Perfect Days (2023) di Wim Wenders | recensione

di Emanuele Fornito
5 Min.

Il leggendario regista Wim Wenders, autore di capolavori del calibro di Paris, Texas (1984) o Il cielo sopra Berlino (1987), torna al cinema dopo ben sei anni di assenza, e lo fa con un film davvero significativo e profondo: Perfect Days.

Perfect Days: vita e semplicità

Il regista tedesco sceglie Shibuya e un cast interamente giapponese (adattando di conseguenza anche la lingua originale a quella locale) per comporre una storia tanto semplice quanto profonda. Protagonista è Hirayama, un uomo che, per mestiere, gira per le strade della città per il progetto The Tokyo Toilet, un’iniziativa privata per la riqualificazione dei bagni pubblici giapponesi. Quella di Hirayama è una vita semplicissima, basata su una routine quasi ritualistica, da cui l’uomo non ha nessuna intenzione di distaccarsi. D’altronde, egli è solo, e, nonostante nulla (o quasi) sulla sua vita sia esplicitamente espresso, è possibile dedurre che l’uomo abbia sempre vissuto così. Hirayama, infatti, è un uomo di poche, pochissime, parole, immerso nella sua quotidianità e nel suo animo di osservatore, che subito lo differenzia dagli altri.

Una ricerca del passato

Definire Perfect Days una mera critica al modo di vivere contemporaneo è probabilmente una mezza verità, o una mezza bugia. Capiamo ciò quando Niko, sua nipote, scappa di casa e lo raggiunge, restando quasi incantata da un modo di vivere fatto di libri, giri in bici, e musica dei decenni passati. Qui, più che mai, lo spettatore è portato a riflettere sul confronto tra una ragazza infelice ed un uomo, che nella sua vita ripetitiva, riesce comunque a ritrovare una profonda ed intima felicità. E, in un certo senso, tutti vengono affascinati da questo mondo “analogico” che lo caratterizza. Hirayama ha sempre vissuto così, elevandosi ad una posizione di privilegio per non aver mai sperimentato la frenesia, il bisogno del “di più” o dell’ “ultima moda”, ma riuscendo, quasi in maniera stoica, a ritrovare pace interiore nella cura delle sue piante o nell’osservazione della bellezza del mondo.

Calpestare le ombre

Perfect Days, in un certo senso, è un film che è possibile comprendere soltanto alla fine. Più ci si avvicina al finale, più si coglie il profondo messaggio che Wenders vuole inviare. Particolarmente significativa è la sequenza in cui Hirayama incontra un uomo in fin di vita, ex-marito della donna che gestisce il locale abitualmente frequentato da lui. L’incontro conduce ad una riflessione esistenziale, in cui Hirayama ne resta, come lo spettatore, osservatore meravigliato e, in un’iniziativa puerile, decide di giocare con l’uomo a “calpestare le ombre”. E’ qui che Wenders ripone tutta la forza del suo messaggio, nella capacità di questi uomini di dimenticare tutti quei problemi che spesso e volentieri ci si autoimpone o si affrontano per cause esterne, riuscendo a trovare un genuino divertimento in quei giochi che, dopo l’infanzia, venivano abbandonati.

Bellezza tecnica ed estetica

In questo senso, Perfect Days diviene un profondo inno alla vita, alla semplicità, a quanto basti poco per trovare la più limpida e pura felicità, capace di portare alle lacrime un uomo soltanto grazie alla bellezza che egli riesce a cogliere tutti i giorni. Wenders dimostra, in questo film, tutta la sua maestria: ogni scena risulta curatissima, ogni inquadratura perfetta. Dal punto di vista estetico le sequenze lasciano a bocca aperta, compresi quegli squarci onirici che tuttavia lasciano ancora qualche dubbio. E, ancora più significative sono le immense panoramiche offerte durante i viaggi in macchina, coadiuvate da una fantastica scelta musicale, capace di comporre sequenze davvero emozionanti.

Perfect Days è un film che riesce a toccare l’anima, anche grazie ai diversi espedienti narrativi che, in silenzio, Wenders inserisce nella storia per rafforzare il messaggio proposto, come la partita a tris che, ogni giorno, Hirayama intraprende contro un avversario sconosciuto. Non ci resta altro che ringraziare il regista tedesco per un’opera che, soprattutto oggi, serve a tutti noi, poiché (utilizzando una frase non mia) infine il cinema è un gioco a calpestare le ombre.

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