L’Iran tra dittatura e democrazia

di Mirko Aufiero
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 10 Min.

Dai tempi dello scià alle proteste dopo la morte di Mahsa Amini, come l’Iran è cambiato con la Rivoluzione dell’ayatollah Khomeini

Il quadro storico

Dai tempi dello scià alle proteste dopo la morte di Mahsa Amini, come l'Iran è cambiato con la Rivoluzione dell'ayatollah Khomeini

Fino alla prima metà del XX secolo, l’Iran fu un importante partner commerciale della Gran Bretagna grazie ai suoi ricchi giacimenti di petrolio, che permiseo alla British Petroleum (originariamente Anglo-Persian Oil Company) di far fronte alla crescente domanda di petrolio dell’Occidente.

A governare il Paese, fino al 1979, fu la monarchia degli Scià, carica ricoperta dal 1941 al 1979 da Reza Shah Pahlavi, fautore di una politica filo-occidentale e anticlericale portata avanti col supporto statunitense.

Tuttavia, i rapporti tra l’Iran e le potenze occidentali subirono un duro colpo nel 1951, quando venne eletto come primo ministro Mohammad Mossadeq, il quale tentò di nazionalizzare l’industria petrolifera del paese allora in mano al Regno Unito. Per questo motivo, e per i timori che l’Iran finisse nell’orbita sovietica, la CIA e il britannico SIS (Servizio di Intelligence Segreta) organizzarono la rimozione di Mossadeq con l’operazione Ajax.

L’operazione ebbe successo e vide il ritorno di un regime accentrato nella figura dello scià Reza Pahlavi, che sfruttò la polizia segreta (SAVAK) e l’esercito per controllare il paese in maniera autoritaria. Sostenuto dalle potenze occidentali, Pahlavi tentò un programma di modernizzazione del paese, la cosiddetta rivoluzione bianca, che tuttavia non ebbe gli effetti sperati.

Khomeini come Guida suprema dell’Iran

Dai tempi dello scià alle proteste dopo la morte di Mahsa Amini, come l'Iran è cambiato con la Rivoluzione dell'ayatollah Khomeini

In questo contesto, iniziò a crescere il risentimento nei confronti dello scià da parte del clero islamico, il quale si vedeva privato di gran parte del potere e accusava Pahlavi di voler “occidentalizzare” il paese. Tra i membri del clero in opposizione al regime emerse la figura dell’ayatollah Khomeini, fortemente contrario al programma di riforme da lui definito come un «attacco all’islam». Nel giugno 1963 pronunciò un discorso contro la violenza della SAVAK nei confronti degli studenti e criticò i modi autoritari dello scià, definendolo un «uomo miserabile».

Questo episodio portò all’arresto e all’esilio di Khomeini, il quale continuò a promuovere la sua causa dall’estero, fomentando le rivolte in patria con la diffusione di audiocassette di propaganda che gli conferirono grande notorietà. Durante gli anni ’70, la crisi economica aumentò l’instabilità del paese, causando manifestazioni culminate nelle proteste del maggio 1977.

Iniziate con un gruppo di intellettuali, le proteste presto si estesero al clero, a studenti, a nazionalisti e a comunisti che si opponevano alla gestione autoritaria e fallimentare dello scià. Esse si diffusero in modo così massiccio da costringere lo scià Pahlavi a fuggire e permisero il ritorno in patria di Khomeini, il quale divenne la guida spirituale del paese.

L’Iran con Khomeini

Dai tempi dello scià alle proteste dopo la morte di Mahsa Amini, come l'Iran è cambiato con la Rivoluzione dell'ayatollah Khomeini

Una volta salito al potere, l’ayatollah trasformò l’Iran in una Repubblica Islamica, modificandone le istituzioni e instaurando con un referendum un sistema di governo con a capo la figura della Guida suprema. Tale sistema, noto come velayat-e-faqih, ossia “governo del giureconsulto“, prevedeva il riconoscimento del ruolo di guida del giurista islamico sulla comunità di credenti.

Khomeini istituì successivamente il corpo delle Guardie rivoluzionale (Pasdaran), una milizia armata a lui fedele nata con lo scopo di difendere la rivoluzione e di far applicare i nuovi dettami morali.

Il nuovo sistema di governo aveva al suo vertice i religiosi, con a capo l’ayatollah, ma prevedeva anche la presenza di istituzioni democratiche, tra cui il presidente della Repubblica e il Parlamento.

Questo sistema ha sempre reso difficile classificare l’Iran come una dittatura o come una democrazia. Non è una dittatura perché ci sono diversi centri di potere i cui rappresentanti sono eletti (il Parlamento), e non è una democrazia perché i membri di alcune importanti istituzioni sono nominati dall’alto e appartengono per lo più al clero sciita.

Il termine con cui in genere ci si riferisce a questo sistema di governo è “teocrazia islamica”, dato il ruolo fondamentale dei religiosi nella gestione del paese, ma risulta incompleto poiché parte dei politici iraniani non appartiene al clero.

L’Iran sciita contro Usa e sunniti

Ci sono stati principalmente due punti di forza che hanno consentito a Khomeini di assumere il potere in Iran.

Innanzitutto, egli ha portato avanti una retorica capace di un unire il paese contro un nemico comune, lo scià, visto come un autocrate dalla maggior parte della popolazione. In secondo luogo, Khomeini ha puntato sull’identità islamica sciita del paese, unita a sentimenti antioccidentali che, a partire dagli anni ‘60 e ‘70, si stavano diffondendo in tutto il Medioriente.

In quel periodo storico stava infatti prendendo piede l’idea della necessità da parte dei paesi islamici di far fronte comune contro un nemico (l’Occidente), interessato esclusivamente alle ricchezze dei loro territori, e che rischiava di mettere a rischio la loro cultura e la loro religione.

Sempre in questo scenario può essere inquadrato lo storico risentimento iraniano nei confronti di Israele, visto come un baluardo americano in Medioriente, e l’avvicinamento a Cina e Russia.

Altro tema fondamentale della politica estera dell’Iran è stata la rivalità con le altre potenze della regione, in particolar modo nell’ambito del conflitto intra-islamico tra sunniti e sciiti.

L’Iran negli anni ha cercato di costruire una “mezzaluna sciita” che, attraverso l’Iraq e il Libano (paesi a maggioranza sciita) e la Siria (a maggioranza sunnita ma retto dallo sciita Assad), avrebbe raggiunto il Mediterraneo. Questa politica ha come obiettivo principale il contenimento dei nemici regionali, in particolare la sunnita Arabia Saudita e Israele, alleato degli Stati Uniti.

Dalla morte di Khomeini ad oggi

Dai tempi dello scià alle proteste dopo la morte di Mahsa Amini, come l'Iran è cambiato con la Rivoluzione dell'ayatollah Khomeini

Dopo la morte di Khomeini, avvenuta nel 1989, si consolidò la divisione in due blocchi del potere. Da una parte quello ultraconservatore con a capo la Guida suprema, dall’altra quello rappresentato dalle istituzioni democratiche.

Non sempre questi due blocchi hanno convissuto in armonia; spesso è capitato che un presidente riformatore abbia dovuto scontrarsi con i conservatori religiosi che vedono nella modernizzazione e nella laicità dello stato un pericolo per il loro potere. Inoltre, la selezione dei candidati ammessi alle elezioni è gestita da un organo composto principalmente da religiosi, il Consiglio dei guardiani. Ciò avviene spesso secondo criteri arbitrari, e impedisce la partecipazione alle elezioni di molti candidati riformisti.

Già presidente dell’Iran dal 1981 al 1989, l’attuale Guida suprema del paese è l’Ayatollah Ali Khamenei. Massimo esponente del clero sciita, ha ricoperto la carica di Guida suprema dal 1989, e ha contribuito all’estensione del potere dei pasdaran ad ogni settore dell’economia.

Le proteste

Sotto la sua guida si sono verificate le proteste per la morte di Mahsa Amini, represse con la violenza dalla polizia religiosa. Durante l’ultimo anno numerosi cortei hanno attraversato le strade del Paese e, nonostante la repressione delle manifestazioni, le proteste continuano sotto forma di disobbedienza civile.

Se da un lato i manifestanti chiedono maggiori libertà per le donne e rispetto per le minoranze, dall’altra non mancano le critiche per lo stato dell’economia. L’inflazione, la corruzione e l’effetto delle sanzioni occidentali sono tutti elementi che hanno alimentato le proteste diffondendole tra tutti gli strati della popolazione.

Al momento le proteste non sono riuscite a scardinare il sistema di potere del Paese, il quale ha represso violentemente le voci del dissenso e inasprito le pene per per le donne che si rifiutano di indossare l’hijab con pene fino a 10 anni. Secondo le Nazioni Unite si tratta di una forma di apartheid di genere, il cui obiettivo è minare la libertà delle donne fino a ottenere una sottomissione totale.

Fonti:

Bbc, Economist, Il Post, Bloomberg, Euronews, Geopolitica.info

Emiliani, M. (2020). Purgatorio arabo. Il tradimento delle rivoluzioni in Medio Oriente. Bari: Editori Laterza.

di Mirko Aufiero


Le foto presenti in questo articolo provengono da internet e si ritengono di libero utilizzo. Se un’immagine pubblicata risulta essere protetta da copyright, il legittimo proprietario può contattare lo staff scrivendo all’indirizzo email riportato nella sezione “Contatti” del sito: l’immagine sarà rimossa o accompagnata dalla firma dell’autore.

Articoli Correlati