Indagine in Oklahoma dopo il ritrovamento di resti umani: ipotesi coinvolgimento dei suprematisti bianchi

di Giorgia Lelii
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 5 Min.

Un racconto degno dell’horror di Stephen King è iniziato la scorsa primavera: in due terreni privati, in Oklahoma, sono stati ritrovati resti umani bruciati e sepolti insieme ad un’automobile, una motocicletta e un centinaio di pneumatici. 

Nel Washington Post, quattro agenti di polizia hanno dichiarato che si pensa che i resti appartengano a corpi di persone coinvolte, in qualche oscuro modo, nella pericolosa associazione Universal Aryan Brotherhood (Fratellanza Ariana Universale), una gang di suprematisti bianchi di orientamento neonazista, tuttora operativa nella gran parte dei penitenziari statali dell’Oklahoma: questa riesce a mantenere i suoi affari (principalmente riguardanti traffico di droga) attraverso collaboratori interni ed esterni alle carceri. 

Proprio per il terrore che essa emana, nonostante l’indagine sia una delle più importanti della storia recente dello Stato, non sono stati diffusi molti dettagli a riguardo. 

Le indagini sono guidate dalla Oklahoma State Bureau of Investigation (OSBI), l’agenzia governativa che si occupa di indagini criminali all’interno dello stato, in collaborazione con gli uffici degli sceriffi di tre contee locali. La notizia del ritrovamento dei resti era stata diffusa per la prima volta dall’Oklahoman, il più grande quotidiano dello stato, a fine aprile: in quel momento, la polizia stava cercando di capire se dietro la scomparsa di queste nove o più persone ci fosse proprio questa gang di suprematisti bianchi. Anche se le informazioni non sono chiare ed esplicite, gli investigatori sembrano ricollegare la morte alla fratellanza, per una serie di motivi. 

Uno dei leader più temuti e pericolosi dell’ Universal Aryan Brotherhood è Mikell “Bulldog” Smith, che al momento sta scontando l’ergastolo senza possibilità di libertà condizionale per l’omicidio di un insegnante durante una rapina a mano armata risalente al 1985. Smith, che ha 57 anni, è considerato un detenuto così violento che nel 1989 un carcere dell’Oklahoma costruì una cella speciale appositamente per lui. In prigione ha strozzato e ucciso un compagno di cella con un lenzuolo; ne ha quasi ucciso un altro e ha ferito gravemente anche una guardia carceraria. E’ solo un nome, ma ce ne sono almeno un’altra ventina accusati di omicidi, rapimenti, intimidazione di testimoni, irruzioni in abitazioni, altri nove avrebbero ucciso un membro di un gruppo rivale, lo scorso agosto. 

Come mai, allora, abbiamo nominato solo Smith? Per il momento, sembra essere coinvolto nell’indagine in maniera indiretta. Secondo gli agenti che hanno parlato a condizione di restare anonimi e stando ai documenti catastali ufficiali, il complesso dove la polizia aveva fatto irruzione risulta essere intestato a Robin Smith, la moglie di Mikell Smith, mentre il cognato, Charles Smith, ha una proprietà adiacente. Anche il terreno dove erano stati scoperti i primi resti era appartenuto a persone con precedenti penali che avevano avuto legami con membri della fratellanza. I resti scoperti nella proprietà potrebbero essere quelli di David Anthony Orr, uomo latinoamericano di 43 anni, ritenuto aver avuto collegamenti con la gang, insieme agli altri scomparsi. 

Ad oggi, non si sa con certezza l’identità delle persone sepolte: la polizia ha parlato di una dozzina di DNA diversi, altri dicono otto DNA diversi, altri dicono tre: l’OBSI aveva lasciato un comunicato all’inizio di agosto, dove sosteneva che l’indagine procedesse in maniera fluida e operosa, nonostante la difficoltà della Scientifica nell’analisi del DNA, vista la condizione dei cadaveri. 

Inoltre, spesso, in queste situazioni, le famiglie delle vittime evitano di sporgere denuncia della scomparsa, appunto per la paura che la banda infligge: ad esempio, un familiare di Orr (che ha parlato a condizione di rimanere anonimo per timore di ripercussioni) ha detto che alcune persone vicine all’uomo gli avevano consigliato di non indagare troppo per evitare di «finire come lui». La riservatezza delle indagini è dovuta soprattutto alle ripercussioni a cui le famiglie a carico potrebbero andare incontro: «A questo punto stiamo solo cercando di far restare vive alcune persone», ha dichiarato un altro funzionario di polizia.

Scritto da Giorgia Lelii

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