SaturDie EP.1 – Il Mostro di Firenze

Certe storie si raccontano solo di SaturDie

di Naomi Campagna
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 17 Min.

Negli anni ’80 una serie di brutali omicidi terrorizza Firenze e i comuni limitrofi.

Le campagne della Toscana diventano scenario perfetto per le morti sanguinose di giovani coppieassassinate e mutilate con il favore della notte.

Quelli che inizialmente sembrano “delitti passionali”, vendette o episodi isolati, cominciano a suscitare forti sospetti. Tutti hanno in comune la morte di coppie di fidanzati o amanti, perlopiù appartate in auto ai margini di stradine di campagna. 

I massacri avvengono nelle ore notturne. Spari, accoltellamenti, i corpi delle donne violati e sfregiati. Le analogie presenti nei casi sono già evidenti, ma la prova definitiva della loro correlazione sono i proiettili ritrovati sulle scene dei crimini, provenienti da una Beretta calibro 22.

È ormai chiaro che vi sia uno schema in atto, ma nessuna certezza riguardo al suo mandante. Per la prima volta in Italia si parla dell’esistenza di un Serial Killer, chiamato “il maniaco delle coppiette”, ma che il mondo avrebbe poi ribattezzato come: Il Mostro di Firenze.

Il primo omicidio

E’ l’estate del ’68. Una coppia di amanti, Antonio Lo Bianco e Barbara Locci, uscita dal cinema, decide di appartarsi nell’auto di lui.

Antonio parcheggia la propria Alfa Romeo bianca nei pressi del cimitero di Signa, comune vicino Firenze. Poco dopo una figura si avvicina all’auto e spara 8 colpi di pistola. Barbara e Antonio muoiono l’uno accanto all’altro, uccisi da 4 proiettili ciascuno. Eppure, i due non sono da soli: sul sedile posteriore del veicolo, dorme il piccolo Natalino, figlio della donna.

Natale Mele ha solamente 6 anni, quando, al suo risveglio, si rende conto che la madre e lo “zio” sono morti. Il bambino cammina per circa 2 km, prima di arrivare alla casa più vicina e chiedere aiuto.

“Aprimi la porta perché ho sonno, ed ho il babbo ammalato a letto. Dopo mi accompagni a casa perché c’è la mi’ mamma e lo zio che sono morti in macchina.” dice Natalino, bussando alla porta di casa del suo soccorritore. Grazie alle indicazioni del piccolo, alle 2 del mattino del 21 Agosto del ’68, i carabinieri scoprono con orrore i corpi esanimi dei due amanti.

Il primo indagato è proprio il marito della donna, Stefano Mele, accusato di aver ucciso i due “per gelosia”. Mele incolpa gli altri due amanti della moglie, Salvatore e Francesco Vinci, di essere gli artefici del crimine. Alla fine, dopo 12 ore di interrogatorio, confessa di essere stato lui.

Mele sa quanti proiettili hanno colpito le vittime, è a conoscenza del fatto che manca una scarpa ad Antonio Lo bianco, ma allo stesso tempo non è in grado di riferire agli inquirenti da quale finestrino ha sparato i colpi e si dimostra incapace di impugnare una pistola.

Il piccolo Natalino afferma da subito di non aver visto nulla, perché stava dormendo, ma poi inaspettatamente dichiara che il padre sia l’assassino. Stefano Mele viene condannato a 14 anni di reclusione.

Durante il processo a Mele, Giuseppe Barranca, collega dell’imputato (nonché altro amante di Barbara Locci) depone per il caso, asserendo che la donna gli avesse confidato di essere seguita da un uomo in moto. Inoltre, in un’occasione, Barbara rifiuta di uscire con Giuseppe, poiché teme che qualcuno possa sparargli si trovano in macchina.

Trascorrono 15 anni prima che l’omicidio venga ricollegato al suo reale assassino, il Mostro di Firenze.

Lo schema del mostro

I più famigerati Serial Killer della storia hanno, a loro modo, un movente per uccidere, e nel farlo adottano un preciso modus operandi per ogni vittima, coerente ai propri desideri, che diventa la “firma” identificativa dell’assassino. 

La maggior parte dei Killer, inoltre, sceglie le proprie vittime per caratteristiche precise: Ed Gein uccideva e mangiava ragazze che somigliavano alla madre, Aileen Wournos prende di mira gli uomini per colmare il desiderio di potere e prevaricazione sul genere maschile. Ted Bundy massacra donne che somigliavano alla ragazza che lo aveva respinto da giovane.

Si pensa che il Mostro di Firenze agisca guidato da questo stesso movente: vendetta. Il Mostro non si limita a sparare alle coppiette appartate, come fa David Berkowitz “Il figlio di Sam”,  ma desidera profanare i loro corpi infierendo con armi da taglio e mutilazioni delle parti intime. 

In quasi tutti gli omicidi possiamo riconoscere la firma del Mostro, come nell’uccisione di Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini. I due fidanzati vengono ritrovati morti in auto, appartati in una strada di campagna del paesino di Sagginale. La notte del 14 Settembre del 1974, Pasquale e Stefania vengono centrati da 8 proiettili, 5 uccidono Pasquale e 3 feriscono Stefania. La donna, ancora viva, viene trascinata fuori dall’auto, sdraiata a terra e martoriata da 80 coltellate.

Quando è chiaro che Stefania sia morta, l’assassino la violenta con un tralcio di vite e infierisce con una decina di coltellate sul corpo del giovane Pasquale. Anche la Pettini, come Barbara Locci prima di lei, ha confidato ad un’amica di aver avuto un incontro “sgradevole con uno sconosciuto” e di essere stata pedinata durante una lezione di guida. Ciononostante, la polizia non è inizialmente in grado di collegare i due casi e devono consumarsi altri due omicidi prima che i giornali inizino a parlare del “maniaco delle coppiette”.

Gli assassinii di coppie che seguono, sono caratterizzati dalla rimozione chirurgica delle parti intime delle donne, come avviene nel caso di Carmela di Nuccio nell’81 e di Susanna Cambi, uccisa e mutilata nell’ottobre dello stesso anno. Dopo la morte di Susanna Cambi e del fidanzato Stefano Baldi, si riesce ad assemblare un primo identikit del carnefice che viene avvistato allontanarsi della scena del crimine da alcuni testimoni in zona. L’identikit viene pubblicato nel Giugno dell’82, poco dopo l’omicidio “chiave” di Paolo Mainardi e Antonella Migliorini, per cui è possibile collegare i tre casi a quello del ’68.

Comincia una caccia aperta all’uomo del ritratto. Il Mostro si macchia di 16 omicidi prima di essere catturato.

Le piste

Tante sono le ipotesi messe in gioco per cercare di dare una spiegazione agli eventi e mettere fine alla barbarie. Tra le più accreditate, figura l’ipotesi della correlazione con una setta satanica. Secondo questa pista, sarebbe coinvolto un medico e professore universitario di Perugia, Francesco Narducci, a capo di una società occulta chiamata “Rosa Rossa”. 

Queste informazioni vengono fornite nientemeno che dal Mostro del Circeo, Angelo Izzo, il quale conosce Narducci che lo ha informato, nei minimi particolari, della morte di Rossella Corazzin. Secondo il racconto di Izzo dei fatti avvenuti nel ’75, la ragazza è adescata, violentata e “sacrificata” per un rito satanico nella villa di Narducci, per cui però quest’ultimo non è mai stato incriminato. 

Il caso viene poi collegato a quello del Mostro di Firenze, teorizzando che Narducci potesse essere il mandante degli omicidi. L’ipotesi viene abbandonata per mancanza di prove, ma rimane incerta la natura della morte di Narducci che, ufficialmente muore suicida un mese dopo l’ultimo delitto del Mostro, ma in molti credono sia stato ucciso per paura che rivelasse la verità.

Altra ipotesi fu legata alla “pista sarda”. Si crede che gli autori appartengano ad un clan sardo che agisce per vendetta. Stefano Mele, il marito di Barbara Locci, è infatti di origini sarde.

Si pensa che la sua condanna per l’omicidio della moglie, abbia in qualche modo generato una reazione a catena di morti per mano dei “compagni” sardi del clan, per vendicarlo. La teoria viene abbandonata a fine anni 80 poiché del tutto congetturata in mancanza di prove

L’ultima ipotesi ruota attorno alla figura di un ex partigiano, Pietro Pacciani.

Quando nel 1991 iniziano le indagini su di lui, Pacciani sta scontando una condanna in carcere per lo stupro delle due figlie, Rossana e Graziella. Già nell’85, una lettera anonima suggerisce di indagare su di lui. La casa di Pacciani venne perquisita, ma non viene trovato niente di compromettente al suo interno. Eppure, erano molti gli indizi che portavano a lui.

Ma chi è Pietro Pacciani?

Identikit di un mostro

Pietro Pacciani nasce nel 1925 da una famiglia di contadini. Si arruola come partigiano nel ’44 (forse più per la sua propensione bellica che patriottica) dove gli viene affibbiato il soprannome di “Vampa”, cioè fiamma, per la sua indole irascibile. Infatti, nel 1951 si macchia del suo primo reato “Il Delitto di Tassinaia”, in cui uccide l’amante di Miranda Bugli, fidanzata dell’epoca, con 19 pugnalate. 

Sconta 13 anni di prigione. L’anno successivo alla sua scarcerazione avvenuta nel ’64, sposa Angiolina Manni da ha due figlie, Rossana e Graziella. Appena le due riescono a lasciare la casa di Pacciani, lo denunciano per gli abusi subiti. L’uomo, se così possiamo dire, picchia quotidianamente la moglie e la costringe ad avere rapporti sessuali, rinchiude in casa le figlie, violenta anche loro, da loro da mangiare cibo per cani, le costringe a guardare riviste pornografiche e imitare le pose in nudo delle modelle.

Nel ’91 hanno inizio le indagini a suo carico. La convinzione degli inquirenti è che Pacciani abbia un movente per uccidere: la vendetta. Le morti delle giovani coppie sono infatti la vendetta perfetta dopo il delitto di Tassinaia, per cui viene condannato. Pacciani uccide 16 volte eppure, fino a quel momento, nessuno riesce ad incriminarlo. Oltretutto, le torture inflitte sulle vittime donne, vengono viste come chiara proiezione di ciò che avrebbe voluto fare alla sua ex-fidanzata.

Altri indizi giocano a sfavore di Pacciani. Ad esempio, i luoghi dove il Mostro ha ucciso, sono anche luoghi a lui familiari: il paesino di Signa, in cui ha vissuto l’ex fidanzata e in cui il Mostro ha ucciso nel ’68. I comuni di Calenzano e Scandicci, dove la sua ex-ragazza si è trasferita in seguito e teatro dei due omicidi dell’81. Inoltre, Pacciani conserva ritagli di giornali in cui si parla del Mostro, foto di parti intime segnate e un foglio su cui è scritta la targa di un’auto appartenente ad una coppia uccisa nell’85.

Queste piste, insieme ad ulteriori ritrovamenti di bossoli ed oggetti rubati dalle borse delle donne uccise, decretano la cattura di Pietro Pacciani. Finalmente il Mostro di Firenze ha un volto.

Il processo: Il mostro e i suoi “compagni di merende”

Pacciani è arrestato il 17 Gennaio 1993. Il processo si conclude l’1 Novembre del 1994 con la sua condanna all’ergastolo per 14 omicidi (rispetto ai 16 di cui è imputato). Non è ritenuto responsabile del delitto del ’68. Tuttavia, il 13 Febbraio del 1996, viene assolto in secondo appello dalla Corte d’Assise di Firenze e quindi scarcerato.

Mesi dopo l’assoluzione, nel Dicembre del ’96, la Cassazione annulla la sentenza e prepara un nuovo processo che però non avrà mai inizio, dal momento che Pacciani muore il 22 Febbraio del ’98, alla vigilia della prima udienza.

Sappiamo che il Mostro non agisce da solo. Mario Vanni e Giancarlo Lotti, sono i nomi dei cosiddetti “compagni di merende”. Il primo è accusato della sua complicità dallo stesso Pacciani e, in seguito, Vanni denuncia Giancarlo Lotti.

Lotti e Vanni sono entrambi semi-analfabeti, dipendenti dall’alcol, dal gioco d’azzardo e alla prostituzione. È proprio Mario Vanni a coniare il soprannome che identificherà i due complici da quel momento. Alla domanda postagli in aula da un avvocato che gli chiede cosa facesse nella vita, Vanni risponde (ironicamente) “Io sono stato a fa’ delle merende co’ i’ Pacciani, no?”

Nel 2000, il “compagno” Vanni viene condannato al carcere a vita per duplice omicidio. Nel 2004 la pena viene sospesa per problemi di salute, poiché affetto da demenza senile. Viene ricoverato in una casa di riposo nei pressi di Firenze, dove muore nel 2009.

Il “compagno” Lotti invece collabora con la giustizia, fornendo i dettagli di alcuni omicidi a cui ha partecipato, come quello dell’84 in cui perdono la vita la 18enne Pia Gilda Rontini e il 21enne Claudio Stefanacci. Nonostante la sua collaborazione, non ottiene benefici di alcun tipo. Viene infatti condannato a 26 anni di reclusione. Due anni più tardi, nel Marzo del 2002, viene scarcerato per problemi di salute. Muore pochi giorni dopo per un tumore al fegato.

Fernando Pucci, amico dei tre compagni, è testimone chiave dei processi, deponendo contro Pacciani e Vanni. Malgrado anche Pucci fosse in un certo qual modo complice perché aveva assistito senza far nulla, non viene imputato in quanto affetto da Oligofrenia e ritenuto invalido.

Questo è, ad oggi, uno dei casi più intricati e oscuri della cronaca nera. Molte sono le persone coinvolte, centinaia le teorie sui presunti assassini, 16 in tutto sono le persone uccise dalla furia vendicativa, ma migliaia le ferite nei cuori di chi le ha perse. In quell’orrore, il Mostro non ha lasciato la firma solo sulle sue vittime, ma sull’Italia intera.

Scritto da Naomi Campagna


Certe storie si raccontano solo di SaturDie, la rubrica crime di Nxwss. Ma si possono anche ascoltare in versione podcast su Spotify ogni sabato alle 17

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Ovviamente, se la storia vi ha messo i brividi, condividetela con un amico. Se invece avete dei consigli per il miglioramento della rubrica, potete lasciare un commento qui sotto.

Il prossimo appuntamento di SaturDie sarà sabato 17 dicembre alle 14, con il secondo episodio.


SaturDie è prodotta dalla collaborazione tra Nxwss.com e Spotit. Scritto da Naomi Campagna, Voce di Gio Sabatino, supervisione editoriale di Gloria Pessina e Eduardo Serafino, grafiche di Chiara Caruso e Benedetta Lagani, post-produzione di Gianni Doia, coordinamento editoriale di Marileda Maggi.


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