Quando la medicina si deve fermare: il caso dei testimoni di Geova

di Sofia Ciatti
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 4 Min.

Testimoni di Geova, trasfusioni e sangue

La ricerca scientifica ha raggiunto successi sfolgoranti, in particolare in campo medico. In alcuni frangenti, tuttavia, la medicina è costretta a fare i conti con i precetti religiosi: è il caso dei Testimoni di Geova.
Nella pratica sanitaria si riscontra spesso la necessità di ricorrere a trasfusioni di sangue, soprattutto nelle terapie trapiantologiche (fegato, cuore, polmoni) per bilanciare le perdite ematiche e garantire un corretto equilibrio emodinamico.
Nel caso dei Testimoni di Geova donare e ricevere sangue è proibito severamente: nella loro ottica, il sangue è simbolo di vita, per cui solo Dio può togliere e rimettere la vita; dunque, solo Dio può “maneggiare” il sangue.
Questo peculiare aspetto religioso pone diversi problemi, non solo clinici, ma anche legali.

Testimoni di Geova

Cosa ci dice la legge?

Il nostro sistema giuridico disciplina in maniera chiara il rapporto tra diritto all’autodeterminazione, libertà religiosa e trattamento sanitario: può un Testimone di Geova rifiutare una trasfusione di sangue se assolutamente necessaria alla sua sopravvivenza? Può il medico rifiutarsi di effettuare questo trattamento senza incorrere nell’omissione di soccorso (reato previsto dal Codice penale) o nell’accusa di omicidio? Vediamo cosa dice la legge.

Come sappiamo, l’Italia è uno Stato laico, il che non vuol dire che non abbia una religione ufficiale, ma che rispetta tutte le religioni, comprese le meno diffuse.

Contestualmente, la nostra Costituzione vieta i trattamenti sanitari obbligatori, a meno che non siano indispensabili per la sicurezza o la salute pubblica (per esempio le campagne vaccinali imposte dalla legge per la prevenzione e il contrasto delle malattie infettive), quindi nessun medico può obbligare un Testimone di Geova ad accettare la trasfusione di sangue, neppure se necessaria a salvargli la vita.

Questo perché bisogna sempre garantire al Testimone di Geova la libertà all’autodeterminazione in materia di trattamento sanitario, a tutela di un’altra libertà: quella religiosa.

Cosa succede se un Testimone di Geova subisce una trasfusione pur non avendola mai autorizzata o avendo prestato successivamente il suo diniego? Avrà diritto al risarcimento del danno morale, poiché tale azione risulta ledere un diritto costituzionale, quello alla libertà religiosa.

Il caso della Testimone di Geova trasfusa contro la sua volontà finito in Cassazione

I fatti risalgono al 2009: una paziente Testimone di Geova, prima di sottoporsi ad un intervento chirurgico, aveva a più riprese sottolineato di non voler ricevere alcuna trasfusione di sangue.
Durante l’operazione i medici avevano però trasfuso ugualmente la paziente, ritenendo che, di fronte al pericolo di vita, il rifiuto espresso nelle disposizioni anticipate di trattamento non avesse più valore.
La donna aveva poi presentato un esposto per la violazione del suo diritto all’autodeterminazione.
La Corte d’Appello aveva però dato ragione ai medici: il pericolo di vita aveva reso inefficace il dissenso precedentemente pronunciato dalla paziente.
La vicenda si è conclusa, 13 anni dopo, lo scorso settembre, quando la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso della paziente, ha emesso una nuova sentenza: “la libera scelta che il soggetto compie su di sé, non può cedere a fronte di quella volta alla tutela del suo utile perimetro sanitario”. In altre parole, il medico chirurgo che pratica l’intervento dovrà agire nel rispetto della libertà religiosa del paziente, anche di fronte ad un eventuale pericolo di vita.
Qualora il medico non dovesse osservare questa disposizione, incorrerà nella lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente.

Scritto da Sofia Ciatti



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