Le donne e il lavoro di cura

di Alessia Agosta
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 8 Min.

È dall’antichità che le donne si sobbarcano il peso dei “mestieri di casa”, un po’ per indole naturale (l’uomo è da sempre visto come il sesso forte della coppia e come tale si deve occupare di tutto ciò che riguarda la manovalanza: che sia, nell’antichità cacciare, al giorno d’oggi lavorare), un po’ per una decisione presa millenni fa.

Oggi ci accopperemo del lavoro di cura, un aspetto troppo sottovalutato dalla nostra società.

Ce ne parla la sociologia

Non è certo un caso se, negli anni Cinquanta e Sessanta, si iniziava a parlare di “donne con due ruoli”: uno lavorativo, e uno di casalinga. Ecco che nascono i primi contratti part-time, per consentire alla donna di mantenere una propria vita lavorativa, senza accantonare le faccende di casa. 

Dal punto di vista meramente pratico, la forte presenza maschile nel mercato del lavoro ha richiesto una forte presenza femminile in casa. 

La sociologia è un cerchio perfetto, dove ogni cosa influenza se stessa e le altre, in una spirale senza fine. I part-time sono nati dalle esigenze sociali, in parole povere, qualcuno doveva badare alla casa mentre l’altro non c’era. Ma la nascita dei part-time ha sviluppato nuove forme di abitudini per le donne, come occuparsi di tutto ciò che riguarda la Casa (in senso ampio, non ci si soffermi sulle mere pulizie domestiche). 

Le donne vivono su due strutture temporali differenti, una caratterizzata dal lavoro, quindi remunerata, l’altra dedicata alle faccende di casa. 

È un concetto strettamente collegato ad un altro aspetto molto importante della nostra società: il livello di istruzione. Molte donne con una bassa istruzione tendono ad “accontentarsi” di retribuzioni basse, che le porta poi a restare sempre più in casa, fino ad abbandonare la vita lavorativa per dedicarsi a quella famigliare. 

La cura della Casa

Non è un errore. Casa con la lettera maiuscola perché raggruppa tutto ciò che concerne l’abitazione famigliare: tutte quelle piccole abitudini che diamo molto spesso per scontate, che qualcuno dovrà pur fare. E chi le organizza meticolosamente? La madre. La donna. 

Quando nasce un bambino, è la madre che resta a casa ad accudire il piccolo. In Italia ce lo conferma il 78% delle madri che richiedono il congedo, contro il solo 22% dei padri.

Ma in questo articolo non si vuole parlare solo in numeri, quanto più offrire uno spunto di riflessione su una cosa che tutti danno per assodata, perché c’è qualcuno che se ne occupa per loro: l’organizzazione della quotidianità.

Una donna non finisce mai di lavorare. Da quando si alza, ogni donna sa che, fino a sera quando ripoggerà la testa sul cuscino, non si fermerà un attimo.

Chi apparecchia la tavola per la colazione? Chi decide cosa si mangia a pranzo o a cena? O se la scelta è libera, chi cucina? Chi va a fare la spesa? Ma soprattutto, quando un famigliare in casa è infermo, disabile, o non sta bene, chi se ne occupa?

La donna: una caregiver gratuita

È così che, brutalmente, viene considerata la donna in casa. Ed è ancora più brutale che questo concetto, al giorno d’oggi, venga dato per scontato.

Serve fare un passo indietro per centrare in pieno il punto della questione.

Il caregiver è colui che si occupa della cura e dell’assistenza di un famigliare anziano o disabile. Rimarcando la parola famigliare, si vuole dare per assodato che un caregiver opera all’interno delle quattro mura che circondano ognuno di noi.

Chi si può permettere una badante, paga questo operatore di supporto affinché gestisca a trecentosessanta gradi l’infermo. Ma pagherà, nell’85% dei casi, una donna. In Italia, solo il 15% dei badanti è uomo.

Chi non ha tali disponibilità economiche invece, si trova costretto a programmare al minuto la giornata per far coincidere tutti gli impegni (un anziano ha bisogno di sottoporsi a frequenti esami, visite, medicine che si devono andare a comprare in farmacia, e chi più ne ha più ne metta). Ci si riferisce a un anziano ancora abbastanza autosufficiente, che magari necessita solo di essere accompagnato in questi luoghi. Ma un anziano gravemente malato, o un disabile? Come si potrebbe conciliare vita lavorativa, privata e cura metodica e necessaria per un grave infermo? Non si può. Ecco che allora, molte donne si ritrovano costrette a rinunciare al proprio lavoro o alla propria vita per affidarsi al lavoro di cura del famigliare infermo, senza ricevere uno stipendio, come accade invece per le badanti assunte o gli operatori sanitari specializzati.

Il lavoro di cura in Italia in numeri

In Italia si possono contare circa sette milioni di persone che si identificano come caregiver. Sette milioni di persone che si dedicano tutto il giorno a una persona senza ricevere un soldo. Qual è la differenza tra un operatore in una RSA e un caregiver? Il luogo. In casa, nessuno percepisce lo stipendio. In una RSA, sì. Il lavoro è lo stesso, la dedizione è la stessa, ma lo stipendio no. 

In Italia, la legge 104/92 permette al caregiver di richiedere tre giorni di permessi retribuiti al lavoro per accompagnare l’assistito. Si parla di anziani che devono essere seguiti e questa legge permette solo tre giorni al mese.

C’è la possibilità di richiedere il Bonus Caregiver, che permette di ricevere, una volta al mese, un beneficio che varia dai 500 agli 800 euro, ma non viene accreditato al caregiver, bensì alla persona disabile.

… e in Europa

Nel 2021, le donne dedicavano in media quattro ore alla settimana in cura di parenti anziani o disabili, mentre sono circa quindici le ore dedicate ai lavori domestici.

I caregiver totali sono 100 milioni, di cui 2/3 donne. Da un punto di vista economico, si parla del 50%, fino al 90%, del valore economico percentuale sui costi complessivi dell’offerta formare di cura.

Il lavoro di cura nel mondo in numeri

L’ILO, International Labour Organization, stima che il numero delle ore giornaliere (nel mondo) dedicate alla cura e all’assistenza alla persona, sia 179 milioni. Si parla di ventidue milioni di persone che lavorano senza una retribuzione. 

L’intento di questo articolo è far luce su un problema per nulla considerato dalla nostra società. Il lavoro di cura è un lavoro e come tale necessita una retribuzione.

Di nuovo, non si vuole cadere nei classici stereotipi, ma si sta analizzando una situazione che, piaccia o non piaccia, allo stato attuale delle cose è così. 

Solo la conoscenza può portare a una soluzione, e quindi a liberarsi di grossi macigni che gravano sulla nostra società, sulle persone.


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