10 film degli anni ’60 che tutti dovrebbero vedere

di Emanuele Fornito
Pubblicato: Ultimo aggiornamento il 13 Min.

L’arte cinematografica ha subìto, nel corso dei decenni, una continua evoluzione, mutando sul riflesso dei cambiamenti socio-culturali che hanno caratterizzato il secolo scorso e quello attuale, divenendo essa stessa icona e manifesto di quegli anni. In particolar modo, gli anni ’60 sono passati alla storia, in ambito cinematografico, per i numerosissimi capolavori che, da ogni parte del mondo, hanno creato una scissione con il passato, influenzando tutt’oggi il modo di fare cinema. Sarebbe davvero difficile citare in breve tutti quei film che hanno rivoluzionato la settima arte in quegli anni di particolare cambiamento, ma abbiamo selezionato 10 film iconici, naturalmente in ordine sparso, che tutti dovrebbero recuperare.

2001: Odissea nello spazio (1968)

Partiamo con quello che è considerato da molti cineasti tra i migliori film mai fatti. Capolavoro del leggendario Stanley Kubrick, 2001: Odissea nello spazio è un film atipico e magistrale, caratterizzato da un magnetismo che davvero pochi altri registi sono stati capaci di creare. Tutto, nel film, lascia a bocca aperta: il significato filosofico, le scelte musicali, gli effetti speciali creati in maniera completamente analogica, la narrazione che, nonostante la quasi totale assenza di dialoghi, riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo per più di due ore. 2001: Odissea nello spazio è indubbiamente un film rivoluzionario, pioniere del cinema fantascientifico, simbolo del genio creativo di Kubrick e dei suoi collaboratori che, con questo film, compongono una monumentale riflessione filosofica su chi sia l’uomo e in quale direzione stia procedendo.

Il laureato (1967)

Restiamo in territorio statunitense per parlare di un film che, nonostante i propri “limiti” è divenuto simbolo di un’epoca, di un’intera generazione e manifesto della corrente cinematografica della “New Hollywood“. Diretto da Mike Nichols e interpretato da Dustin Hoffman, il film riflette sullo scontro generazionale che interessò i giovani degli anni ’60, ribelli e vogliosi di distruggere i concetti morali borghesi tipici della “vecchia scuola”, il tutto sulle note di The Sound of Silence di Simon & Garfunkel. Ne abbiamo parlato, in maniera più approfondita, in questa recensione.

Persona (1966)

Ci spostiamo ora in Svezia dove, un anno prima del film di Nichols, il leggendario regista Ingmar Bergman aggiungeva l’ennesimo capolavoro alla sua filmografia, cambiando per sempre la settima arte. Anche questo annoverato tra i migliori film mai realizzati, Persona si basa su una minuziosa analisi introspettiva e psicologica che Bergman promuove sulla sua protagonista, interpretata da Liv Ullmann, affetta da mutismo selettivo. Una seconda donna, Alma, decide di portare con sé la donna in una casa al mare per scoprire i motivi che ci sono dietro questa condizione. Ne segue una storia complessa, che scava nella mente della donna e, di conseguenza, in quella dello spettatore, mettendo a nudo la profonda crisi dell’io da cui è affetto l’uomo moderno.

8½ (1963)

Restando nel tema della crisi dell’io, passiamo ad un altro capolavoro senza tempo firmato Federico Fellini. In questo film, il maestro Fellini porta sul grande schermo la personale crisi esistenziale che lo colpì in prima persona, ponendo l’attenzione su una crisi creativa ed artistica che lo tormentò in quel periodo. Protagonista del film è Guido (interpretato magistralmente da Marcello Mastroianni), un regista in crisi alle prese con la creazione di un film di cui neanch’egli è convinto. Lo stress derivante dalle pressioni della produzione e dai tormenti personali allarga ad una ben più ampia e profonda riflessione sulla società del tempo e sulle inquietudini dell’uomo, che, unita alla perfetta regia e fotografia, ha reso il film tra i migliori della storia. Arricchendolo con numerosi spunti autobiografici, Fellini riesce ad inserire, in , un’intrinseca analisi psicologica, che affonda le sue radici nel passato per ragionare sullo smarrimento vissuto dall’uomo stesso.

La Dolce Vita (1961)

Altro capolavoro della storia del cinema italiano ed internazionale, ancora una volta di Federico Fellini. La Dolce Vita, divenuto un vero e proprio film-icona del boom socio-economico italiano di quegli anni, nasconde però, dietro le fastose feste di Via Veneto, una ben più ampia riflessione sulla completa vuotezza della classe agiata e delle dinamiche sociali di inizio anni ’60. Anche in questo caso a dominare il significato intrinseco del film è una profonda analisi della crisi che affligge l’uomo moderno che, rifugiandosi nella mondanità, nasconde i propri disagi, dubbi, nevrosi e smarrimenti che, tuttavia, non possono che venire a galla.

La Jetée (1962)

Unico mediometraggio presente in questa lista, La Jetée racchiude in sé tutta la sperimentalità e la rivoluzione artistica portata avanti dall’estro dei registi nella Francia degli anni ’60, fondatori della corrente denominata “Nouvelle vague“. Chris Marker, scrittore e regista del film, definiva La Jetée un fotoracconto, in quanto il film si compone solo di istantanee, con la quasi totale assenza di cinetica (l’unica forma cinetica in movimento racchiude in sé l’intero senso del film) e di una voce narrante fuori campo. La storia, un misto tra nostalgia, realtà e fantascienza, è quella di un bambino-uomo (vi è una mescolanza di passato e presente) e il ricordo di una donna incontrata al molo d’imbarco dell’aeroporto di Orly. Marker crea un cinema-poesia vero e proprio, scardinando i canoni del cinema classico per comporre un’armoniosa opera fatta di nostalgia, amore, ricordo e rimembranza.

Pierrot le Fou (1965)

Seppur non un manifesto ufficiale della “Nouvelle vague”, Pierrot le Fou ne è sicuramente uno degli esempi più illustri, frutto del genio di uno tra i maggiori artisti di quell’epoca: Jean-Luc Godard. Pierrot le Fou è un insieme di innovazioni tecniche e narrative che, con l’ausilio delle creative scelte cromatiche, unisce in sé la spregiudicatezza artistica di Godard che, attraverso i suoi film, ha sempre dimostrato libertà e originalità stilistica ed intellettiva. Anche in questo caso la narrazione si basa sull’alienazione dell’uomo moderno, in una chiave, ancora oggi, innovativa.

La Notte (1961)

Michelangelo Antonioni è sceneggiatore e regista di un altro monumento del cinema italiano e non: La Notte. Secondo capitolo della tetralogia dell’incomunicabilità, il film, con protagonisti Jeanne Moreau, Marcello Mastroianni e Monica Vitti, porta sul grande schermo una metafora sull’alienazione relazionale dell’uomo moderno di inizio anni ’60, afflitto da turbamento e incapacità ad esprimere pensieri e sentimenti alla propria controparte. Quelli di Antonioni sono personaggi silenziosi, malinconici, quasi schiacciati dalla simmetria geometrica e tagliente di quei palazzi in architettura moderna che il regista ferrarese ha reso simboli dell’involuzione umana e sentimentale attraverso i meravigliosi quanto innovativi campi lunghi che li rappresentano. La Notte, come l’intera quadrilogia, è un film da recuperare assolutamente, per comprendere meglio gli anni ’60 e, alla fine, grazie alla maestria e lungimiranza del regista, sé stessi.

The Face of Another (1966)

Ci spostiamo ora in Asia per parlare di un altro capolavoro di quegli anni. Scritto e diretto da Hiroshi Teshigahara, uno dei fondatori della “Nouvelle vague giapponese”, The Face of Another realizza una più diretta critica alla crisi identitaria degli uomini, i quali, in un contesto di conformismo e società di massa, smettono di essere. La crisi identitaria ed esistenziale viene incarnata dal protagonista, Mr. Okuyama, il quale, dopo essere rimasto sfigurato, intraprende un processo di ricostruzione facciale, cadendo sempre più nell’abisso della sua psiche. Abbiamo approfondito il film in questo articolo.

Il dottor Stranamore (1964)

Terminiamo questo articolo con lo stesso regista d’apertura, Stanley Kubrick. Stavolta, però, parliamo de Il dottor Stranamore, un film satirico sulla tensione atomica che imperversava in quegli anni. Kubrick si affida al talento di Peter Sellers per muovere un’aspra critica al fanatismo degli uomini al potere, utilizzando espedienti tipici della dark comedy al fine di risaltare e ridicolizzare l’assurdità che caratterizza i ruoli di comando. Il film, oltre a costituire un importante testimonianza delle tensioni geopolitiche degli anni ’60, è ormai divenuto un vero e proprio cult che, grazie alla genialità narrativa e tecnica che lo contraddistingue, è annoverato tra i migliori film del regista. Anche in questo caso abbiamo scritto una recensione dedicata.

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