La culla per la vita e il destino degli esposti

di Alessia Giurintano
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 6 Min.

Negli ultimi giorni si è acceso un dibattito inerente all’abbandono infantile e alla culla per la vita. Di cosa si tratta? Chi sono gli esposti? A quale destino vanno incontro?

Il termine “esposto” è presente nell’ordinamento italiano sin dal 1924. L’articolo 4 del decreto regio n.2900 considera esposti:

a) i fanciulli abbandonati, figli di ignoti, che siano rinvenuti in
un luogo qualsiasi della Provincia;

b) i fanciulli per i quali sia richiesta la pubblica assistenza,
nati nei Comuni della Provincia da unioni illegittime e denunciati
allo stato civile come figli di ignoti;

c) i figli nati da unioni illegittime, non riconosciuti dai
genitori e per i quali sia richiesta la pubblica assistenza,
quand’anche siano in seguito riconosciuti dalla madre, che si trovi
in istato di povertà’.

L’abbandono infantile costituisce la storia civile della società

Sin dall’antica Grecia si registrano casi di bambini esposti e di abbandono infantile per le cause più diverse. E’ del tutto erroneo il binomio “figli= forza lavoro”, poiché sicuramente nelle famiglie tutt’altro che agiate predominava maggiormente il binomio “figli=bocche da sfamare”. Si esponevano tanto le figlie femmine quanto i maschi. Chi era il responsabile dell’abbandono infantile?

Il responsabile del gesto era il capo famiglia, e antiche fonti testimoniano l’obbligo in Sparta di esporre i figli deformi. La sorte di questi bambini esposti era ignota, benché le alternative fossero praticamente due: o raccolti da pietosi, oppure da malviventi il cui scopo era lucrarci e renderli schiavi (o prostitute, se femmine). Altro che culla per la vita!

Nell’Antica Roma, invece, gli imperatori cristiani limitarono la pratica dell’esposizione, e anzi di fatto la vietarono con la pena di morte.

La ruota degli esposti e l’iter dell’abbandono infantile

Le ruote erano collocate vicino alle chiese accanto a un portone. Attaccata alla ruota c’erano delle campanelle in modo che durante la rotazione ci si accorgesse della presenza di un bambino all’interno della struttura.

La ruota degli esposti era concepita dalle famiglie povere come una forma assistenziale che veniva offerta alla società. La via più sicura, la culla per la vita.

Affidati ad una balia, finito il periodo dell’allattamento venivano mandati negli orfanotrofi. Qui, la loro sorte era spesso tragica: le condizioni igienico-sanitarie erano talmente scarse da causare un elevato tasso di mortalità infantile. Se riusciva però, a superare il periodo critico dei primi giorni, ecco che cominciava quello che ora è l’iter di adozione, con il trasferimento del neonato in una struttura appropriata.

Dalla ruota alla culla per la vita: le lontane radici francesi

La prima ruota di cui si ha notizia, fu istituita nella Francia del Sud nel XII secolo e pochi anni dopo si diffuse anche in Italia, Grecia e Spagna. Prende il nome di “ruota della vita” in virtù dello scopo per cui è stata creata: limitare quanto più possibile la ben più drammatica pratica (diffusa!) di infanticidio. I trovatelli erano affidati a strutture quali i brefotrofi e orfanotrofi, che arrivarono a riempirsi di oltre 460.000 bambini in tutta Europa nell’Ottocento.

Il costo di queste strutture era insostenibile da parte di Comuni e Province, per cui a metà del XIX secolo venne gradualmente e massicciamente ridotta la presenza di queste ruote, fino ad essere abolite per legge nel 1923.

Culla per la vita

I bambini esposti oggi: la culla per la vita

Come è gestito l’abbandono infantile nella società contemporanea?

Negli ospedali italiani oggi c’è una versione rivisitata della ruota, la cosiddetta “Culla per la vita”. Essa permette alle donne che non hanno intenzione di tenere con sé il proprio figlio di avere un parto anonimo (Dpr 396/2000, art 30) in ospedale in totale sicurezza e lasciando quindi al neonato, non riconosciuto dal genitore, l’opportunità di essere inserito direttamente all’interno del sistema di adozioni italiano.

La Direzione sanitaria dà segnalazione alla Procura della Repubblica. In seguito l’Ufficiale di Stato civile è tenuto a scrivere nell’atto di nascita che il bambino è figlio di genitori ignoti, in questo modo la Procura apre una procedura di adottabilità.

Va detto però che fino all’affidamento pre-adottivo la mamma biologica ha sempre l’ultima parola e, se dovesse cambiare idea, potrà riavere l’affidamento del bambino.

Scritto da Alessia Giurintano


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