Quella dipendenza affettiva chiamata Sindrome di Stoccolma

di Alessio Pio Pierro
4 Min.

Stoccolma e Denver. Lei un ostaggio, lui un ladro. Tra i due personaggi della serie tv spagnola “La Casa di Carta” si instaura un rapporto strano, parecchio amato dai fan. A livello psicopatologico, però, la questione è molto più profonda di come possa sembrare.

Stoccolma e Denver nella serie Netflix “La casa di Carta”

Ma cos’è la Sindrome di Stoccolma?

La sindrome di Stoccolma è un particolare stato di dipendenza psicologica. Questa si manifesta in casi in cui le vittime si legano affettivamente al proprio aggressore nonostante episodi di violenza fisica e psicologica.
In alcuni casi chi ne è dipendente può arrivare addirittura a provare amore o totale sottomissione nei confronti dell’assalitore.
Questa dipendenza però non è inserita nel sistema internazionale di classificazione psichiatrica.

“La Casa di Carta” e non solo!

Nel 2018 è uscita la trasposizione cinematografica della storia da cui nasce la definizione di questa sindrome, alla regia Robert Budreau con protagonista Ethan Hawke che impersona Erik Olsson.

Erik Olsson, il primo rapinatore testimone di questa sindrome.

La conoscenza di questa sindrome risale a uno strano accaduto datato il 23 Agosto 1973, a causa di un rapinatore di nome Erik Olsson.
Il 32 enne – appena evaso dal carcere di Stoccolma – durante una rapina in una banca della capitale svedese prese in ostaggio 4 persone che vissero con lui ed il complice Clark Olofsson in convivenza forzata per oltre 130 ore.

Erik Olsson mentre viene arrestato dalle autorità dopo 5 giorni di ostaggio.

Solo grazie ad un intervento drastico delle autorità, i malviventi si arresero e lasciarono gli ostaggi.
Durante degli interrogatori con le vittime, è evinto però che le vittime fossero più intimidite dalle autorità che dai due delinquenti.
Raccontarono che durante i 5 giorni di ostaggio vennero trattate con gentilezza dai rapinatori e che quindi si sentissero legati a loro nonostante la circostanza.
Degli psichiatri spiegarono che le vittime si sentivano in debito ai rapinatori, poiché erano stati privati della morte, andarono persino a trovare i carcerieri durante la detenzione.
In altri casi come quello di Patty Hearst, l’ostaggio divenne addirittura complice dei suoi aggressori.
O altri ancora come quello di una delle impiegate della Kredit Bank svedese che ha sposato il proprio rapinatore.

Foto segnaletica di Patty Hearst.

Cosa provano le persone con questa sindrome?

Secondo la banca dati dell’FBI, l’8% degli ostaggi ha manifestato sintomi di questa sindrome.
La prima reazione che si prova è il rifiuto psicologico, la negazione che un evento di tale tragedia stia accadendo.
Le persone che ne sono affette, attuano un riflesso automatico che gli spinge a legarsi positivamente costretti da una situazione minacciosa.
Soggetti con personalità deboli e fragili sono quelle più predisposte a manifestare atteggiamenti tipici di questa dipendenza.

I Disturbi

Disturbi del sonno, depressione e continui ricordi negativi legati alla vicenda sono solo alcuni dei sintomi di chi ne soffre nonostante continuino a mantenere rapporti positivi con chi li ha resi degli ostaggi.

Ci sono delle cure?

Purtroppo non ci sono ancora cure specifiche per fronteggiare la sindrome. L’unica medicina sembra essere il tempo.

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