano così, e mai si concedono a momenti di unione familiare.

Narciso

Talmente concentrati a non far mancare nulla alla propria prole, dal denaro necessario alla propria istruzione fino a quello necessario a vacanze e svago, da perdere di vista la cosa più importante: l’affetto.

Antonio e Mariarosa non sono crudeli, ma indaffarati. Non si concentrano su cosa stia succedendo nella vita dei suoi figli. Così, Pietro a diciannove anni vive per emergere dalla folla. Per ottenere le attenzioni delle belle donne, che può conquistare facendole girare sulle sue macchine lussuose e portandole a cena in poti eleganti.

Sogna una vita mondana, lontana dal Veneto. Sceglie per sé abiti lussuosi, che ogni era indossa per recarsi al pub del paese, il Don John. Lì gioca a biliardo con gli amici, si concede un attimo di svago. Non si fa problemi né a scommettere, né a bere. Ma lui non si accontenta di ciò che la notte gli può offrire.

Vuole diventare un punto di riferimento per altre persone. Un guru, simbolo di opulenza e fascino. Bello e spigliato. Irraggiungibile.

Così, cerca sempre di stupire chi lo frequenta, comportandosi in maniera disinibita ed eccentrica. Diventa un’ossessione per lui il volere stare sempre sulla bocca di tutti. Talmente preso dal far parlare di sé da neanche godere del momento stesso. Ciò che ha non gli basta mai. Le donne crollano ai suoi piedi, mentre gli altri uomini della città sognano di essere come lui.

Tra questi anche Giorgio Carbognin, un diciottenne che in Maso vede un modello da seguire. Gli chiede di insegnargli a diventare come lui. Pietro gli fornisce lezioni sul suo stile di vita, lo accompagna dal sarto. Lo trasforma nella sua esatta copia. Fa lo stesso con Paolo Cavazza e Damiano Burato.

Da sinistra, Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza e Pietro Maso durante un’udienza del processo del 1992 per l’omicidio dei genitori di Pietro

Di sé stesso parlerà sempre non in modo unico, ma scindendo la sua personalità in due. Ai giudici, psicologi e giornalisti, Pietro racconta di aver sentito dentro di sé una presenza che cercava di uscire fuori. Quando ne parla la chiama Maso, e la descrive come egoista e malvagia. Quest’ultimo ripudia Pietro, ritenendolo debole.

Maso è l’antagonista amante del lusso e del denaro che vuole emergere. Soffoca Pietro e lo prevarica, rendendo il giovane un mostro narcisista e crudele. Ricordiamo infatti non si tratti di una personalità multipla, ma un lato di sé nascosto.

Quando a diciannove anni ha bisogno di soldi per continuare a mantenere il suo stile di vita, quelli che la sua famiglia gli fornisce non bastano. Nonostante sia al verde, lavorare da commesso non fa per lui. Non sopporta dover passare giornate intere dietro la cassa, a meno che ciò non gli dia la possibilità di rubare da lì i contanti.

Facendolo, riesce a sottrarre duecento cinquanta mila lire, che usa per fare shopping sfrenato. Ma migliaia di vestiti non gli bastano mai. Nel frattempo litiga con i suoi genitori, che gli chiedono per quale motivo non continui a lavorare.

Maso inghiotte Pietro, mentre ricerca il gesto plateale necessario per distinguerlo definitivamente dagli altri.

Serve qualcosa che mai nessuno sarebbe disposto a compiere. Perché nessuno è come Maso. Nessuno sarebbe disposto a uccidere i propri genitori.

La terza è sempre la volta buona

Premeditare un omicidio non è facile.

Maso una volta ci aveva già provato a sterminare la sua famiglia: voleva far saltare in aria casa sua sfruttando una fuga di gas nel seminterrato. Nella cantina, infatti, Pietro nasconde alcune bombole e una centralina di luci psichedeliche che si accendevano nel captare un forte suono, come quello di una sveglia. Secondo il suo piano, le scintille provocate dall’accensione delle lampadine avrebbero innescato una deflagrazione.

Ciò non accadde perché, nonostante le luci si fossero accese, Pietro si era dimenticato di aprire le manopole. L’idea era perfetta: un bel fuoco d’artificio che avrebbe illuminato la notte. Un fatale incidente.

Ai suoi genitori, però, non sfugge la presenza delle bombole, delle luci, e addirittura del cuscino che Maso aveva infilato nella cappa del camino per evitare che il gas uscisse. Così gli chiedono spiegazioni, ma lui è bravo a mentire.

Gli racconta che fosse l’occorrente per una festa e che dal focolare entrasse troppo freddo, così aveva provato a chiuderlo. È scocciato, gli dà fastidio quando gli vengono poste troppe domande.

Da solo sa di non potercela fare. Al Bar John può trovare il supporto necessario. Soprattutto quello di Giorgio, a cui chiede l’aiuto.

«Giorgio, per la nostra vita servono soldi. Quelli che abbiamo non bastano», si lamenta Maso. Poi, sorride beffardamente, mentre l’altro comincia a stilare una serie di posti dove una rapina potrebbe risultare fruttuosa. «No, uccidiamo i miei genitori e ci teniamo l’eredità».

A sentire le parole, Carbognin tentenna, ma accetta. Non si pone alcun problema, succube del carisma di Pietro. Insieme ne parlano, ma hanno bisogno di un terzo, così coinvolgono Paolo Cavazza. Questo è però riluttante, ma i due non accettano il no.

Per Pietro, per convincerlo, è sufficiente escluderlo dai loro giri. Non lo aspettano più  al Bar John per giocare, e non gli riservano il posto al tavolo. Alla fine, Cavazza crolla.

L’ultimo nella squadra è Damiano Burato, suo compagno fidato. I tre pendono tutti dalle labbra di Maso, che ormai ha perso l’ultimo briciolo di umanità che gli era rimasto. Guidato dalla follia, acquisisce dalla sua decisione una determinazione che mai aveva provato in vita sua. Sente di avere tra le mani il potere più alto di tutti, quello di decidere chi vive e chi muore.

Nella sua testa il piano è cristallino. Spera di riuscire a ottenere una cifra pari quasi a un milione di euro, che gli può servire per almeno un anno e mezzo. Ai suoi complici avrebbe dato il 20%, tranne a Damiano, a cui avrebbe regalato un amplificatore di sua proprietà.

Nel giro di un anno programmava di uccidere anche le sorelle Nadia e Laura, così da ottenere la restante parte dell’eredità. Poi, Damiano e Paolo. Solo Giorgio sarebbe rimasto, con cui programmava di dividere la cifra finale.

Con Carbognin pensa al come. Considerano subito l’avvelenamento, e comprano anche il veleno per topi necessario. Era sufficiente versarne un po’ nei bicchieri durante una delle cene di famiglia, e il gioco era fatto. Eppure, era improbabile che nessuno dei commensali avvertisse l’odore forte e pungente che emanava. In particolare Mariarosa, che ha un olfatto spiccato.

I mesi passano, ma non riescono a trovare un piano convincente. Giorgio e Maso ci riprovano un’altra volta.

Pietro deve accompagnare sua mamma all’auto salone dove lavorava. Mariarosa ha infatti trovato dei soldi nei vestiti del figlio, e non capisce dove li abbia presi visto che era disoccupato da almeno un anno. Maso, così, dovendo dimostrare che non fosse coinvolto in alcuna rapina, come invece la mamma sospettava, le propone di andare a domandare lei stessa al suo vecchio datore di lavoro.

Alla madre e al figlio si unisce Carbognin, armato di uno schiaccia-bistecca. Secondo il piano, lontani da casa, Giorgio avrebbe colpito in testa Mariarosa, mentre l’altro guidava. Poi l’avrebbero buttata in un fosso. Durante la tratta in macchina Giorgio è nervoso, tremante. Il cuore gli batte a mille e continua a scambiarsi sguardi con Maso tramite lo specchietto.

Quest’ultimo guida per dieci chilometri tra le campagne, mentre aspetta il momento decisivo. Eppure, al giovane Carbognin durante il tragitto manca il coraggio. La donna gli sorride, lo conosce bene. Si fida di loro, anche del figlio, per cui nutre un profondo amore.

Pietro si accorge che c’è qualcosa che non va, così finge di bucare una ruota. Accosta e con una scusa esce a dare un’occhiata, chiedendo a Giorgio una mano. Fuori dall’auto si confronta e Carbognin confessa i suoi timori: è un piano troppo difficile, non se la sente.

Alla fine i tre torneranno a casa, non prima aver raccontato qualche altra balla sulla provenienza di quel denaro alla madre.

I due sono ancora troppo inesperti. Ma, d’altro canto, la terza è sempre la volta buona.

Pietro non esiste più, è stato inghiottito da Maso

Improvvisamente, dopo un anno di piani andati a vuoto, arriva un evento decisivo. La miccia necessaria.

Giorgio si fa prestare dal suo datore di lavoro 25milioni lire per comprarsi un’auto, e lo comunica contento a Maso. Quest’ultimo guarda il malloppo e gli propone di usarli per comprare da bere. In cambio, il giorno dopo sarebbero andati in banca e gli avrebbe fatto un assegno.

Tornato a casa quella notte, copia su un’agenda la firma della madre. Pagine e pagine in cui imita la sua calligrafia. Il giorno dopo si presenta in banca con un assegno falsificato di 25 milioni di lire, che gira al Carbognin.

La Lancia Delta Integrale di Giorgio

Nel giro di un paio di giorni la mamma si rende conto della grossa somma di denaro persa. È arrivato il momento di ucciderla. Il calendario segna il 17 aprile 1991. I quattro si danno appuntamento al Bar John. Poi Giorgio e Paolo vanno a casa di Pietro, mentre Maso si reca a casa di Damiano per recuperare delle tute da metalmeccanico, delle spranghe, delle maschere da diavolo e dei sacchi di nylon.

Mentre recuperano le armi, comincia a piovere. I quattro si ritrovano nel salotto di Maso e aspettano che la Antonio e Mariarosa ritornino a casa: come ogni mercoledì sono a un seminario, dove insieme ad altri fedeli studiano l’Antico Testamento. Quella sera il Signore volge il loro sguardo altrove.

56 anni Antonio, 48 Mariarosa. Prima di tornare a casa, passano addirittura davanti il Bar John, dove pensano si trovi Pietro, che avrà forse bisogno di un passaggio a casa. Quest’ultimo è invece seduto nel suo divano, stoico, mentre aspetta che ritornino a casa.

Damiano, Paolo e Giorgio simulano un blackout. Poi indossano le maschere, tranne Pietro. Lui la indossa già.

Appena la coppia apre la porta, la tensione è così alta da sovrastare il rumore della pioggia. Come un fulmine che squarcia il cielo, i quattro si accaniscono prima sul padre, e lo riempiono di sprangate. A ruota segue Mariarosa, che viene colpita da una padella.

I genitori si aggrappano alla vita, ma sono stremati. Giorgio finisce Antonio a pistoni, schiacciandogli il collo con lo stivale.

A infierire il colpo decisivo sulla madre sarà Pietro. Questo la guarda per l’ultima volta, illuminato dai bagliori dei fulmini. Per lui quella donna è un peso ingombrante. Così le riempie la bocca di cotone, poi si fa passare un sacco di nylon e la soffoca.

Sono passati esattamente 53 minuti. Un’ora di sofferenza prima che la mattanza finisca.

Maso nel suo riflesso non vede nulla. Non è come Narciso, che si innamora di sé stesso. Vede solo un pozzo di oscurità. Non sente trionfo né gloria. Un enorme buco nero che ha assorbito la sua luce.

Pietro non esiste più, è stato inghiottito da Maso.

Bisogna costruire un alibi e spostare i corpi. Questi non possono essere buttati nella immondizia, perché nessuno ha il coraggio di spostarli dal pavimento. Così guidano verso la discoteca, perché devono farsi vedere.

Ma Pietro non vuole andare a ballare, non sente nulla. Alle 2 se ne va, accompagna i complici alle loro abitazioni e poi torna a casa.

Dopodiché, corre verso casa del vicino, piangendo. Fradicio, chiama aiuto, disperato.

Mette su lo stesso teatrino da cui il nostro racconto è incominciato. Poi, va a casa delle sorelle, dove viene accudito. Al momento di andare a dormire, Maso lascia i suoi indumenti su una sedia. Non si accorge della macchia di sangue che ha sui pantaloni.

La fine dei giochi

Il giorno dopo, le autorità compiono i primi rilievi.

Il signor Antonio è sdraiato su un fianco, Mariarosa è supina. Attorno a loro c’è una discreta confusione. Nulla che lasci pensare a una rapina. Un ladro arraffa ciò che trova in bella vista, non crea il caos. Non ha il tempo per fare macello, buttare a terra vestiti e rompere i mobili.

Inoltre, da casa non manca nulla. Le lampadine svitate fanno intendere che il killer avesse avuto il tempo sufficiente per preoccuparsi anche dell’illuminazione giusta. E poi non ci sono segni di infrazione.

Attorno la casa si raduna tutto il paese, ma non si rende conto che il presunto assassino è proprio lì davanti, che recita la sua versione della storia con distacco. Tra le tante cose che dice, racconta di aver visto le gambe della madre mentre saliva le scale che portavano dal garage al soggiorno, ma secondo quanto riportato dagli inquirenti, ciò è impossibile.

Laura il giorno dopo lo chiama e gli dice che devono andare in banca. Lì gli mostrano l’assegno falsificato. Maso confessa di averli presi lui, ma non si capisce perché sia intestato allora a Carbognin. Inoltre, gli inquirenti avevano da poco trovato l’agenda dove Pietro si era allenato a falsificare la firma della mamma.

In meno di 48 ore dal delitto Maso viene portato in caserma, insieme ai suoi tre amici. A uno a uno vengono interrogati. Quando Paolo torna dall’interrogatorio a Pietro gli sussurra: «Assassino».

I tre confessano. Maso, davanti gli inquirenti non vuole parlare. Come sempre scocciato, gli dice che ciò che gli altri hanno detto va bene. Pietro è arrivato al capolinea. È la fine dei giochi.

Il processo è il suo gran finale. In tribunale si presenta con uno dei suoi completi eleganti e un foulard a pois. I capelli pettinati all’indietro e un sorriso beffardo. Non mostra pentimento, ma solo egocentrismo. Maso ride a chi urla si meriti l’ergastolo. Spera soltanto che questa scocciatura abbia fine perché ha sempre odiato chi gli pone troppe domande.

Sulla base dei suoi atteggiamenti richiederanno una perizia psichiatrica, che gli diagnosticherà un disturbo narcisistico, che però non ha un’influenza tanto forte da non privarlo della capacità di intendere e di volere. Il giudice gli riconosce trent’anni di reclusione.

Le sorelle chiudono l’eredità e i contatti con lui. In un’intervista a la Repubblica del 5 febbraio 2007 Maso dichiarò che molti ragazzi gli scrivessero per chiedergli consigli, trovandosi nella sua situazione. Dopo tre anni di carcere arriva il pentimento e, sotto la guida di Don Guido Todeschini, direttore di Telepace, chiede il perdono delle sorelle.

Dal 2015 è un uomo libero. Pietro cadrà vittima della cocaina. I soldi non gli bastano: un giorno confesserà di voler uccidere le sorelle per trovare il denaro. Per questo motivo perderà nuovamente i contatti con Nadia e Laura, oggi sotto scorta.

Oggi Pietro Maso abita nel veronese. Si trova a Settimo di Pescantina, dove lavora come giardiniere per la parrocchia. Per il momento, questo è tutto ciò che gli resta.

Scritto da Gaia Vetrano


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