Le acque trattate di Fukushima nell’Oceano Pacifico? Perché non è pericoloso

Il piano di Tokyo per le acque trattate di Fukushima

di Dudnic Radu
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 9 Min.

Nonostante le differenti obiezioni e le plurime proteste, il dado ormai è tratto. Il governo giapponese ha da tempo approvato un piano per scaricare le acque di Fukushima nell’Oceano Pacifico. L’operazione, con data di decorrenza giovedì 24 agosto, è iniziata alle 13 (ora locale), le 6 in Italia. Lo ha annunciato la gestione dell’impianto, la Tepco, confermando il piano annunciato e sostenuto dal governo.

Il piano è stato approvato dall’Agenzia Nazionale dell’Energia Atomica, nonostante le svariate proteste dei paesi vicini: in prima fila la Cina, e le associazioni degli ambientalisti, ma anche i pescatori locali.

Fukushima: il contesto

Le acque di Fukushima sono state utilizzate per raffreddare i noccioli fusi della centrale nucleare danneggiata, dal terremoto, e dallo tsunami avvenuto nel 2011. Mentre il terremoto ha causato danni di minor rilievo, lo tsunami ha allagato i generatori di emergenza che dovevano raffreddare i noccioli dei reattori.

Per questo motivo 3 dei 6 reattori si sono surriscaldati e di conseguenza si sono parzialmente fusi, dando vita ad esplosioni di idrogeno che hanno causato il rilascio di sostanze radioattive nell’atmosfera.

Ora, oltre un decennio dopo, il governo giapponese ha annunciato una decisione controversa: rilasciare oltre un milione di tonnellate di acqua radioattiva trattata nell’oceano Pacifico. Fino ad oggi, queste acque sono contenute in barili d’acciaio, ma il piano ne prevede lo sversamento graduale nelle acque dell’oceano, a partire da giovedì 24 Agosto. Il primo scarico, che dovrebbe avvenire nell’arco di circa 17 giorni ammonta a circa 7.800 metri cubi.

Perché diluire l’acqua trattata di Fukushima nell’oceano Pacifico non è pericoloso

Le acque trattate di Fukushima sono state utilizzate per raffreddare i reattori danneggiati e controllare la radioattività per oltre un decennio. Nel 2021, il governo giapponese ha approvato il piano di rilascio controllato delle acque trattate.

Il processo di filtraggio ha aiutato a rimuovere gli elementi radioattivi: quasi tutti ad eccezione del trizio, che però rimane in concentrazione sicura. Gli standard di radioattività del trizio si attesterebbero infatti su livelli pressoché nulli o minimi.

L’accumulo di queste acque trattate, che al momento corrisponde a circa 1,3 milioni di tonnellate, rappresenta una sfida socioeconomica complessa. Questo processo potrebbe infatti richiedere un durata di almeno 30 anni. 

Dove finirà l'acqua trattata?

Il punto di vista scientifico sulle acque di Fukushima

Wolfango Plastino, ordinario di Fisica applicata presso il Dipartimento di Ingegneria industriale, nonché membro del Gruppo consultivo per le Applicazioni nucleari della Aiea, ha rilasciato un’intervista presso la Repubblica. Lo smaltimento in mare di oltre 1 milione di tonnellate di acqua immagazzinata nella centrale nucleare giapponese di Fukushima non sembra affatto preoccupare Wolfango Plastino.

«Sarà una operazione condotta nella massima sicurezza e che non avrà alcun impatto sull’ambiente marino.»

Cosa risponde a chi sostiene che se pure sulla carta l’operazione è sicura, nella realtà è tutto da dimostrare, perché un rilascio del genere non è mai stato effettuato prima?

«Chi lo dice non sa, o dimentica, che abbiamo analizzato per sessanta anni gli impatti ambientali dei test nucleari effettuati in mare, si tratta anzi di uno dei settori più studiati in assoluto.»

Cosa intende per “non significativa”?

«Che non avrà alcun impatto sull’ambiente, perché le variazioni, rispetto alle concentrazioni naturali di trizio già presenti nell’oceano, non saranno superiori alle normali fluttuazioni registrate in quel settore del Pacifico prima dell’incidente di Fukushima.»

Filtraggio Alps

Qui entra in gioco il sistema di filtraggio Alps, progettato per trattare questa acqua contaminata. Il sistema di aspirazione e filtraggio Alps è l’acronimo di Advanced liquid processing system. Questo sistema ha operato ogni giorno nell’ultimo decennio, estraendo tonnellate di acqua contaminata della centrale nucleare. Tra le acque trattate possono esserci anche quelle piovane e sotterranee.

Il sistema Alps ha dimostrato di poter rimuovere gran parte delle sostanze radioattive, ad eccezione di alcune, come il trizio o il carbonio-14. Questi isotopi radioattivi dell’idrogeno, se rilasciati in grandi quantità, potrebbero avere impatti gravi sull’ambiente marino e sulla salute umana.

E’ rilevante sottolineare che, se presente in piccole quantità, il trizio è considerato innocuo e trascurabile. Questo elemento quindi non rappresenta un vero pericolo per la salute umana o l’ambiente marino quando disciolto in quantità controllate nell’acqua.

 

Tepco, AIEA & Safecast

L’azienda di servizi pubblici Tokyo Electric Power Co. Holdings Inc (Tepco) che gestisce la centrale nucleare  danneggiata, è stata accusata di mancanza di trasparenza. Anche se l’operazione è stata contestata a livello nazionale e internazionale, viene giudicata sicura.

L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) delle Nazioni Unite aveva già approvato il piano a luglio, affermando che soddisfa pienamente gli standard di sicurezza internazionali. Il rilascio delle acque trattate non costituirebbe dunque una minaccia per l’ambiente e per le persone.

Anche Safecast, un’organizzazione che si impegna per la trasparenza e l’informazione pubblica sulla radioattività, ha sollevato preoccupazioni a riguardo. La massima preoccupazione è sulla mancanza di consultazioni a livello internazionale. Safecast, mette in risalto soprattutto l’importanza di un monitoraggio indipendente e trasparente dell’ambiente prima, durante e dopo il rilascio delle acque trattate.

Preoccupazioni, scetticismo e critiche 

Sono diverse le reazioni suscitate a livello internazionale, dove la Cina ha espresso particolari attenzione alle preoccupazioni legate alla posizione geografica. Il Paese vicino al Giappone ha sollevato interrogativi anche sugli effetti ambientali a lungo termine. La Repubblica Popolare cinese aveva da subito innalzato un muro di opposizione, respingendo categoricamente l’idea di questo rilascio radioattivo nell’oceano. Come per la Safecast, così anche per la Cina rimane fondamentale monitorare la situazione a livello internazionale, per poter valutare l’impatto reale sulle acque e sugli ecosistemi marini.

Cosa ne pensano i cittadini? Tra approvazione e discordia

Un recente sondaggio condotto da Fnn, un’emittente giapponese, ha mostrato come il 56% degli intervistati sia a favore del rilascio, mentre il 34% faccia parte dell’opposizione.
Questo fatto non ha fatto perdere la voce ai pescatori locali e ai gruppi ambientalisti come Greenpeace. Mentre il Giappone ha continuato a perseguire questa decisione giudicata controversa, il coro delle opposizioni è cresciuto estendendosi da un livello locale ad un livello internazionale.

Ambientalisti e pescatori hanno infatti espresso profonde preoccupazioni per gli effetti che le acque contaminate potrebbero avere sull’ambiente marino e la sua catena alimentare. Oltre i confini nazionali, i perentori “no” risuonano dalla Cina, dalla Corea del Sud e dal Forum delle Isole del Pacifico (PIF), un’organizzazione che conta membri importanti come l’Australia, la Nuova Zelanda e le Isole Figi.

Sì, ma quindi…

In un mondo in cui le frontiere cedono il passo all’interconnessione e alla collaborazione globale, il Giappone ha trovato un modo straordinario per unire diverse nazioni: nella loro disapprovazione. Difficile non pensare che questa decisione non sfidi il buon senso comune e non minacci di inquinare non solo le acque, ma anche i rapporti diplomatici.

È senza dubbio un bene che ci sia una particolare attenzione dell’opinione pubblica su temi ampi e controversi che riguardano l’ambiente terrestre. Ma d’altro canto l’attenzione non deve trasformarsi in allarmismi ingiustificati dal punto di vista scientifico. I preconcetti che emergono, sia riguardo al nucleare che per altre questioni, sono di solito figli di una conoscenza superficiale della realtà. Spazio vuoto che diventa terreno fertile per reazioni emotive e irrazionali.

Gli incidenti industriali del passato non hanno certamente facilitato un approccio scientifico al nucleare, soprattutto in un mondo in cui “fidatevi di noi” da parte delle istituzioni sembra essere la risposta a ogni domanda. Dubitare è lecito, ma per rispondere a qualsiasi domanda bisogna far fede all’unica cosa certa: i dati. (Factfulness).

Fonti: IlPost, Euronews, Lifegate, Wired, Reuters, LaRepubblica

di Radu Dudnic


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