Perché litighiamo sui social: a rivelarlo lo studio pubblicato su Nature

di Dudnic Radu
4 Min.

Chi di noi non si è trovato ad essere lo spettatore in una di quelle coinvolgenti discussioni che animano le “comment section” del proprio feed sui social? Cosa si cela in realtà dietro questo turbinio di interazioni online? A rispondere alla domanda è il recente studio pubblicato su Nature sulle discussioni online, coordinato da Walter Quattrociocchi, professore di Data Science and Complexity presso l’università “La Sapienza” di Roma.

Lo studio ha messo sotto il riflettore ben 500 milioni di commenti sparsi su 8 diverse piattaforme durante un arco temporale di 34 anni. L’obiettivo è stato quello di comprendere il ruolo giocato dagli algoritmi e dalla componente umana nel tumulto delle discussioni online, soprattutto in relazione alla tossicità e alla polarizzazione delle conversazioni.

I risultati dello studio Nature: Le discussioni online

Si parla di un fenomeno che attraversa le ere, dagli albori delle prime comunità digitali, ai giganti contemporanei come Facebook e YouTube. I risultati delle ricerche rivelano componenti chiavi nell’innesco dei commenti maliziosi come la tossicità, la polarizzazione e la propensione di certi individui ad essere inclini alla focosità in una discussione.

L’analisi condotta nello studio ha preso in considerazione la definizione di ‘tossicità‘ fornita da un sofisticato software classificatore, Google API Perspective. Quest’ultimo è in grado di identificare la tossicità intesa come «un commento che è maleducato, irrispettoso o irragionevole, e che potrebbe spingere qualcuno a interrompere la discussione».

I risultati dello studio Nature: discussioni online

Lo studio dimostra proprio che la resilienza si è evoluta anche sui social, dove il commento tossico in realtà non sembra né scoraggiare né, paradossalmente, alimentare la partecipazione degli utenti. Piuttosto, sembra emergere come una sorta di effetto collaterale quando gli scambi diventano più frequenti, una reazione alla crescente polarizzazione delle opinioni.

E qui sta il dunque: la polarizzazione, ovvero quel fenomeno che porta le opinioni agli estremi, sembra giocare un ruolo da protagonista nel plasmare l’andamento delle discussioni online.

«La tossicità non è un deterrente al coinvolgimento degli utenti, né un amplificatore del coinvolgimento. Piuttosto, tende a emergere quando gli scambi diventano più frequenti e può essere un prodotto della polarizzazione delle opinioni». – Come lo stesso professor Quotrociocchi spiega.

iPhone X accanto a MacBook

La componente umana e la polarizzazione delle opinioni

Ma c’è di più. Gli utenti sembrano spinti, quasi in modo innato, a sguainare le proprie spade di opinioni sui social media. Poco importa la piattaforma o il periodo storico. Questa propensione al conflitto non sembra essere causata dagli algoritmi delle piattaforme, bensì riflette una certa inclinazione umana a scontrarsi e a interagire in modo fervido nel mondo digitale.

Andrea Baronchelli, coautore dello studio e professore di ‘Complexity Scienxe’ presso la ‘University of London’, sottolinea che analizzare più piattaforme è cruciale per isolare i modelli comportamentali genuinamente umani da semplici reazioni agli algoritmi delle piattaforme. In questo modo si sposta l’attenzione dalla specifica piattaforma alla natura umana.

Sebbene gli algoritmi delle piattaforme social siano ottimizzati per catturare l’attenzione, il cuore del problema sembra risiedere nella propensione umana al conflitto, più che nella tecnologia stessa. O meglio, il modo in cui reagiamo alla tecnologia. La polarizzazione e la ferma difesa delle proprie convinzioni minano la costruzione di un dibattito sano e democratico, contribuendo invece a innalzare “muri difensivi” e ad alimentare ulteriori divisioni di opinione.

persone sedute vicino al tavolo con computer portatili assortiti

Il valore dei dati nell’attualità

Aziende leader come OpenAI e Google danno una sempre crescente importanza alla scienza dei dati raccolti, quali commenti, post e opinioni, per migliorare le funzionalità e lo sviluppo dell’IA. Dietro a questa promessa di progresso si celano però anche criticità e falle, quali l’incorporazione della complessità umana nei dati utilizzati per addestrare l’IA. I feed dei social , i dati dei commenti, se non classificati correttamente possono portare alla propagazione di lacune nel sistema. Il paradosso del progresso sembra evidente; l’impiego di dati umani per alimentare un’intelligenza artificiale potrebbe, se non attentamente gestito, amplificare le stesse problematiche umane che si intendeva risolvere.

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