Gli abusi e le violenze nei campi rieducativi americani

di Mirko Aufiero
6 Min.

Negli Stati Uniti esistono numerose campi che dovrebbero aiutare gli adolescenti a superare le loro difficoltà. Tuttavia, dietro molti di questi centri rieducativi si nasconde un mondo fatto di violenze psicologiche, fisiche e sessuali.

I “wilderness therapy camp”

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I “wilderness therapy camp” sono una parte importante della “troubled teens industry” americana, l’industria degli “adolescenti problematici. Con questo termine si fa riferimento ad un’industria multimiliardaria specializzata nell’affrontare i problemi psicologici degli adolescenti: dalla depressione, all’abuso di droga, fino alle tendenze suicide.

Nello specifico, i “wilderness therapy camps” si presentano come dei normali campi estivi, nella quale gli adolescenti dovrebbero ritrovare la propria pace interiore grazie al contatto con la natura. Tuttavia, dietro questa visione naïf si nasconde un mondo di abusi psicologici, fisici e sessuali, resi possibili dall’isolamento geografico di cui questi campi godono.

Secondo il Government Accountability Office degli Stati Uniti, sono stati registrati più di 1500 casi di personale coinvolto in abusi sui pazienti in 33 strutture diverse, di cui la maggior parte riguardava violenze psicologiche e sessuali.

Questi centri sono nati negli anni ‘40, e nel corso degli anni hanno ospitato centinaia di migliaia di giovani (si calcola vi risiedano dai 120mila ai 200mila adolescenti). Tuttavia, è soltanto negli anni ‘90 che hanno raggiunto la popolarità su larga scala, grazie a campagne pubblicitarie che mostravano i benefici di una esperienza a contatto con la natura.

Il successo negli anni ‘90 e le sette religiose

I motivi del loro successo sono molteplici. Dalla fiducia nell’utilità dell’attività fisica per temprare il fisico e lo spirito, al costo relativamente basso di queste strutture. Infatti, per molti americani mandare il proprio figlio da uno psicologo resta una spesa eccessivamente gravosa, e i wilderness therapy camp rappresentano un’alternativa più economica per le famiglie meno abbienti. 

La maggior parte di questi campi si dichiara laica o tollerante verso tutte le religioni. Nonostante ciò, non sono rari i casi in cui a gestirli ci siano membri di sette religiose che impongono una rigida morale cristiana ai propri pazienti. 

Tra i giovani a subire più discriminazioni ci sono quelli della comunità Lgbt+, i quali spesso vengono inviati in queste strutture dai propri genitori proprio per “curare” una sessualità non eteronormata o un’identità di genere non binaria. 

La vita nei campi 

Provo Canyon School in Springville, Utah. It is one of Utah’s oldest youth residential treatment facilities and has been accused of abuse by former students, including Paris Hilton.

Le condizioni in cui vivono gli adolescenti in nei wilderness camp sono molto variegate. Molti di questi centri, infatti, approfittando della lontananza dai centri abitati e del divieto posto ai giovani di contattare l’esterno, riescono ad eludere numerose norme igienico-sanitari

Il Guardian riporta un esempio di cattiva gestione dei campi, e racconta l’esperienza in un campo dello Utah di Rowan Bissette, ragazza all’epoca sedicenne:

“Al campo di Rowan, in Utah, i partecipanti adolescenti erano divisi tra ragazzi e ragazze. Alle ragazze del campo veniva dato un set di vestiti a settimana – una camicia, un reggiseno, un paio di pantaloni e quattro paia di mutande – con cui avrebbero camminato per chilometri sotto il sole estivo.

L’igiene era ritenuta poco importante: non c’erano né sapone né docce. Hanno ricevuto un rotolo di carta igienica e circa 10 assorbenti e 10 tamponi all’inizio del programma. La pioggia spesso inzuppava la carta igienica e i prodotti per l’igiene femminile, lasciando le ragazze senza più niente da usare. Quando hanno chiesto provviste fresche e asciutte, hanno ricevuto un rifiuto e lasciate sanguinare attraverso i loro vestiti”. 

Rowan ha inoltre raccontato la sua esperienza con uno dei tanti membri dello staff autori di abusi fisici e psicologici. Egli, con la scusa di controllare che non si facesse del male da sola, la seguiva anche in bagno, negandole qualunque privacy e minacciandola: 

“Mi ha fissato e poi mi ha molestato minacciato. Ha detto che mi avrebbe ucciso e che a nessuno sarebbe importato di me. Ha detto che se non mi avesse ucciso, avrebbe potuto assicurarsi che non tornassi mai più a casa. Era una minaccia abbastanza comune da parte del personale: dire che potevano assicurarsi che non tornassi mai più a casa”. 

Le inchieste e i licenziamenti nei campi

Nel 2007 il Government Accountability Office ha stabilito l’esistenza di abusi e casi di adolescenti morti nei wilderness camp, e da allora il problema ha attirato l’interesse da parte della popolazione.

Alcuni stati, come la California, hanno introdotto leggi severe sui centri riabilitativi, ma manca ancora un serio intervento da parte del governo federale. Infatti, i residenti della California possono mandare i propri figli in altri stati con leggi meno severe, dove i campi hanno più libertà e prezzi più accessibili. 

Uno di questi è proprio lo Utah, il quale si è dimostrato incapace negli anni di introdurre normative serie per regolamentare questo fenomeno. 

La serie di scandali che ha travolto i wilderness camp ha portato anche ad una parziale epurazione del personale. Molti dei membri degli staff delle strutture era chiamato, infatti, a rapportarsi con giovani in difficoltà senza però averne le competenze adeguate.

Scritto da Mirko Aufiero


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