Lettere dei soldati italiani: storia di una prigionia dimenticata

di Mirko Aufiero
9 Min.

8 settembre 1943: dopo la resa dell’Italia i nazisti fanno prigionieri un milione di soldati italiani. Che cosa gli è successo?

L’8 settembre 1943 ero soldato semplice e mi trovavo a Verona. Dopo l’annuncio dell’armistizio pensavo che la guerra sarebbe finita e che sarei ritornato finalmente a casa. Invece, circa quattro giorni dopo, i tedeschi occuparono la caserma e tutte le nostre armi furono requisite. Un soldato italiano tentò la fuga scavalcando le mura di cinta della caserma e gli spararono contro. Di lì a poco fummo portati alla stazione e caricati in carri bestiame con destinazione Germania. 

Sangiorgi Arturo, soldato semplice deportato 

Una delle pagine meno conosciute della storia italiana riguarda le decine di migliaia di soldati italiani catturati e deportati nei lager in Germania dopo l’8 settembre 1943.

La loro storia è stata a lungo dimenticata, confusa nel silenzioso vortice di morte dell’olocausto ed eliminata dalla memoria collettiva. Oggi cerchiamo di portare alla luce una parte del nostro passato e di immergerci nelle vite di questi soldati attraverso i diari personali e le lettere scritte ai familiari, unica forma di comunicazione a loro permessa. 

«Fu soltanto nel mese di marzo del ’44 che mi fu permesso di scrivere a mia moglie che ero ancora vivo. Era dal settembre del ’43 che non davo mie notizie e immaginavo come fossero in pensiero in tutto quel tempo. Nessuno sapeva che fine avessi fatto dopo quel tragico 8 settembre (…). Avrei voluto raccontare delle violenze subite, della struggente nostalgia di casa, di come un tempo mi sentissi forte e fiducioso, mentre ora mi vedevo piccolo, quasi ingobbito e senza forze».

M. Acierno, Prigioniero numero 50860, Manni Editore, 2010

Chi erano gli internati militari italiani 

internati militari

La loro storia inizia l’8 gennaio 1943: in quella data il generale Eisenhower annunciò la sigla dell’Armistizio col Governo Badoglio I. 

L’Italia si era arresa: il re Vittorio Emanuele III e Badoglio si precipitarono a fuggire da Roma, abbandonando a loro stessi i soldati, che si trovarono soli nell’affrontare le conseguenze dell’Armistizio. 

Impreparate, le forze armate non riuscirono ad opporre resistenza all’esercito tedesco, il quale fece prigionieri più di un milione di soldati italiani. Essi dovettero allora compiere una scelta: tornare a combattere a fianco dei nazi-fascisti o essere deportati nei campi di detenzione in Germania.  

La maggior parte di loro (il 90%) rifiutò l’arruolamento: ormai non credevano più in un futuro sotto Hitler o Mussolini. Solo una piccola parte, il 10%, sceglierà di unirsi al dittatore italiano nella Repubblica di Salò.

La deportazione dei soldati

I soldati italiani catturati vennero prima inviati in centri di raccolta sul territorio italiano, per poi essere spediti in treni merce verso il nord Europa.  

Dopo interminabili viaggi attraverso il territorio del Reich, i deportati giunsero nei campi di prigionia, divisi in campi per gli ufficiali (Offizierslager) e in campi per le truppe (Stammlager). 

Da prigionieri di guerra a internati militari 

La Germania di Hitler aveva un forte bisogno di manodopera a basso costo per sostenere l’industria bellica. I normali prigionieri di guerra però, secondo le Convenzioni di Ginevra, non potevano essere impiegati per tale scopo. 

La soluzione trovata dai gerarchi nazisti fu quella di mutare lo status dei prigionieri italiani: essi divennero prima “internati militari” e in seguito “lavoratori civili”, in modo da poter essere sfruttati come manodopera coatta

Internati militari italiani nei campi nazisti

Le condizioni della prigionia 

«Piccola mia, (…) mi trovo già da mesi rinchiuso tra filo spinoso pieno di passioni (…). Nino»

03/06/1944 Stalag I B.

Gli internati militari italiani (Imi), accusati di aver tradito l’alleato tedesco e considerati una razza inferiore, si trovarono relegati ai gradini più bassi della gerarchia dei lager, appena sopra a ebrei e russi.

Pur vivendo in una condizione migliore rispetto a quella degli internati nei campi delle SS, dovettero affrontare durissime condizioni di prigionia. Vivevano in baracche sovraffollate, esposte al freddo, prive di norme igieniche e con minime razioni di cibo. 

Il nutrimento era così scarso che molti arrivarono a pesare meno di 40 kg, mentre la mancanza di vitamine favorì l’insorgere di malattie come pleurite e tifo esantematico

L’unico modo per avere accesso a delle razioni di cibo extra era fare appello alla propria famiglia. Tramite le lettere, infatti, si poteva chiedere l’invio di pacchi di generi alimentari da casa.

«Carissima sposa (…) io ti ripeto sempre che sto molto bene però io ciò bisogno da mangiare io oggi che scrivo ti mando il modolo e mi mandi c pasta o biscotti o farina o pane basta».  

Damiano Michele, soldato, 18/06/1944

«Cara moglie (…) spediscimi un pacco, cinque chili, frutta secca, zucchero, lamette, cottone, una maglia è una mutanda, informati alla Posta. Gaetanino»  

07/11/1943 Stalag VI G. 

Il lavoro dei soldati

Data la grande necessità di manodopera nel Reich, gli internati vennero destinati al lavoro in fabbriche, miniere e in qualunque attività li richiedesse.

L’immissione degli Imi nel sistema produttivo rese eterogenee le loro condizioni di vita: la sorte peggiore toccò a chi venne destinato alle miniere o al settore siderurgico, nei quali erano richiesti turni massacranti

Migliori, invece, furono le condizioni di coloro che vennero spediti nelle fattorie o nelle filiere alimentari. Molti di questi riuscirono infatti ad instaurare un rapporto pacifico con i civili e a integrare le razioni di cibo con gli avanzi del lavoro. 

Un nuovo status 

8 settembre 1943: il disarmo e la deportazione dei soldati italiani

«Mario Carissimo (…) ora siamo civili, ma il trattamento si può dire che è uguale con i borghesi sai siamo odiati, le sentinelle con ce le abbiamo più ma cè il poliziotto che ci viene a fare l’appello alle 10 di sera e alla sveglia al mattino alle 5. Qua siamo un lager di 130 italiani e circa 400 russi che lavoriamo nell’officina assieme poi in paese ce ne di tutti le sorti uomini e donne prigionieri (…)».

Italo 18/09/1944 Stalag VI F.

Nell’estate del 1944 il bisogno di lavoratori coatti crebbe ulteriormente: tutti gli Imi vennero allora trasformati in lavoratori civili. Il loro controllo passò quindi ad organi preposti alla gestione dei lavoratori stranieri, per lo più aziende private

Ciò contribuì ulteriormente a far aumentare le disparità di trattamento: infatti, la loro sorte passando nelle mani di normali cittadini, dipese dalla pietà di quest’ultimi.

Il ritorno dei soldati a casa

«Caro figlio (…) speriamo abbia fine presto e che tutti si vivi insieme contenti come il passato (…) non pensare mai al male pensa solo al bello null’altro (…). 

07/04/1945 

Al termine dela guerra i soldati poterono tornare a casa, ma ciò non fu per nulla agevole a causa della mancanza di coordinamento da parte dello Stato italiano. Molti dei prigionieri, infatti, dovettero organizzarsi autonomamente per tornare dalle proprie famiglie.

Inoltre, una volta giunti in Italia, la loro storia venne ignorata dalle autorità e considerata o come una “prova di vigliaccheria” o come uno “sfortunato incidente“. 

Dei circa 710.000 soldati deportati soltanto 650.000 riusciranno a tornare a casa. Il numero delle vittime è ancora incerto: si stima che a causa delle estreme condizioni di prigionia morirono tra i 37.000 e i 50.000 internati.

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