Come mai i bagni pubblici per disabili e donne sono spesso accorpati?

di Sofia Ciatti
6 Min.

Qual è la legislazione in materia?

Capita spesso e in diversi frangenti di dover usufruire dei bagni pubblici. Altrettanto spesso, nel momento in cui osserviamo attentamente la figura per non sbagliare porta, ci accorgiamo che i servizi igienici femminili e quelli riservati agli individui con disabilità sono accorpati nel medesimo locale, seppur divisi negli spazi e nelle singole stanze. Come mai?

La normativa vigente in Italia obbliga tutti gli esercizi che offrono servizi alla persona e che somministrano cibi e bevande con metratura pari o superiore a 250mq a dotarsi di servizi igienici riservati alle persone con disabilità.

Se la metratura è inferiore a quella prevista per legge, l’unico vincolo da osservare è quello di garantire l’accesso all’esercizio mediante una rampa oppure uno scivolo.

È la Legge n. 13 del 9 gennaio 1989 a sancire queste e altre disposizioni, tra le quali le misure del lavabo, l’ampiezza del locale bagno, l’altezza dei sanitari, il numero di maniglioni d’appoggio e la necessità che la porta sia scorrevole o con apertura a libro.

Bagni pubblici

La legge suesposta, ratificata dal Decreto ministeriale n. 236 del 14 giugno 1989, non impegna alla costruzione di un bagno ad uso esclusivo delle persone con disabilità, per cui può essere annesso (seppur, come si diceva, con una separazione interna dei locali) ai servizi igienici femminili oppure maschili, purché adeguatamente equipaggiati.

Ciò significa che, in fase di costruzione dei locali bagno e laddove sia prevista una distinzione sulla base del sesso, il bagno riservato alle persone con disabilità può essere unito tanto a quello delle donne, quanto a quello degli uomini.

E allora perché molto spesso gli esercenti stabiliscono di inserirlo nello stesso locale in cui è collocato quello delle donne?

I bagni pubblici e i tempi d’attesa

Sono numerosi i case studies che mettono in risalto la disparità di genere nell’accesso ai bagni pubblici: nel Regno Unito, il 59% delle donne afferma di fare regolarmente la fila nel momento in cui entra in un bagno pubblico, rispetto all’11% degli uomini.

Le code, spesso lunghe, che caratterizzano i servizi igienici femminili si spiegano facendo riferimento a diversi fattori: a differenza di un orinatoio, l’uso del water in una cabina prevede che la porta venga aperta e chiusa due volte e che i sanitari vengano puliti o coperti.

I vestiti devono essere calati e rimessi, le borse sistemate o appese.

Nel caso in cui una donna abbia figli, è più probabile che questi vadano in bagno con le madri.

Inoltre, l’aspettativa di vita è più alta tra le donne; dunque, ci sono più persone anziane di sesso femminile, ed è probabile che abbiano bisogno del bagno più frequentemente.

Intervengono anche alcuni motivi biologici: circa la metà della popolazione femminile è tra i 12 e i 52 anni e quindi affronta periodicamente le mestruazioni.

Se una donna visita un bagno pubblico in quel periodo, si aggiungono alcune azioni legate all’utilizzo di tamponi o assorbenti: cercarli, scartarli, posizionarli e smaltire i vecchi: tutte attività che aumentano il tempo di permanenza in un bagno.

In aggiunta, le infezioni alle vie urinarie (più frequenti nelle donne che negli uomini) e le gravidanze (in corso o passate) sono condizioni che richiedono un maggior uso del bagno.

Qual è la correlazione tra la fila nei bagni pubblici delle donne e il bagno riservato alle persone con disabilità?

Tiriamo le fila del discorso: sommando tanto le disposizioni vigenti che disciplinano l’accesso e la costruzione dei bagni pubblici riservati alle persone con disabilità, quanto i lunghi tempi di attesa e di permanenza (dettati da fattori biologici e “logistico-organizzativi”) delle donne, otteniamo la risposta (forse un po’ banale?) alla domanda che dà il titolo a questo articolo.

Gli esercizi e gli edifici (pubblici o privati che siano) che offrono servizi alla persona (ivi inclusa la somministrazione di alimenti e bevande), con una metratura pari o superiore ai 250mq, devono per legge dotarsi di un bagno riservato alle persone con disabilità.

Quella stessa legge non obbliga necessariamente ad inserire quel bagno, seppur con una suddivisione interna degli spazi, nello stesso locale in cui è ubicato quello delle donne, dato che, sempre per legge, può essere inserito anche nel locale dedicato agli uomini, basta che ci sia.

Allora perché succede?

Semplicemente per alleggerire e ridurre i tempi di attesa delle donne che, trovandosi il bagno riservato ai disabili nello stesso locale, possono scegliere se entrare nella cabina destinata effettivamente alle donne oppure nella stanza (se non occupata) riservata ai disabili, dimezzando così l’eventuale fila.

Fonti: Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Science Daily, The New York Times, Il Post.

Di Sofia Ciatti


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